13 novembre: bilancio una settimana dopo
Prima di tutto: l’informazione che continua con il gridato allarmistico. La pubblica opinione ha tutto il diritto di non essere sottoposta a trattamenti mirati alla pancia, poco al cuore e quasi niente al cervello.
Poi le molte questioni da affrontare perché non degenerino.
Non c’è solo il terrorismo. il 30 novembre si apre, proprio a Parigi, il Summit sul clima, speriamo che ci si accorga che è in funzione la più grande macchina di distruzione del pianeta. L’Inghilterra parteciperà ai bombardamenti, ma andrà anche al referendum sull’Unione europea.
La guerra: Stefano Silvestri, su Affari Internazionali proponeva di chiamarla brigantaggio: “terrorismo” può bastare, come dice Etiènne Balibar consapevole che resta “indefinito” e “asimmetrico”. Sappiamo la differenza: quando in Italia c’erano i mitra delle Brigate Rosse (in Germania la Rote Armee Fraktion) i giornali parlavano di “guerra”. Un brivido certo percorse l’Europa nell’ottobre del 1917 quando il comunismo divenne oggetto di guerra, calda e fredda, per l’Occidente. Molti musulmani non si pronunciano su questi assassini perché sono “Islamici che sbagliano” di una lotta al sistema. Se la chiamiamo guerra, attenzione a capire: non si può produrre guerre in terra altrui, creare Guantanamo, spendere centinaia di milioni dollari in armi e uscire dai guai con la guerra. Dopo il 1945 si scoprì che la nonviolenza era meglio del nazismo.
Comunque Fraçois Hollande è partito con i bombardamenti e con la riforma della Costituzione, come Bush con il Patriot Act. L’aviazione francese aveva colpito i jihadisti nel Mali e l’Isis lì ha ripetuto la strage. Era anche andata a sostenere la democrazia contro Gheddafi e oggi la Libia è un disastro. Le elezioni presidenziali hanno affrettato le decisioni revansciste e, purtroppo, i sondaggi hanno dato ragione a Hollande con la crescita repentina di 40 punti nei sondaggi.
Il ricatto islamista gioca proprio sui nostri valori di libertà. Ma il populismo esalta gli istinti vendicativi e l’incertezza predispone alla violenza, da tempo visibilmente necrofila nelle bandiere nere dell’Isis, ma anche nei teschi sulle magliette dei giovani. Se i bombardamenti non saranno risolutivi (i marines non si possono schierare nei deserti) e se l’Onu si ferma alle dichiarazioni anodine che consentono agli stati sovrani di agire come meglio credono – per fortuna la Mogherini, nel riferirsi all’art. 42,7 del Trattato di Lisbona, ne ha legato l’interpretazione ai soli accordi bilaterali – bisognerà evitare di seguire il Califfato dove vuole portarci.
Proprio l’imprevedibilità del terrorismo dimostra che c’è bisogno di “più Europa” e di mantenimento di Schengen contro ogni ritorno a frontiere ormai illusorie. Non possiamo perdere i nostri diritti già condizionati dalla necessità di maggiori controlli. La vulnerabilità dei singoli, sia Stati che individuii, reclama, un unico servizio di intelligence (chiesto dal governo italiano dopo l’attentato a Charlie Ebdo). Nessuno può mantenere l’esclusiva dei propri mezzi, rinviando alla riforma dei Trattati.
Il “week wend agli arresti domiciliari” proclamato in Belgio è stato oltre che inutile dannoso: ha aggravato l’ansia pubblica, soprattutto avendo esplicitato il pericolo di armi chimiche e biobatteriologiche: da quando si avvelenavano i pozzi si sa che ci sono e che gli Stati ufficialmente le negano consapevoli che quelle chimiche possono diventare il “fai da te” a basso costo, mentre per ii biobatteriologico ci si fida nella gran bontà dei cavalieri dell’Ariosto.
I nemici: pur rifiutando la guerra, si deve accettare che ci siano. Ma anche che per vincere il loro odio non ci si deve cadere dentro. Per Al Baghdadi i nemici sono in primo luogo gli eretici (gli sciiti e gli occidentali cristiani, i “crociati”), poi gli infedeli, i capitalisti, i corrotti: peccatori già dannati. Vorrebbe imporre a tutti i musulmani il divieto di fumare, di bere alcoolici, di possedere depositi bancari, di umiliare le donne, di affidare l’educazione alla madrasa coranica, di avere tv, libri, teatro, di fare musica. Nemmeno tutti i miliziani (e le miliziane) accetterebbero l’asservimento sessuale e la vendita delle donne, che sono anche madri e sorelle, non solo puttane. Tanto più che gli stessi fondamentalisti abitano già quel mondo hce rifiutano, catturati dalle nuove, non neutre, tecnologie e dalla merce/denaro del petrolio.
Non tutti i musulmani e tutti gli arabi sono islamisti fanatici (come noi italiani non siamo tutti mafiosi). La crescita della xenofobia e del razzismo – che è reale e rivela la nostra debolezza – serve solo ad accrescere la violenza di chi, soffrendo disagio economico e relazionale, si lascia suggestionare dalla propaganda islamista: i giovani simpatizanti del califfato sono cittadini francesi di seconda e terza generazione che, se vivono nella banlieu, pensano che nello stato islamico, avranno una buona sistemazione.
