6 febbraio – Giornata mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili. Per approfondire
In occasione del 6 febbraio, Giornata mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, pubblichiamo stralci dell’intervento di Maria Paola Fiorensoli all’Università di Cassino in occasione del convegno “Libere tutte. Liberi tutti: diritti umani e mutilazioni femminili”. Gli Atti del convegno sono stati curati dalla docente Fiorenza Taricone che firma il saggio introduttivo (Caramanica Editore, prima edizione 2007, pp. 187 – 210). In copertina, opera di Pasqualina Mongillo, socia dell’ente patrocinante, Associazione Nazionale Coordinamento Comitati Pari Opportunità.
Altri interventi: A. Cambria, M. Farina, S. Giusti, F. Pellecchia, L. Punzo, C. Ravaioli.
Si raggruppano sotto il nome di Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) vari tipi di mutilazioni eseguite su neonate, bambine pre-puberi, adolescenti e adulte nel mondo, nessun continente escluso.
Edulcorarne la descrizione per sottrarsi all’entità “scandalosa” di un fenomeno che ha coinvolto e coinvolge centinaia di milioni d’individue per ogni generazione, significa non rispettare le vita e la salute delle donne e il portato di sofferenza nella vita delle donne.
Le MGF sono una pratica antica che rimane tale, una pratica, frutto di una decisione umana nutrita dal consenso e dall’azione sincrona di uomini e donne cert* di muoversi nel solco della tradizione e d’apportare alle nuove generazioni femminili, di cui sono garanti, non un male ma un “bene”: l’introduzione sul mercato matrimoniale e l’accesso alla procreazione; unico destino per una donna e fonte del suo ‘onore’ posto alla base di quello familiare e collettivo.
Il costo in numeri di vite, infermità mentale, complicanze transitorie o permanenti, difficoltà nelle relazioni, nei rapporti sessuali, nella procreazione, nella qualità della vita di bambine e adulte – poiché le MGF interessano varie fasce di età pur colpendo in prevalenza entro il primo anno di vita o prima della pubertà – non permette eufemismi; né la complessità dell’argomento rende possibile un approccio unilaterale, che sia etnologico, medico o umanitario.
Spesso si avverte il tentativo, peraltro giustificabile per l’impatto su chi sia estrane* alle MGF o si trovi in situazioni tali da volerle minimizzare, di ridurre le stesse a fenomeno marginale, numericamente ristretto, geograficamente localizzato in paesi non industrializzati e di religione islamica, mentre la realtà è ben diversa: stime prudenti (nel 2007), parlano di 120 – 140 milioni di donne viventi sottoposte a MGF con un non censito numero di morte nell’immediatezza o per le complicanze successive e lungo tutto l’arco della vita, anche riproduttiva.
A rischio, circa due milioni di bambine in tutti i continenti e in famiglie e comunità di varie fedi. (…) Non conoscendone l’antichità, non si può quantificare l’ammontare della strage.
È meglio abbandonare subito l’opinione menzognera e consolatoria che le MGF siano un fenomeno in scomparsa e che nulla abbiano da spartire con le culture occidentali e con altri due monoteismi – ebraismo e cristianesimo (cattolico e protestante) – poiché quando famiglie di fede ebraica o cristiana, abitanti in alcune zone dell’Africa, si sono trovate in un contesto che generalizzava le MGF, le hanno anche loro applicate per non “emarginare” le figlie dal mercato matrimoniale e/o per non essere loro stesse emarginate poiché “donne non mutilate” erano ritenute “immorali” e apportavano discredito alla loro persona e alla loro collettività.
Questa è la ragione per cui le MGF non interessano, in determinate zone, donne di un’unica fede, ma tutte le donne, per biologismo.
Non solo la religione o solo le leggi dunque – se non per l’influenza delle prime sulle secondo e per il rimando delle seconde a contesti intrisi di tradizioni mai messe in discussione e che prevedono la dominanza del maschile – ma una somma di fattori concorrono a denunciare, nella lettura di genere, le MGF (…) e la tradizione che ha trasformato pratiche violente e discriminanti in “buone e necessarie”.
Le MGF sono diffuse in tutti gli ambienti, in tutti i paesi industrializzati e non (…) eseguite anche da organizzazioni che ritengono il loro intervento medicale “il male minore” e in alcuni Ospedali europei ed americani che applicano il medesimo criterio; se sottraggono le vittime alla brutalità dell’intervento effettuato sovente con mezzi di fortuna e senza anestesia, all’aperto o in ambienti non igienizzati, non le sottraggono al portato simbolico e alle conseguenze della mutilazione.
