10 anni di strategia europea per l’occupazione. Quale impatto sulle donne?
Per capirne di più, ci siamo fatte una chiacchierata con Maria Grazia Rossilli sull’impatto che le politiche per l’occupazione dell’Unione europea degli ultimi dieci anni hanno avuto sulla vita delle donne europee e italiane in particolare. Ne emerge un quadro in chiaroscuro, con qualche contraddizione irrisolta e l’impressione che si possa fare di più.
In seguito all’inserimento del nuovo capitolo “Occupazione” nel trattato dell’Unione europea (1997), i capi di Stato e di governo avviano la {{Strategia europea per l’occupazione (SEO)}} nel corso del vertice europeo sull’occupazione di Lussemburgo, con l’idea di coordinare le politiche nazionali in materia di occupazione. La SEO istituisce un quadro di sorveglianza multilaterale che esorta gli Stati membri ad attuare politiche più efficaci, agendo in particolare sulla capacità di inserimento professionale ({occupabilità}) , sulla c.d. {imprenditorialità}, sulla capacità di adattamento ({adattabilità}) e sulle{ pari opportunità} nel mercato del lavoro europeo. La SEO costituirà poi la base per la cosiddetta Strategia di Lisbona (2000) per il rilancio dell’economia europea nel senso di una “economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.
Per capirne di più, ci siamo fatte una chiacchierata con {{Maria Grazia Rossilli}} sull’impatto che le politiche per l’occupazione dell’Unione europea degli ultimi dieci anni hanno avuto sulla vita delle donne europee e italiane in particolare. Ne emerge un quadro in chiaroscuro, con qualche contraddizione irrisolta e l’impressione che si possa fare di più.
{Ci può parlare in estrema sintesi dell’evoluzione delle politiche europee per l’occupazione?}
Per la prima volta nel 1997 l’Unione europea ha posto un’enfasi particolare sulla necessità di politiche attive (comuni) per l’occupazione, fondate inizialmente sui quattro pilastri menzionati, da promuovere in tutti gli stati membri sia a seguito di una sorta di {moral suasion} esercitata all’interno di una {peer review} periodica, sia mediante l’uso di incentivi finanziari costituiti soprattutto dai fondi messi a disposizione dal Fondo sociale europeo.
{In cosa consistono esattamente questi quattro pilastri?}
Lavorare sull’{occupabilità} significa portare sul mercato del lavoro le fasce inattive aiutandole a inserirsi nel mercato del lavoro e le donne, specie in paesi che come il nostro sono caratterizzati da una scarsa partecipazione femminile al mondo del lavoro, sono uno dei target naturali di questo pilastro. (Azioni: lotta alla disoccupazione di lunga durata e giovanile, modernizzazione dei sistemi di istruzione e formazione, monitoraggio attivo dei disoccupati proponendo loro un’alternativa nel campo della formazione o dell’occupazione, riduzione del 50% dell’abbandono scolastico, accordo quadro datori di lavoro/sindacati finalizzato all’apertura delle imprese alla formazione e all’acquisizione di un’esperienza).
_ Aumentare l’{imprenditorialità} significa in concreto stimolare l’auto-occupazione e la nascita di nuove imprese (Azioni: garantire regole chiare, stabili e affidabili per la creazione e la gestione di imprese e semplificare gli obblighi amministrativi per le piccole e medie imprese (PMI), ridurre il costo del personale aggiuntivo, semplificare il passaggio al lavoro indipendente e la creazione di micro-imprese, sviluppare mercati del capitale di rischio che agevolino le PMI e ridurre gli oneri fiscali che gravano sul lavoro).
_ {Adattabilità} significa modernizzazione dell’organizzazione, flessibilità del lavoro, predisposizione di nuove forme contrattuali più flessibili, sostegno alla formazione in seno alle imprese eliminando ostacoli fiscali e mobilitando aiuti statali per migliorare le competenze della popolazione attiva, creazione di posti di lavoro duraturi e funzionamento efficiente del mercato del lavoro. Come vediamo è un {{obiettivo molto più ambiguo rispetto ai precedenti}}. Infatti se parliamo di flessibilità possiamo intendere due cose non necessariamente compatibili tra loro: un lavoratore può intendere per flessibilità adattare l’orario e le modalità del lavoro in maniera tale da consentirgli una migliore conciliazione dell’impegno lavorativo e dei carichi di famiglia, quindi maggiore soddisfazione nel lavoro senza però perderci per quanto riguarda la sicurezza del suo posto di lavoro. Per il datore di lavoro flessibilità invece è soprattutto la possibilità di adeguare il numero dei dipendenti e delle ore di lavoro alle necessità della produzione, alle congiunture del mercato, quindi disporre di maggiore libertà nell’assumere e licenziare a seconda delle esigenze, quindi al contrario minori garanzie e maggiore precarietà per i suoi dipendenti.
_ Garantire le {pari opportunità} nel mercato del lavoro significa perseguire i primi tre obiettivi tenendo sempre presente l’ottica delle pari opportunità e inserendo quindi misure concrete in favore della parità di genere in ogni azione decisa per raggiungere i primi tre obiettivi (tipico {gender mainstreaming}: la lotta alle disparità uomo-donna e un maggiore tasso di occupazione femminile da raggiungere con l’attuazione di politiche in materia di interruzione della carriera, congedo parentale, lavoro part-time, servizi di qualità di custodia dei figli, agevolazioni per il ritorno al lavoro dopo la maternità, ecc.).
