Con una certa soddisfazione apprendo che la donna finalmente sta entrando, se non al centro, almeno nella periferia della discussione sulla situazione di attuale sfacelo in cui ci troviamo. Evidentemente esistiamo, non solo adesso, ma da sempre: il problema è che anche i media – di main stream – non ci danno spazio, non ci prestano ascolto. Certo, costretti dal conflitto eterno di doversi vendere per sopravvivere – anche loro, dunque… Proprio in questo eterno rifiuto di spazio è anche da ricercare la causa delle {{mille reti di donne che s’intrecciano negli ultimi anni in Italia e ovunque}}: chi non ha spazio intreccia appunto. Chi stabilisce le priorità di certi temi? Forse anche i media potrebbero, con un po’ più di coraggio, lasciarci entrare all’interno del nucleo dell’attenzione comune.

Adesso comunque entriamo cautamente nel dibattito, ancora una volta {{troppo spesso come oggetti e poco come soggetti}}: ecco che ci si lambicca il cervello su du noi.

Già da ragazza mi irritava{{ la visione freudiana}} secondo la quale tutti i problem di sviluppo e crescita sia maschile che femminile sembravano dover essere necessariamente ricondotti al fallimento (patologico) delle donne. Apprezzai poi da giovane madre {{Alice Miller }} che almeno si fece carico di ammonirci a non leggerla come mamme, ma come figlie anche perché in caso contrario saremmo entrate in un circolo vizioso senza sbocco: si continuava comunque a trattare dei nostri errori e del nostro fallimento.

Più tardi lessi {{Katja Leyre}}{{r}}- {Hilfe mein Sohn wird ein Macker}: ma anche lì eravamo noi mamme non disposte a cedere i privilegi di cui godevano e godono i nostri pargoletti.
È dunque sempre e solo colpa nostra.

Personalmente {{non trovo neanche molto interessante un lavoro di socio-psicanalisi sulle veline}}: chi le vede come ragazzine viziate e pigre, chi come vittime di un mondo senza sbocco, chi addirittura come eroine del nostro tempo. Tra l’altro il fenomeno non mi pare affatto nuovo, se penso alle fatidiche esclamazioni di mia madre che si chiedeva con chi l’una attrice o l’altra personalità femminile di successo fosse andata a letto per raggiungere la propria postazione di rilievo.
{{Troppo poco ancora ci soffermiamo invece sulla psicoanalisi maschile. }} Non solo sul disgusto che provoca un anziano ninfomane che non vuole adagiarsi al fatto di essere vecchio e non è quindi in grado di svolgere quell lavoro di cambiamento, metamorfosi che noi donne percorriamo al più tardi dai quaranta in poi.

Ma, volgendo lo sguardo al mondo normale, perché non osservare con compassione o estraneità l’assoluta incapacità di introspezione, dialogo, sguardo dentro, di cui molte di noi sentono quotidianamente la mancanza nel rapporto di coppia? Qual è la patologia maschile per la quale un uomo cerca sesso per soldi, mercifica corpi, Che cosa significa nella{{ patologia maschile }} l’amplesso? Qual è la menomazione che lo porta all’esigere l’assoluta solitudine nella stanza dei bottoni o a circondarsi di robot pagati ed usati, anzicché cercare la donna come l’altro, il completamento di se stesso, colei che sola gli può dare la prospettiva a tutto tondo?

Noi, noi donne certo potremmo soffermarci di più su ciò che è accaduto tra gli anni settanta e il duemila. Ma non come esseri anormali e comunque sempre deboli incapaci, o fesse, bensì {{in un dibattito fra noi ricercarci, ritrovarci, riprendere la ricerca delle nostre forme personali, }} rifiutando (o riprendendo a rifiutare) stavolta però la coercizione di un quotidiano che ci vede sempre di corsa, sempre in movimento, a {{dividere la giornata in mille ruoli}} (mille perché non ne abbiamo ceduto uno, e ne abbiamo presi tanti…), dilaniate e insoddisfatte o perché ancora ci adattiamo a forme non nostre?

Marina Mannarini – Erwachsenenbildung und Interkulturalität
_ {ReteDonne e.V.
Europa}
_ {
InCulture e.V.
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