La mancata o carente riflessione, in molti ambienti scientifici, politici e religiosi, sulla messa al centro del soggetto femminile operata dall’emancipazionismo e dai movimenti femministi occidentali in un lungo arco di tempo, facilita approcci settoriali alle MGF che non possono essere lette unilateralmente né semplicemente posizionate nei riti di passaggio eludendo il simbolico discriminante connesso e senza offrire soluzioni; neppure le MGF possono essere addossate a normative religiose poiché nessuna religione, anche quelle monoteista, impone la mutilazione dei genitali femminili.
(…) Per evitare successivi equivoci, parliamo subito dell’Africa dove le MGF sono molto diffuse e di vario tipo ed è opinione comune che derivino da precetti islamici mentre il Corano non le cita; Maometto prescrive “di non togliere nulla al corpo femminile”[1]: parole che già al tempo evidenziarono la presa di distanza da tradizioni mutilanti precedenti e coeve; comunque, nel tempo, sopravvissute e in molti luoghi prevalenti. L’islamizzazione non ha comportato l’abbandono delle MGF.
(…) L’unico fenomeno che per vastità, antichità, brutalità e conseguenze (sofferenza, malattia e morte), paragonabile alle MGF è la fasciatura dei piedi (Fior di Loto) delle Cinesi, formalmente scomparso nel XX° secolo a seguito di una fortissima pressione internazionale.
L’analisi delle ricadute sul piano simbolico, relazionale e sessuale di una pratica atroce che storpiava le donne ostacolandone la corretta (e libera) deambulazione e con forti rimandi nell’erotismo maschile, può offrire spunti di riflessione sulle MGF, iscritte anch’esse nelle strategie di dominanza maschile di cui le donne sono state e in parte sono le garanti, e di un mondo costruito sui suoi bisogni.
(…) Le Conferenze mondiali delle donne hanno sempre denunciato le MGF ma alla testimonianza e ai piani d’azione presentati da tante donne determinate a rompere la catena del silenzio e della complicità, a salvare e dare una speranza alle attuali e nuove generazioni, ha corrisposto una quasi totale indifferenza alle proposte e le Piattaforme firmate da molti Governi, compresi i nostri, sono spesso rimaste lettera morta.
(…) Nel panorama internazionale, molto attive contro le MGF sono Amnesty International e l’Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo (Aidos), impegnate “in campagne di sensibilizzazione sull’opinione pubblica, delle donne, delle Ong di sviluppo e di tutte le forze politiche e sociali sulla condizione femminile nei paesi meno avanzati e sulla solidarietà internazionale tra donne.”[2]
L’Aidos fu tra le prime a farsi carico della denuncia, dell’analisi e dell’aiuto alle vittime delle MGF (…) classificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) – avvalendosi anche del “Quaderno n. 2” sulle MFG edito dall’Aidos[i][3] – in tre tipi con varianti (circoncisione, escissione, infibulazione), e in un quarto tipo, comprendente altre forme di MGF, sia esterne che in vagina, attuate da etnie ristrette.
Molte MGF sono effettuate in abbinamento.
1) Circoncisione femminile: incisione del prepuzio clitorideo o sua asportazione; asportazione del prepuzio e di una parte della clitoride (MGF chiamata in area islamica, Sunna).
2) Escissione (Khefad) o clitoridectomia: ablazione totale del prepuzio clitorideo e della clitoride e delle piccole labbra (totale o parziale). La triplice mutilazione distrugge una parte consistente dei genitali femminili esterni. È effettuata alla nascita o entro i primi due anni d’età e se la vittima non se la può ricordare, ne riporterà a vita anche il trauma. Mortalità elevata; severe complicanze anche per le molteplici cicatrizzazioni.
3) Infibulazione anche detta infibulazione faraonica o circoncisione sudanese: asportazione del prepuzio clitorideo, della clitoride, delle piccole labbra e taglio, con scarificazione della parte interna residua, delle grandi labbra che vengono piegate all’interno e fatte cicatrizzare unite, con mezzi di fortuna, affinché coprano, come un coperchio, il meato uretrale e l’introito vaginale. Per lasciare defluire l’urina e il sangue mestruale è lasciato aperto, verso l’ano, un piccolissimo foro (ostio residuo), delle dimensioni di “un grano di miglio” che non può sopperire, cicatrizzandosi, al necessario provocando ritenzioni con infiammazioni e setticemie. Immediatamente dopo l’infibulazione si immobilizza con fasce la bambina perché non possa toccarsi e viene tenuta a dieta liquida, in luogo scuro e isolato, sorvegliata a vista ma mai consolata e così affronta da sola il dolore, la febbre e spesso la morte.
Questa la MGF più devastante ma molto diffusa, con altissima mortalità immediata, evidenti complicanze sulla salute in generale e ostacolante le normali funzioni urinarie e mestruali. Se il “grano di miglio” non è della grandezza giusta (troppo grande o troppo piccolo), si ripete.