_ I {{quattro pilastri iniziali}} si sono ridotti oggi (strategia europea ultima versione 2005-2008) a tre pilastri, perché il quarto, quello delle pari opportunità, è dato ormai per scontato in quanto il {gender mainstreaming} dovrebbe ormai permeare tutte le azioni a titolo dei primi tre pilastri. Questo è spesso vero nella forma (dal 2000 le azioni proposte per un finanziamento comunitario prive di un aspetto di {mainstreaming} si vedono negare il finanziamento, quindi una parte sul {gender mainstreaming} viene sempre inserita, sulla carta) anche se poi non sempre si trova anche attuato nella sostanza.
{Che impatto ha avuto questa strategia sull’occupazione femminile nel nostro paese?}
Se prendiamo l’obiettivo {occupabilità} vediamo che, nonostante si sia molto insistito sulla necessità di far entrare più donne nel mercato del lavoro “ufficiale”, e nonostante i progressi che ci sono stati, in Italia la presenza femminile sul mercato del lavoro rimane ancora bassa. Vi è la necessità di lavorare sui “disincentivi” che spingono le donne a restare fuori dal mondo del lavoro, o a entrarvi e poi uscirvi con la maternità. Si va nel senso voluto quando si riducono i diritti derivati in favore di diritti individuali. Quando si lavora sulla formazione, sulla desegregazione del mercato, sulla flessibilità nel senso che favorisce la conciliazione.
_ Tutto il pacchetto di linee guida in materia di flessibilizzazione del lavoro ({part time}, {job sharing} , ecc.), congedi parentali, servizi alla prima infanzia (obiettivi europei del 33% di bambini in asilo nido e 90% alla scuola materna entro il 2010) è letto in un’ottica di pari opportunità, come modo per mettere le donne in grado di affacciarsi sul mondo del lavoro “pagato” e di restarvi.
{Mi sembra che lei non condivida troppo…}
Non è che non condivida, è che vi sono zone d’ombra su cui bisognerebbe riflettere. Vi è stata indubbiamente una spinta a favore dell'{occupabilità} e quindi dell’occupazione femminile, ma a scapito della qualità del posto di lavoro (aumento del precariato, con posti di lavoro di minore qualità, con meno diritti, meno garanzie anche in materia previdenziale).
_ Inoltre non mi entusiasma il fatto che le misure di flessibilizzazione siano viste soprattutto come a favore della donna, cui compete tutto il lavoro di cura non retribuito, senza fare nulla per combattere, anzi, cristallizzando in un certo senso la divisione di ruoli tradizionale.
_ Faccio un esempio, il congedo parentale può essere preso, in teoria, da entrambi i genitori, ma viene quasi sempre preso dalla madre, in tutta Europa, non solo in Italia. In Italia c’è una buona legge (legge Turco, 53/2000), che prevede anche un incentivo per i padri (1 mese in più di congedo), ma il congedo parentale è al 30% dello stipendio, e fatti due conti quasi sempre è la madre che resta a casa. In Svezia va già meglio, si va in congedo parentale con l’80% dello stipendio e quindi lo prende qualche padre in più. Ma senza campagne serie per combattere gli stereotipi la situazione non cambierà.
{Qual è il modello che lei vorrebbe?}
Auspico un modello sociale in cui ogni individuo, uomo o donna, possa avere una parte di lavoro di cura e una parte di lavoro pagato. Il dilemma del lavoro femminile nella società di oggi è che resiste una forte contraddizione tra pari opportunità e uguaglianza di fatto. Vanno bene le iniziative europee, ma bisogna fare altre cose, per impedire che di fatto si riveda tutto il modello sociale verso il basso.
_ Di fatto il focus dell’intervento europeo (dal 2000-2001 si parla spesso di “flexicurity”) è stato lo sviluppo di contratti di lavoro non standard con un minimo di diritti, e la revisione dei diritti (previdenza/sicurezza sociale) dei lavoratori standard avvicinando (verso il basso) standard e non standard.
Il punto è passare dalla garanzia del singolo posto di lavoro alla garanzia del buon funzionamento del mercato di lavoro, in altre parole lascio maggiore libertà di licenziamento al datore di lavoro, perchè so che in un buon mercato il lavoratore troverà facilmente un altro posto. Bene, ma nella pratica non è sufficiente.
{Nella seconda parte del Trattato costituzionale europeo, rigettato, e molto criticato anche da noi, era stata recepita la Carta di Nizza (carta europea dei diritti), in cui veniva enunciato il principio dell’accesso garantito alla sicurezza sociale per tutti i cittadini. Soggetto di diritto era quindi l’individuo, non il lavoratore. Non era questo un passo avanti? Perchè tante critiche?}
Effettivamente vi si sanciva un {{diritto universalistico}} non solo alla sicurezza sociale, ma addirittura a un reddito e all’assistenza abitativa, tali da garantire a tutti gli individui una vita dignitosa. Bisogna anche valutare che la carta europea dei diritti è l’unica carta sovranazionale integrata esistente sui diritti. Anche se rispetto ai diritti sociali sanciti dalla Costituzione italiana era più avanzata solo per quanto riguarda l’enunciazione della parità uomo-donna (che nella nostra Costituzione non c’è).
_ Bisogna però valutare anche che nella parte terza del Trattato costituzionale europeo, che disciplina le politiche, si manteneva la necessità di ottenere l’unanimità per tutta la materia previdenziale, in cui si lasciava competenza esclusiva agli stati membri. Questo riduce parecchio la portata dei diritti enunciati nella seconda parte e spiega probabilmente molte delle critiche.
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