Le religioni non c’entrano. Purtroppo servono ai delitti peggiori quando dio diventa un idolo e la fede si fa ideologia. Il Corano – come la Bibbia o i Vangeli o i detti del Buddha – vanno interpretati. Purtroppo l’educazione rende dipendenti dal magistero, che condiziona le coscienze non autonome.
La prevenzione di conflitti che possono degenerare non è stata neppure pensata: l’attentato delle “torri gemelle” è del 2001 e, anche se Tony Blair ha chiesto scusa, l’intervento in Iraq non può trovare indulgenza. In questi anni i paesi forti, principalmente gli Usa, hanno continuato a finanziare e rifornire d’armi soprattutto i sunniti, per condivisione, si suppone, con gli interessi dell’Arabia Saudita e del petrolio. Anche l’Isis è sunnita: a prescindere da ogni simpatia con Putin, qualcuno dovrebbe spiegare come mai la Siria – maggioranza sunnita governata da minoranza alawita – ha un presidente che fino a cinque o sei anni fa frequentava l’Eliseo e l’Italia nel 2008 gli aveva attribuito il cavalierato di Gran Croce. Come già l’Iraq e la Libia, la Siria, anche se il vescovo cattolico di Aleppo esercitava il ministero liberamente, era da tempo un obiettivo (del resto anche l’Iran) non solo per difendere i diritti umani. Nel contesto manca ancora certezza sulla posizione della Turchia di Erdogan; il quale sogna di ricostruire se non un impero, almeno una federazione ottomana di osservanza sunnita, ma ha fin qui favorito l’Isis/Daesh, lasciando passare rifornimenti, armi ed elettronica, e boicottato la resistenza curda antijihadista. Vedremo quanto sarà omogenea l’alleanza anti-califfo di Francia, Usa, Russia, Turchia, Arabia Saudita….
La crisi non è sparita, anche se Hollande ha detto che il “patto di sicurezza” prevale sul “patto di stabilità”. Il deficit – a partire da quello francese – anche se la finanza ci ha abituato a tutto – non è variabile a piacere e le guerre valutarie sono sempre dietro l’angolo. Dove andrà il Pil? Il mercato potrà dire di tirare al massimo, i nuovi contrasti tra Draghi e Weidman non garantiscono gli sperati movimenti della Bce per rialzare l’inflazione e salvare l’eurozona: gli imprevisti di spesa non sono senza conseguenze per i mercati finanziari, per l’occupazione/disoccupazione, le ripercussioni elettorali e gli stessi equilibri democratici.
Piangere sul latte versato dei sempre rinnovati investimenti, produzioni e commerci delle armi non serve: questo genere di richiesta dice che evidentemente all’uomo le guerre “piacciono” e le preferisce alla diplomazia e alla cooperazione disinteressate e non eternamente post-colonialiste. I paesi affacciati sul mare del Nord non si sono mai sentite parte del Mediterraneo, anche se nel 1995, proprio alla fine di un novembre diversamente pieno di aspettative, la Conferenza di Barcelona si illuse di fondare il partenariato euro-mediterraneo. Adesso si constata che le “primavere arabe” erano illusorie e che il Medioriente è preda del caos: se perdiamo la testa, il caos dilagherà come sperano i jhadisti. Oggi, per forza, si deve ricominciare a tessere condivisione civile.
Idee per fare qualcosa ne circolano poche, nessuna immediata. Tuttavia, in attesa di una riduzione concertata della produzione e commercio delle armi (a partire da quelle “leggere” e dalle “non letali” messe in produzione per destinarle ad altri), bisognerebbe intercettare subito almeno le esportazioni (semi)clandestine, proprie di reti criminali che commerciano la droga e il traffico degli esseri umani (impressionante la denuncia odierna del Sole24Ore). La questione Israele/Palestina dal 1947 rappresenta l’origine della conflittualità mediorientale: deve restare all’ordine del giorno nelle relazioni diplomatiche europee, per non trasformare il Mediterraneo – già pieno di cadaveri – in mare di portaerei. Se la civiltà è fatta di cultura, è tempo di verificare contenuti e metodi delle pratiche di accoglienza, assistenza (anche giuridica), mediazione, integrazione o assimilazione degli immigrati: le braccia incontrollatamente aperte di Angela Merkel, i muri dei governi di destra, il divieto dei veli, l’ammissione nei tribunali inglesi della sharia o il silenzio sulle mutilazioni genitali femminili mostrano nostre scarse capacità di percepire le trasformazioni del mondo e di applicare correttamente i diritti umani.
Non ultima la necessità di prestare attenzione all’impiego delle nuove tecnologie. Paradossalmente la campagna promozionale dell’Isis che cerca “amici” o terrorizza sui media è di gran lunga superiore alla nostra pratica di copia-e-incolla e di tweet deficienti. Anonymus starà bene ma la pratica non è solo delatoria: mostra che chiunque può penetrare i nostri siti. Una modernità cosciente del futuro deve fare politica con i mezzi moderni e interessati alla civiltà dei rapporti umani.
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