Mi è mancata una riflessione maschile autonoma, non solo sulla violenza, che non ripetesse quello che già dicono le donne
Da tempo che sto meditando su questo corteo, seguendo con grande
interesse la discussione che è girata intorno all’organizzazione. Una
delle cose che ha generato molta confusione, mi sembra sia stato lo
spostamento del soggetto, anche in senso grammaticale. Non sono più le donne che parlano della propria condizione di violenza subita, ma {{è la violenza il soggetto di una frase che ha le donne come
complemento oggetto}}! Ovvio che siamo tutti contro la violenza sulle
donne (anche perchè sappiamo che è la radice della violenza contro
tutte le soggettività autoderminate), ma potranno essere le donne a
raccontare la violenza subita dagli uomini?
Ho letto anche da più parti tirare in ballo {{il discorso trans}} (mai da
trans!), di solito in modo abbastanza pretestuoso e falsamente
ideologico, e mi sono sentito parlare addosso per l’ennesima volta.
Tra l’altro, da quanto è stato raccontato da chi ha partecipato alle
riunioni organizzative, erano presenti delle {{trans alle riunioni, ma
non hanno rivendicato una specificità trans della violenza}},
riconoscendosi, in questa occasione, nel percorso che le altre donne
stavano facendo. Mi sembra una posizione chiara…
Cerco di dare (provvisoriamente, perchè sono ancora in meditazione)
una mia lettura della cosa.
_ La parte di pancia che ha riflettuto su tutto ciò si è trovata
spaccata tra due mondi impossibilitati a parlare tra loro: {{ho avuto
la percezione fisica di cosa sia la dicotomia di genere dentro di me}},
di come crei delle fratture sia individuali che collettive, che
limitano la complessità di ognuno di noi.
Questo per me non significa però cancellare le differenze, non tenere
conto di vissuti, educastrazioni (come diceva Mieli), socializzazioni
diversissime. Il queer al momento è un orizzonte lontano lontano…
_ E’ vero che parte della mia storia è ‘segnata’ da una socializzazione
femminile (dico segnata perchè ne ho sempre vissuto il peggio senza
interessarmi di quali potessero essere gli aspetti positivi): conosco
la paura di sentirsi vulnerabili, ‘violabili’, il continuo stare sul
‘chi va là’. Vivere la vita nel sospetto e nella diffidenza mi ha
fatto vivere una vita dimezzata e oggi devo fare ancora i conti con
questa insicurezza.
Ma è anche vero che ad un certo punto ho fatto una scelta che mi
corrisponde più di ogni altra cosa. Ed è partendo da questa scelta
che voglio ragionare.
Da un lato, {{se io venissi al corte del 24 sarei percepito come uomo
d.o.c., non verrebbe fuori la mia storia}}, nè ho voglia di mettermi
cartelli esplicativi addosso! Dall’altro, non ho intenzione di
appellarmi ad un passato che non sento, e non è, la mia condizione
principale. La mia storia mi ha insegnato a vedere delle cose, mi
piace raccontare la complessità della mia esperienza, ma {{questa non è
riducibile alla ‘condizione femminile’, nè il 24 nè in altri giorni}}.
_ Questo non vuol dire che mi sono ‘sempre sentito’ uomo, gambero,
palombaro, imprigionato nel corpo sbagliato, e via discorrendo… per
me la discussione non sta assolutamente in questi termini.
Se devo denunciare un vuoto che {{mi è pesato in questi giorni}}, è stata invece {{una riflessione maschile autonoma, che non fosse solo sulla violenza o che non ripetesse quello che già dicono le donne}}. Mi è
mancato l’appoggio di un pensiero che sulla questione del 24, ma
anche più in generale, sapesse relazionarsi e non appoggiarsi come su
di un bastone.
La riflessione maschile, ad oggi, mi sembra
parassitaria, costretta dall’urgenza, ma poco sentita come una vitale
necessità.
Confrontandomi nei giorni scorsi con {{alcuni uomini gay}} sulla
mascolinità, ho dovuto rassegnarmi nel constatare che {{circa il corteo
del 24 non pensavano niente}}, nel senso che{{ la discussione sulla
violenza maschile verso le donne non faceva parte della loro
riflessione sul maschile}} (essendo gay): l’unica posizione era di
solidarietà verso il corteo, rispettando ma non condividendo la
scelta separatista.
_ Insomma, risolto il personale conflitto con un
maschile eteronormativo, si finiva con un generico ‘per me maschile e
femminile non esistono’ (in senso dicotomico).
_ Credo che quello che
mancasse fosse la consapevolezza e la riflessione da parte di una
soggettività critica.
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