L’infibulazione prevede una serie di successive pratiche violente: per avere il primo rapporto sessuale, il marito taglia con uno stiletto o un coltello la cicatrice delle grandi labbra e allarga nello stesso modo la vulva (è usanza tenere in bella mostra la lama sul cuscino insanguinato che dimostra l’esistenza della pratica e la verginità della sposa). Prima del parto viene di nuovo tagliata la cicatrice e allargata la vulva per permettere la nascita e, a ogni parto, segue altra infibulazione.
(…) Il termine faraonico non dichiara la certezza della pratica nell’Antico Egitto dove sono state trovate spine d’acacia (le più usate per tenere unite le grandi labbra resecate), nei genitali femminili di alcune mummie; chi nega la tradizione, connette le spine alla mummificazione.
4) mutilazioni genitali varie:
a) lacerazione delle grandi labbra a scopo magico-rituale contro la sterilità o per pratiche inerenti a facilitare l’espulsione del parto (senza conseguenze non immediate);
b) punture, perforazioni o incisioni del clitoride (senza conseguenze non immediate);
c) punture, perforazioni o ferite alle grandi labbra unite a incisioni longitudinali della vagina allo scopo di farla arretrare e restringerla per accrescere il godimento maschile (pericolo di sanguinamenti e infezioni);
d) introduzione di erbe corrosive in vagina per farla dilatare o restringere sempre in relazione al godimento maschile.
e) introcisione (descritta da Aidos per una tribù australiana) ovvero dilatazione traumatica , con uno strumento tagliente, della vagina sempre per facilitare il piacere maschile al primo rapporto (pratica riscontrata solo in una tribù australiana
f) tracheotomia rituale o ablazione del collo dell’utero e taglio della vagina per farla arretrare: lo scopo è quello di fare sanguinare la donna durante il rapporto sessuale dopo una pausa di una certa durata, come se lei tornasse vergine, o di presentarsi come se lo fosse nel rapporto con un secondo marito.
g) Infibulazione inversa: si fa “risalire” la vulva fino alla clitoride e davanti all’uretra.
h) Yakin gishiri, taglio eseguito nell’ultimo trimestre di gravidanza o nella seconda fase del parto. Intressa la regione pubica e allarga la gabbia pelvica.
Più in generale:
Il termine infibulazione, deriva da fibula, la spilla che fermava le vesti romane in una società che conosceva anche la pratica di chiudere le “grandi labbra” delle romane per prevenire adulteri.
a. de-infibulazione significa riaprire la cicatrice prodotta dall’infibulazione per ingrandire l’orifizio vaginale (praticata la notte delle nozze e al parto).
b. re-infibulare significa sottoporre la donna a una nuova infibulazione.
c. Le principali conseguenze delle MGF: morte immediata o successiva; emorragie; infezioni; schok, ritenzione urinaria acuta; fistole; lesione delle strutture adiacenti (es. uretra, vescica, orifizio anale, retto); tetano; cancrena; fallimento della cicatrizzazione con esiti cicatriziali che possono anche condurre alla sterilità o al danneggiamento degli organi interni o alla sepsi generalizzata che conduce alla morte.
d. Un aspetto ben testimoniato dalle sottoposte a MGF ma poco sottolineato, è il disvalore che investe la figura materna agli occhi delle piccole mutilate, con conseguente distruzione dell’autostima e della fiducia nelle relazioni tra donne. Tutte le bambine sognano di diventare presto adulte (…), ma non ricevano informazioni veritiere su un momento, mai descritto ma da ritenere importantissimo nell’accesso al mondo adulto con i suoi luccichìi. L’abbaglio di chi ignora completamente la mutilazione che sta per subire s’accompagna al silenzio delle figure femminili di riferimento – nonne, madri, zie, altre parenti, affini e amiche – garanti di una tradizione cui loro sono sopravvissute. (…) Sono loro a immobilizzare e mutilare le bambine, raramente un uomo.
(…) L’ignoranza del proprio corpo e dei propri diritti comporta che non si capisca neppure appieno l’accaduto.
(…) Nessuna famiglia può essere più percepita come prima dalla mutilata, avviata su una strada senza ritorno poiché eventuali operazioni, spesso neanche conosciute o prese in considerazione, sono solo parzialmente ricostruttive.
(…) Delle MGF non si è parlato fino agli anni Settanta, quando hanno cominciato a circolare in Europa, tramite i canali femministi, le prime informazioni in merito e si sono attivati i primi percorsi d’approfondimento e di solidarietà e saperi ripresi da organizzazioni nazionali e internazionali.
