8 Marzo?
Austerity è sempre stato un nome sinistro per le donne, e già da tanti 8 Marzo ci
sottraiamo al tormentone delle iniziative sponsorizzate “per l’occasione”, appunto
prive di ogni sostegno economico, a causa di un’austerity, solo oggi conclamata.Non
abbiamo voluto così assecondare il pur minimo spreco significativo del nulla
politico.
_ Negli ultimi 8 marzo, così, abbiamo pensato ad una concretezza a costo zero da
attuarsi nella completa autonomia dei soggetti in ballo : Comune e movimento delle
donne.
Siamo riuscite così a dare alla città due simboli, operativi e tangibili: una
delibera “città libera dalla pubblicità offensiva” voluta da tanti soggetti
femministi (collettivi, associazioni convenuti sullo stesso intento) e una targa
alla memoria di Teresa Buonocore (stessi soggetti).
_ Poco ci ha riguardato
l’esclusione dalle ritualità ufficiale, quei gesti e quelle realizzazioni sono
rimaste nel patrimonio comune e rimangono scuola di una capacità di singole donne a
rispondere dalle istituzioni “forzando” i limiti di uno stato a misura d’uomo.
Anche quest’anno non abbiamo chiesto nè sponsorizzazioni, nè patrocini per la nostra
attività di sempre ed anzi abbiamo voluto unirci ad un movimento nato al di fuori
della nostra associazione.
Parliamo della splendida iniziativa messa in piedi con
intelligenza devolutiva da Maria Pia Ercolini “[toponomastica femminile->http://www.facebook.com/groups/292710960778847/]”.
L’atto
simbolico richiesto consiste nell’espressione di di un concreto impegno ed il costo
di una targa, anzi di tre targhe perchè tante sono le donne autorevoli che in ogni
città le donne si stanno impegnando a proporre. Abbiamo così formalizzato alle
autorità interessate la richiesta avanzata da ormai più di mille soggetti nel paese.
Non ci aspettavamo entusiasmo nè tardivi ripensamenti nel modo complessivo di
interloquire con le cittadine, ma l’espressione seria di un intento.
I risultati in altre Città potranno darci la misura “del nuovo che avanza nel
paese”. Questo non perchè i nomi possano taumaturgicamente “cambiare”, ma perchè
dagli atti simbilici ne vengono altri concreti.
_ Se il femminismo italiano non è
all’anno zero, la cultura nel paese lo è nei confronti delle donne.
_ Alleghiamo risposta, l’unica che abbiamo potuto dare all’unico riscontro ottenuto
dal nostro “nuovo nel paese”, che non richiede ulteriori commenti.
I commenti vanno invece fatti su come nelle istituzioni si confermi una modalità
espressiva nelle date importanti come l’8 Marzo e il 25 Novembre: una modalità
sighificativa del rifiuto di interloquire con la politica delle donne.
Tutto si
riduce a celebrazioni ed ad iniziative “pensate autonomamente” da donne e/o uomini
nel potere, nelle quali le donne sono molto meno che comprimarie, piuttosto un
ornamento alternativo a quello berlusconiano.
Sarebbe avvilente tentare una polemica
su questo punto, ci limitiamo ad osservare che per quanto buone ed intelligenti, le
iniziative ufficiali, anche delle Istituzioni locali, siano vuote del vero passo che
si dovrebbe fare l’8Marzo: il riconoscimento dei soggetti che premono per la
democrazia “del due”, non generici o indistinti, ma vivi, nominali e operanti. Il
potere a tutti i livelli continua a riferirsi alle donne come ad un vuoto
soggettivo, da riempire secondo le mode emergenti e possibilmente incarnate in
realtà non propositive, ma piuttosto querule di attenzioni purchè siano.
8 marzo
Ancora una volta ci chiedono che senso ha questa ricorrenza. Nessuno
fa la stessa domanda per il 1°maggio, chissà perché. Incroci sbagliati
del pensare simbolico? Comunque, rievocando la tradizionale risposta
delle donne che sarebbe carino rovesciare il valore evocativo sugli
altri 364 giorni, invitiamoci a raccogliere le forze perché, appunto,
il resto dell’anno sarà più difficile a causa dei pesi che si
scaricano sulle spalle femminili soprattutto nei tempi di crisi: per
tutti, perfino per alcune di noi, le donne sono l’ammortizzatore
sociale “naturale”.
Già da tempo{{ ragazze giovani si licenziano
rinunciando a un lavoro precario}} che serve spesso a pagare una badante per il nonno con l’Alzheimer, senza sapere che la frustrazione sarà
così grande da mettere a repentaglio gli equilibri familiari.
{{Anche
questa è violenza}}, come è violenza riconoscere la parità senza
“differenza”: ai tempi di Anna Maria Mozzoni si pretendeva l’uguale
pagamento delle tasse senza ritenere uguale il voto; {{oggi si chiede
il comune pensionamento anche se la carriera femminile è stata
danneggiata}} dai ritardi dovuti ai compiti familiari addossati a un
solo genere.
Ma in questi mesi del 2009 {{tutti i media hanno messo in rilievo la
violenza sessuale}}, con due operazioni di denuncia scorretta: {{è
ritornata la “donna-vittima” da tutelare}} (con le ronde pronte alla
difesa delle “nostre” donne) e {{si calca la mano sullo straniero}}, come
se non si sapesse che il maggior numero di violenze – pedofilia
compresa – si scatena all’interno della famiglia. Accade così che la
violenza è diventata il paradosso di una “violenza sulla violenza”.
Eppure sono passati davvero molti decenni da quando Freud ha insegnato
la connessione fra le pulsioni di vita e di morte e le violenze.
_ Perfino le donne che sono impegnate nei movimenti nonviolenti sanno
quanta sia la fatica di trasmettere la testimonianza di genere ai
maschi, capaci di rifiutare la guerra ma indifferenti alla
responsabilità di rispettare i “no” delle loro compagne.
Nella catena
dell’evoluzione {{l’uomo mantiene legami tutt’altro che deboli con il
rapporto predatorio sui corpi femminili}} e il diritto patriarcale di
proprietà sulla famiglia: il controllo sulla libertà altrui, la
mancanza di rispetto per la dignità femminile, il sesso espresso come
sopraffazione genitale, la reazione violenta verso chi uno dice di
amare non solo sono intollerabili in un regime di civiltà, ma sono un
limite a nominare la pace.
_ La pace per porre termine ai conflitti, la
pace sociale, la pace familiare reclamano la nonviolenza totale,
quella che nasce dal sopprimere l’ideologia dell’ “amico/nemico”
istintivamente radicata nei rapporti detti d’amore che possono
uccidere nel corpo e, con lo stupro (ripeto: anche domestico e
coniugale), nell’anima.
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