Vite, lavoro, non lavoro delle donne
Bologna 3-4 marzo: l’incontro organizzato da un gruppo di lavoro espressione dei comitati Se non ora quando? sul tema “Vite, lavoro, non lavoro delle donne”. Nella sala del Consiglio comunale di Bologna si accalcano quasi 300 donne, non tutte riescono ad entrare. E’ stato spento il riscaldamento, ma non si possono aprire le finestre, perché dalla piazza arrivano le canzoni di Lucio Dalla, che accompagnano la lunga coda di persone che aspettano per un ultimo saluto.
Ma è un realtà di sfondo, una colonna sonora che in questo momento distrae, anche se appartiene a molte. Noi siamo qui per parlare di noi, di vite, lavoro, non lavoro delle donne.
L’incontro è stato organizzato da un gruppo formatosi dopo un incontro nazionale dei comitati Se non ora quando? E’ uno degli incontri da cui prenderà forma {{un’agenda politica di donne}}.
{{Nell’intervento introduttivo}} a nome dell’intero gruppo di lavoro, una giovane bolognese sottolinea che siamo qui “non per festeggiare né per protestare, ma per avanzare proposte insieme”, perché nel momento in cui il governo Monti si occupa della riforma del mercato del lavoro, è necessario “che la nostra voce sia forte”.
{{Serena Sapegno}}, del comitato promotore nazionale, sottolinea che “non stiamo parlando fra di noi: questo è un discorso pubblico” che va portato ovunque. Vede nell’esperienza di Se non ora quando? un elemento nuovo: “storicamente il movimento delle donne ha sempre avuto il problema di entrare in rapporto con le generazioni più giovani: qui giovani donne prendono voce in rapporto, non in opposizione a quello che c’è stato prima”.
I lavori si aprono con {{sei storie di vite}}: sei donne diverse per età, condizione, provenienza, si raccontano. Poi tocca a dieci donne autorevoli, chiamate a mettere a disposizione la loro competenza per il lavoro delle sessioni tematiche che si svolgerà nel pomeriggio.
{{
Paola Villa}} ricostruisce le politiche europee per l’ occupazione che negli anni ’90 hanno guardato con particolare attenzione all’occupazione femminile, mentre adesso sembrano aver perso una dimensione di genere. Inoltre, di fronte alla crisi, a cui si applica una cura che “è peggiore della malattia, fatta di austerità e disciplina fiscale”, viene smantellato il sistema di welfare europeo. Le donne, afferma, “ possono essere motore per uscire dalla crisi, ma questo è possibile solo se si mantiene lo stato sociale, se c’è la condivisione, ecc.”
{{Anna Maria Simonazzi}} propone una serie di misure volte a incrementare la domanda di lavoro: se non c’è domanda le donne non possono entrare nel mercato del lavoro in modo competitivo.
Fra le misure auspicabili una riorganizzazione del processo produttivo che tenga conto di quanto la maternità pesa anche sui bilanci delle imprese: bisogna far sì che “sia indifferente per un imprenditore assumere un uomo o una donna”. Sottolinea come l’invecchiamento della popolazione “aumenta il problema della conciliazione” e che bisogna “scaricare onore e onere del lavoro di cura anche sui maschi, con congedi di maternità/paternità più lunghi, meglio pagati e obbligatori”.
La relazione di {{Antonella Picchio }} vuole affrontare il tema “in una prospettiva femminista” (se non ho preso male gli appunti è la prima volta nella mattinata che viene usata questa parola).
Picchio sottolinea come “l’esperienza delle donne parte dalle vite e non dai lavori, con una lucidità profonda sulle condizioni effettive dell’intero ciclo di vita delle vite delle persone che hanno attorno e rispetto a cui assumono responsabilità”. E partire da questo punto di vista aiuta a evitare il pericolo di essere riduttive nel parlare della crisi, che ha effetti nella vita, nelle vite.
_ Conduce poi un’attenta analisi della{{ natura del lavoro di cura/domestico,}} che è relazionale (ma anche altri lo sono), materiale (ci sono corpi da accudire), ma “ciò che lo distingue è che è comandato dalla responsabilità verso sé stessa e verso gli altri. E’ un lavoro responsabile per la sopravvivenza degli altri, nell’intero ciclo di vita”. E in questo ciclo “noi curiamo bambini e anziani, ma soprattutto i maschi adulti, che sono animali più vulnerabili di altri animali e hanno bisogno di cure quotidiane per riuscire a lavorare, vivere, convivere. Questa vulnerabilità maschile, che è la norma, non è posta nello spazio pubblico, ma solo nello spazio intimo, privato, che da questo viene devastato. Ci serve oggi una teoria economica adeguata, un’analisi strutturale del sistema, che riconosca la centralità del conflitto”.
_ Picchio invita {{a smontare alcuni luoghi comuni}}: “Le imprese non ci danno l’asilo non perché non hanno capito che ce n’è bisogno, ma perché non vogliono assumersi la responsabilità
delle condizioni di riproduzione della forza lavoro.” E ancora: “L’obiettivo del neoliberismo è stato quello di abbassare le condizioni di vita della classe lavoratrice” e di riassumerne il controllo attraverso una maggiore insicurezza sul lavoro.