(…) Resta inoppugnabile il fatto, per quanto riguarda l’Italia, che la presenza coloniale in Africa ha significato per tanti uomini venire a conoscenza delle MGF sia che sposassero donne del posto, o avessero rapporti prostitutori, o studiassero usi e costumi da laici o da missionari. La politica del silenzio, del non invadere la sfera privata, del garantire tradizioni funziona sempre quando il soggetto è la donna, meno quando si tratta di interessi economici e militari.
(…) Superare le MGF è possibile solo cambiando il paradigma sessista di fondo ed educando al rispetto del corpo e dei diritti altrui.
(…) Nessuna tradizione è mai scomparsa spontaneamente specie se ammantata di religiosità e specialmente in regimi di semianalfabetismo o di analfabetismo delle donne. Non a caso, sono le più giovani, entrate in contatto o cresciute in paesi occidentali d’immigrazione, che rese edotte dai mezzi di comunicazione più che dalla scuola, dove l’argomento è tabù, conoscono e riconoscono le MGF e aprono conflitti per non sottoporvisi (a loro volta emarginanti e/o mortali).
(…) È inquietante e diffuso il ricorso all’inganno per portare le prepuberi o le ragazze non mutilate nei paesi d’origine per le MGF effettuate all’insaputa del padre o della madre non consenziente che credevano la figlia “in vacanza”, quando non si tratti di veri e propri rapimenti allo scopo.
(…) Nel discorso, ancora lungo, del parlarsi tra uomini attraverso il corpo delle donne, le figlie non mutilate inficiano il controllo su di loro, con discredito degli uomini cui “appartengono”.
(…) Le MGF, in realtà sono uno strumento che gli uomini di una particolare comunità ritengono ineludibile per “accettare un corpo di donna” che dia garanzie di verginità e certezza della paternità.
(…) Padre e marito sono i veri protagonisti sulla scena delle MGF che riportano, sul corpo di una donna, l’atavica ansietà maschile sull’appartenenza della propria discendenza.
(…) Mentre qualsiasi rito di passaggio, propriamente detto, ha un prima, un durante e un dopo che, seppure con violenza, valorizza l’individualità senza danneggiare il/la protagonista destinat* alla comunità, le MGF riducono il “valore di una donna” all’esclusività “riproduttiva” del suo apparato genitale che verrà “aperto e chiuso”, come una scatola, prima e dopo ogni rapporto sessuale.
Oggi in molt* cominciano a prendere le distante dalle MGF nella certezza che possono essere cancellate senza per questo distruggere culture intere. (…) Chi ostacola, per motivi moraleggianti, la diffusione dell’informazione sulle MGF in ore di grande ascolto appigliandosi allo chok che ne può provare l’utenza, non ravvisa lo stesso trauma nel fornire immagini di corpi devastati da attacchi terroristici, guerre e delinquenza a tutte le ore del giorno e della notte e massimamente in quelle in cui la gente è a pranzo o a cena. Non l’immagine violenta, ma l’immagine di ciò che viene fatto sulle donne è celato in nome della diplomazia e della tradizione. Sradicare le MGF richiede un chiaro e convinto sostegno (…) e un’informazione corretta e non scandalistica che fornisca immagini e le spieghi.
(…) A oggi, le donne (viventi) che hanno subito le MGF superano i duecento milioni.
(…) Nel Rapporto del Minority Rights Groups, curato da Scilla McLean, si legge:
“L’elemento che determina la permanenza o meno di un valore, di un rito, di una pratica, di un costume, in una determinata cultura è il consenso”, scrive l’antropologa femminista Gioia di Cristofaro Longo esperta di migrazioni, mobilità, relazioni interculturali, nel parlare dei processi di cambiamento culturale: “Il consenso è l’elemento imprescindibile di ogni contenuto, forma, fenomeno cultura esitente in una determinata cultura. Il consenso, cioè, è condizione di esistenza di norme, valori, credenze che orientano azioni e determinano comportamenti. Si ha, infatti, un valore culturale se e quando intorno a questo valore si realizza consenso” [ii][4]
Collettivamente e individualmente, l’associazione di cui faccio parte, il Paese delle Donne, non è consenziente sulle MGF. Noi non diamo il nostro consenso.
[1] Marco Mazzetti (a cura di), Senza le ali – mutilazioni genitali femminili, Ismu Fondazione Carialo per le Iniziative e lo Studio sulla Multietnicità,Milano, Franco Angeli, 2000.
[2] Mutilazioni genitali femminili – Conseguenze sulla salute fisica e psichica, Aidos, Quaderno n. 2, 1995.
[3] Idem, pag. 5.
[4] Scilla Mc Lean (a cura di)., Rapporto del Minority Rights Groups, Circoncisione femminile escissione e infibulazione: realtà e proposte di cambiamento, Roma, Bulzoni Editore, 1982.