NON CHIUDIAMO “LE ONDE” DI PALERMO
Il Centro Antiviolenza “Le Onde Onlus” di Palermo lancia un grido di allarme. A fronte delle continue difficoltà economiche, aumentate negli ultimi tempi, le attività saranno sospese dal 20 fino al 24 giugno, e dal 26 giugno sarà garantito solo l’ascolto telefonico, rinviando “i casi” ai servizi della rete antiviolenza palermitana. Una scelta sofferta, ma ormai non più procrastinabile e che assomiglia a una beffa visto che il Centro, lo scorso anno, si è aggiudicato un bando di gara indetto dal capoluogo siciliano per l’attivazione di servizi residenziali per donne vittime di violenza.
Non vi è un giornale, cartaceo o telematico, che negli ultimi tempi non abbia parlato di femminicidio o di violenza di genere. E questo perché i fatti di cronaca hanno imposto anche all’agenda setting dei media di affrontare finalmente senza riserve la violenza maschile. Come se, alla resa dei conti, il numero di donne uccise nel 2016 fosse una indicazione fedele di tutte le vittime di violenza fisica, psicologica, economica, etc. I numeri sciorinati negli ultimi giorni dai media sono, in realtà, solo quelli legati alle morti. Di certo, però, le donne che subiscono violenza maschile sono molte di più e in molti casi si tratta di situazioni sommerse, silenziose, taciute anche dalle stesse donne per paura.
Quando si riesce ad approntare una qualche forma di “resistenza esistenziale” contro gli uomini violenti, spesso dietro a una donna c’è un Centro Antiviolenza che l’aiuta ad avere maggiore consapevolezza di sé, l’ascolta, le crede innanzitutto, le fornisce quel supporto affinché si attivi in lei e attorno a lei quel processo di empowerment determinante per la sua concreta libertà. Tali centri esistono non per rimpinguare quel Terzo Settore di “imprenditoria morale” – per dirla con Becker – ma per offrire in modo concreto, quotidiano, effettivo e il più possibile efficace ed efficiente sostegno sociale, legale e psicologico a chi si ritrova non solo una donna vittima, ma anche incastrata in una profonda solitudine di ascolto e di credibilità. Perché una donna che denuncia è spesso considerata una donna che non vuole “la pace della famiglia”, come se la serenità sua e di tutto il resto delle persone che le vive attorno dipendesse dalle sue scelte e non dalla non offesa dei suoi reali diritti di vivere una vita di libertà e autodeterminazione.
Ma se i Centri Antiviolenza sono necessari alle donne – “come l’aria o il pane per sopravvivere”, avrebbe scritto la scrittrice partigiana Gina Negrini – è pur vero che per sopravvivere non possono raschiare il barile dei pochi spiccioli rimasti. Ciò perché un lavoro con una donna non è improvvisato, abbozzato, ma è puntuale, preciso, quotidiano e richiede una preparazione che non è solo legata a quella formativa delle operatrici, ma anche a quella di risorse economiche che creano servizi, che mantengono aperti quelli che ci sono, che permettono agli sportelli di ascolto di sopravvivere. E ciò perché se una donna riesce a chiamare un centro antiviolenza, è perché quest’ultimo ha un recapito telefonico (che ha un costo). Se la stessa donna riesce a recarsi nello stesso centro antiviolenza, è perché esso ha una sede dove accoglierla (e anche tenere aperto un centro ha un costo, che non è solo legato alle utenze bollettate). L’ascolto assertivo ed empatico non si paga, è vero. Né si paga il sostegno sociale, legale e psicologico. Ma i servizi che fanno da cornice dentro al quale il centro antiviolenza si muove possono esistere solo se vi sono risorse economiche. Né più, né meno, è così.
E quindi, parlare di violenza di genere, di ottica di genere, di lavoro culturale ed educativo con le bambine e i bambini fin dai primi anni di vita serve. Senza dubbio. Ma rischia di restare un vessillo del “bla bla mediatico” del momento e di rumours se poi a questi Centri Antiviolenza – che lavorano per davvero con le donne – non si dà il sostegno di cui hanno effettivamente bisogno.
In ordine cronologico, ma di certo non di bisogni, arriva quindi il grido di allarme da Palermo. “Le Onde Onlus” sono rimaste senza fondi ed anche senza l’avvio di un progetto per il quale hanno vinto un bando comunale. E se non hanno più fondi, né risorse, consentite di dire alle stesse sedici operatrici che è impossibile continuare solo per non abbandonare le donne, perché le stesse donne vanno aiutate con i servizi e i servizi hanno un costo che non si può ridurre oltre quello già ridotto. Limare il limato è ormai impossibile. Il limite è stato superato, la misura è colma e quindi il Centro Antiviolenza ha deciso di sospendere, dopo ben 24 anni di servizio indefesso nei confronti delle donne, il servizio di accoglienza per qualche giorno. Ma non per uno sciopero che ricada direttamente sugli interessi delle donne (già conculcate da alcuni uomini, e quindi può bastare). Ma per sottolineare come sia impossibile lavorare in queste condizioni.
Le “Onde Onlus” di Palermo sono il riferimento per le donne vittime di violenza maschile. Dal ’92 a oggi hanno aiutato oltre 10 mila donne ma ora, per colpa di questa assenza di risorse che non lascia respirare, l’associazione è costretta a sospendere l’attività del centro antiviolenza. “Dal 2016, il centro sostiene interamente i costi necessari per il funzionamento della struttura – afferma la presidente Maria Grazia Patronaggio – mentre nel 2015 è stato finanziato con risorse pubbliche soltanto per il 20 per cento del fabbisogno. Nonostante ciò, lo scorso anno sono state aiutate 480 donne, mentre da gennaio si sono rivolte al centro antiviolenza 211 donne: di queste, 172 hanno usufruito di percorsi di accoglienza, consulenze legali o colloqui psicologici individuali o di gruppo”.
Così, non potendo fare altro, dal 20 fino al 24 giugno il centro antiviolenza sospenderà le attività, e dal 26 giugno garantirà soltanto l’ascolto telefonico, rinviando ai servizi della rete antiviolenza palermitana. Una scelta sofferta, ma ormai non più rinviabile e che suona paradossale alla luce del fatto che il centro, l’anno scorso, si è aggiudicato un bando di gara indetto dal Comune, per l’attivazione di servizi residenziali per donne vittime di violenza (Azione 23 del Piano di Zona 2010 – 2013). A oggi, tuttavia, le risorse già assegnate non sono disponibili.
E quindi, al di là di tutte le bocche che parlano di sostegno, di antiviolenza, di supporto alle donne e di linee guida a destra e a manca, che si dica esattamente cosa si intende fare con le politiche sociali che devono (e senza condizionale!) sostenere la continuità di servizi – come quelli dei Centri Antiviolenza – che non sono posticipabili, sospendibili, delegabili all’improvvisazione. Non è accettabile. La tutela dei diritti delle donne passa anche da qui.