_ Per capire la crisi – afferma – occorre {{uno sforzo di radicalità molto forte}} e dobbiamo trovare le forme per esprimere questa radicalità: la crisi sta funzionando come un meccanismo di ristrutturazione. La drammaticità della cura posta in atto, non è un caso, è l’obiettivo.
_ Picchio introduce {{un elemento forte di discontinuità }} rispetto ad affermazioni correnti: “E’ insopportabile dire che le donne sono ‘risorse inutilizzate’ e devono lavorare di più. Lavorano già di più. Il nostro lavoro di cura è la grande infrastruttura produttiva di questo sistema”.
E conclude affermando che “dobbiamo {{demistificare la catena di responsabilità che va dalla totale irresponsabilità delle banche alla responsabilità che pesa sulle donne}}. Le politiche pubbliche devono basarsi sulla responsabilità”.
{{Anna Salfi }} riprende il filo delle prime relazioni (eppure l’applauso che ha segnato la fine dell’intervento precedente è stato tale da far pensare che Antonella Picchio avesse interpretato il sentire profondo delle presenti …).
_ Si tratta di “promuovere occupazione femminile di qualità, di conoscere e diffondere le migliori pratiche esistenti a livello europeo”. Invece, in Italia, ma non solo, “il binomio tagli alla spesa e blocco alla spesa, con il patto di stabilità, impedisce ai comuni di rinnovare e rendere più efficiente il welfare”.
Nel contributo di {{Cristina Morini}} ritrovo la radicalità (di cui sento il bisogno). Parla, da precaria, del precariato. Il nostro è {{il tempo “dell’impermanenza programmata”, dell’instabilità.}} La lettura del dualismo fra ipergarantiti e precari (vecchi contro giovani) è “tutta ideologica, interna al capitalismo contemporaneo che la produce e non la può sanare”. Tutto il dibattito sull’art. 18 è costruito per creare e approfondire una contraddizione solo apparente.
_ Anche per Morini diffondere{{ insicurezza e “paura”}} per la perdita del posto è “strumento di controllo e dominio”. La divisione esclusione/inclusione, lavoro/non lavoro viene privilegiata rispetto alle divisioni di classe, genere, razza, senza superarle, anzi… Ci sono esperienze di lotta, forme di resistenza dei corpi (Val di Susa e varie esperienze di Occupy): “in queste lotte un femminismo autentico e radicale può portare il contributo di pratiche straordinarie”.
_ Conclude affermando che solo {{un reddito di base incondizionato}} può essere una garanzia in questa dimensione dell’impermanenza: rispetto a questo non va misurata tanto la sostenibilità economica, quanto la volontà politica.
{{Stefania Scarponi}} fa un’analisi delle {{norme che rendono possibile la precarietà come condizione di tanti e tante}}. “Le donne sono più numerose nelle tipologie precarie di contratto, ci mettono di più a stabilizzarsi e hanno salari più bassi”. Le norme si sono piegate alle ragioni dell’economia: invece “i diritti fondamentali non sono negoziabili a seconda delle contingenze economiche”.
_ Fra le riforme utili e necessarie, chiede il ripristino di alcune norme (quella contro le dimissioni in bianco), e chiede una condivisione del lavoro di cura “anche per spingere le donne nel mercato del lavoro”.
Scarponi condivide con Morini la strumentalità della discussione sull’art. 18 e si chiede: “ma perché se un dualismo c’è, deve essere eliminato solo al ribasso?”
{{Letizia Mencarini}} affronta il tema delle {{discriminazioni}} in base all’assunto che “far lavorare le donne, conviene”. E che le discriminazioni quindi sono dannose non solo per chi le subisce.
Mencarini condivide la tesi che le donne italiane abbiano vissuto una “rivoluzione interrotta”.
_ A partire da una “rivoluzione raggiunta nell’istruzione”, poi sul lavoro tutto cambia: c’è una “rivoluzione incompiuta sul lavoro, una rivoluzione tradita nel lavoro domestico, una rivoluzione mai iniziata nella politica”: ci sono poche donne in politica e pochi temi di genere nell’agenda politica.
_ Afferma che c’è una mentalità da sconfiggere, tre miti da sfatare: “non è vero che le donne che lavorano fanno meno figli; non è vero che il lavoro della mamma fa male ai figli; non è vero che le donne che lavorano sono più frustrate e infelici. La verità di quest’ultima affermazione dipende molto da quanto lavoro non pagato queste donne si ritrovano a casa.
Ancora sulle discriminazioni {{Rosa Amorevole}} sottolinea la mancanza di dati certi sul fenomeno e propone di escludere dagli appalti della P.A. le ditte che discriminano le donne.
{{Rossana Trifiletti}} affronta il problema del {{welfare}} affermando la necessità di superarne una “visione lavorista” (la ricchezza del titolo dell’incontro va in questo senso). Non ci basta che sia diventato conveniente far lavorare le donne, il problema è “a quali condizioni”.
