Per amore della rivoluzione
“Non per odio ma per amore”: un libro che, in “questo presente dettato dalla mortificazione” a cui ci induce il capitalismo del “debito”, è in grado di trametterci un altro sentiero di senso che ci viene dalla ricostruzione di biografie rivoluzionarie di donne dimenticate. {Non per odio ma per amore}, di {{Paola Staccioli}} e {{Haidi Gaggio Giuliani}}, appena edito da Derive Approdi (pp. 238, euro 15, con una prefazione di Silvia Baraldini) è, innanzitutto, un libro denso, che ci propone un gesto di restituzione in grado di tenere assieme la storia delle lotte antimperialiste e anti-coloniali, con le singole storie di alcune donne che di questo hanno fatto la loro ragione di vita.
Un intreccio importante perché indica il bisogno che abbiamo, tutte e tutti, di{{ non disincarnare più la politica}}, di non collocarci solo dentro i “discorsi”, ma di fare, praticare, agire, a partire da un desiderio unico e molteplice, allo stesso tempo. Ma non è solo il bisogno di restituzione delle vite e della storia ad animare questo libro. Paola e Haidi ci spingono a{{ fare i conti anche con ciò che può voler dire “essere comuniste” oggi}}. In un tempo sempre più spostato solo sul presente, che anche non volendo, cancella la genealogia dalla quale proveniamo, parole come “autodeterminazione”, “popoli”, “comunismo”, “libertà”, di primo acchito possono spiazzarci, oppure possono apparire desuete, lontane, specie per il pensiero femminile e femminista. Eppure la forza del volume è anche questa: oltre a compiere un gesto di restituzione, ci obbliga a sentirci parte in causa di una genealogia.
Spesso, nel femminismo, l’esperienza anti-capitalista e anti-coloniale, internazionalista, è stata sbrigativamente letta come la riproduzione femminile di un pensiero maschile. Non è vero. Le donne di cui si ricostruiscono vita ed esperienza politica in questo libro ({{Tamara Bunke, Elena Angeloni, Monika Ertl, Barbara Kistler, Andrea Wolf, Rachel Corrie}}) prima in forma romanzata, poi in forma storico-cronologica, si situano{{ nello stesso solco lasciatoci da una loro illustre compagna, uccisa molto prima: Rosa Luxemburg}}. Sono donne che abbandonano la dolce vita borghese, spesso imbracciano le armi, amano, ma hanno anche la forza di abbandonare i loro amori, si autodeterminano, rischiano tutto e non solo per inseguire l’ideale rivoluzionario, ma anche e soprattutto perché dentro il bisogno di rovesciare l’ordine dato, c’è la spinta verso la relazione con l’altro, ovvero verso i popoli oppressi, c’è la spinta verso la giustizia.
Sottolineare il gesto d’amore, per cui queste donne hanno perso la vita in Kurdistan, in Bolivia, in Palestina, in Grecia, -assecondando la dimensione della retorica della “non violenza”, specie se ci si riferisce alle donne- è importante anche per la storia del femminismo. Tanto più se, andando a rileggere queste biografie, ci accorgiamo della {{dimensione anti-eroica}} praticata nella loro esperienza dall’inizio alla fine, tanto più se ci sembrano donne reali, attraversate da un desiderio di fondo esclusivamente fondato sul ribaltamento dell’ingiustizia a cui sono state condannate e sono ancora condannate migliaia di persone sul pianeta. In fondo che ce ne facciamo della libertà se riguarda solo l’individualità? Se non spinge verso la liberazione di tutte e tutti gli sfruttati e le sfruttate?
Riscrivere o restituire una storia fatta di sommersi e salvati intrecciando singole biografie ad eventi storici internazionali è anche stata la posta in gioco letteraria di {{Pino Cacucci}}. “{Nessuno può portarti un fiore}”, libro bellissimo, è rintracciabile, come un’eco di rimando, anche se mai citato, in ogni pagina di {Non per odio o per amore } e non solo perché le autrici riscrivono, romanzandole, le biografie di queste donne fortissime, ma anche e soprattutto perché tendono a sottolineare quanto, di fatto, non siano state rispettate neppure nella morte, neppure dopo essere state uccise. Il corpo di {{Monica Ertl}}, militante dell’ELN in Bolivia, accusata di aver ammazzato il terribile e sanguinario Roberto Quintanilla, con una P38 che gli aveva dato Giangiacomo Feltrinelli dopo essere entrato nei GAP, non è mai stato restituito. Stessa situazione per {{Barbara Anna Kistler}}, uccisa dall’esercito turco in Kurdistan, mentre combatteva per liberare quel territorio resistente e martoriato. O la tragica morte di{{ Rachel Corrie}}, investita volontariamente da una ruspa israeliana, mentre difendeva con il suo corpo il territorio palestinese. O ancora, le insinuazioni postume perpetuate da alcuni contro{{ Elena Angeloni}}, morta in Grecia, mentre cercava di resistere per liberare il popolo greco dalla dittatura dei colonnelli.
{{Donne dimenticate, ma centrali per ricostruire la storia rivoluzionaria}}, come le biografie che ricostruisce Cacucci, donne a cui spesso non è possibile portare un fiore perché private persino della dignità nella morte, donne che della loro dignità e della dignità del mondo avevano fatto la loro ragione di vita.
In altre parole dobbiamo essere grate a Paola Staccioli e a Haidi Giuliani per aver scritto questo libro, perché {{in questo presente dettato dalla mortificazione}} a cui ci induce il capitalismo del “debito”, sono state in grado di trasmetterci un altro sentiero di senso: quello per cui tutte e tutti siamo in debito nei confronti delle biografie rivoluzionarie che ci hanno preceduto.
Lascia un commento