I teorici della cosiddetta terza via dicono che laddove le donne lavorano di più, fanno più figli, questo riduce la povertà dei bambini, che sono meglio tenuti, più sani e più curati e quindi in grado da adulti di pagare più tasse (perché guadagnano di più…).
_ Ovviamente per questo servono più servizi, oltre che più lavoro. Ma questa visione è molto riduttiva. Certamente il welfare italiano non è andato in quella direzione.
_ L’attuale crisi però può essere “un’occasione strategica, perché ci costringe a guardare tutti gli aspetti delle politiche sociali”.
_ Trifiletti analizza{{ il welfare italiano}}, che non somiglia, né somiglierà mai a quello del nord europa. Ma non perché è arretrato, bensì perché è una peculiare combinazione di stato-mercato, famiglia.. Questo welfare è un “welfare familista”, ma non nel senso che lo Stato protegge la famiglia, perché non è vero, ma nel senso che “copre quello che la famiglia non riesce a coprire” e “non protegge dai rischi da cui la famiglia si può proteggere da sola”.
_ E’ un welfare nato a pezzi, con misure frammentarie per categorie (lo definisce “welfare ad universalismo additivo). E adesso la crisi porta a tagliare “servizi di cui le donne sono la maggioranza dell’utenza”.
{{Franca Bimbi}} conclude le relazioni introduttive affermando che “siamo qui per lanciare{{ qualche prospettiva/proposta che da un punto di vista di genere}} investa tutta la società”. Condivide la preoccupazione di chi invita a non seguire un percorso troppo “lavorista/occupazionale”: il fatto che non ci sia più Berlusconi non vuol dire che “possiamo far sparire il tema corpo/dignità”.
_ Nei {{servizi sociali}}, laddove ci sono, come in Emilia Romagna, dobbiamo stimolare una “partecipazione contestativa, un atteggiamento critico/contestativo da parte dei cittadini”.
_ Rilancia la proposta di una “misura universalistica di sostegno al reddito, perché la distribuzione del reddito attraverso il mercato è inadeguata rispetto ai bisogni”.
_ Conclude con una visione del futuro, in cui, di fronte a 7 miliardi di abitanti della terra, che continueranno a premere verso l’Europa, noi “non don dobbiamo farci colpevolizzare perché facciamo pochi figli , ma dobbiamo fare accoglienza dei migranti che arrivano con i loro figli”.
Alla ricchezza delle relazioni non ha purtroppo corrisposto un altrettanto ricco pomeriggio di {{lavoro per gruppi}}. Mi riservo di tornare sulla tecnica partecipativa utilizzata (denominata {{world cafè}}) e per ora mi limito a dire come la maggior parte delle partecipanti con cui ho parlato ne fossero rimaste insoddisfatte. Ricca di stimoli, anche se più tradizionale la plenaria di domenica mattina.
Due giornate come queste non danno comunque risultati immediati, ma {{aprono un percorso}}. Sul sito nazionale e su quello bolognese di Se non ora quando? mi aspetto di trovare i materiali dell’incontro e le indicazioni per le tappe che verranno.
Grazie a tutte quelle che lo hanno organizzato e a tutte quelle che hanno partecipato.
{vignetta di Pat Carra}
Vite, lavoro, non lavoro delle donne
L’11 e il 12 febbraio 2012 Se non ora quando si dà nuovamente appuntamento a Bologna per discutere di lavoro, precarietà e welfare. Pubblichiamo il testo del comunicato.Fra il 2008 e il 2009, circa 800.000 donne in Italia hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere nel corso della loro vita professionale, in seguito alla nascita di un figlio.
_ Lavorare o diventare madre: è la difficile scelta che le donne devono affrontare sempre più di frequente. Le carenze del welfare sono spaventose.
A parità di condizioni, le donne in Italia sono più precarie, meno pagate e inquadrate a livelli inferiori rispetto ai loro colleghi uomini. Il baratro inghiotte almeno un’intera generazione di giovani donne che oggi sono senza alcuna prospettiva stabile.
Abbiamo intenzione di elaborare, insieme a tutte le donne che vorranno essere presenti, delle proposte politiche precise per cambiare rotta. A un anno di distanza dalla manifestazione del 13 febbraio 2011, il comitato Unite, diverse e libere-Se non ora quando Bologna si fa promotore di un nuovo incontro sulle condizioni delle donne nel mondo del lavoro, sulle drammatiche carenze del welfare state in termini di servizi essenziali e sull’elaborazione di proposte politiche alternative.
L’incontro di Bologna vuole essere una fucina di idee e di proposte politiche concrete che possano dare un contributo alla costruzione di una nuova agenda politica che sia pensata per le donne, e non contro di esse.
{{Per maggiori informazioni}}:
– blog: [senonoraquandobologna.women.it->http://senonoraquandobologna.women.it]
– mail: [snoq.bologna@gmail.com->mailto:snoq.bologna@gmail.com]
Lascia un commento