Afghanistan: quale democrazia?
Oggi, il 16 febbraio, si svolge presso il Ministero degli esteri una conferenza con un gruppo di donne afghane a rappresentare, nelle intenzioni, una società sul cammino della democratizzazione e dello sviluppo. Il timore del Cisda e delle Donne in nero è che la visita del presidente afghano Karzai, legittimi quest’ultimo come uomo dello sviluppo democratico del paese mentre la realtà è quella di un paese che continua a fare passi indietro (come mostrano i dati di indagini svolte a livello internazionale).In occasione della visita a Roma del presidente afghano Hamid Karzai che incontrerà le più alte cariched el governo Italiano, il Cisda (Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane) e le Donne in nero di Milano hanno indetto ieri a Roma una conferenza stampa per far luce sullo stato reale della democrazia in Afghanistan e per chiedere che la missione Isaf sia riportata sotto il comando dell’Onu e che si faccia luce sulla distribuzione dei soldi della cooperazione internazionale.
Pubblichiamo di seguito il documento-volantino che sintetizza l’analisi e le richieste del Cisda e delle Din.
{{Afghanistan: ritirare il contingente militare italiano dalla missione “Enduring freedom” e riportare l’Isaf sotto il comando dell’Onu}}
“Nessuno Stato può portare libertà e democrazia a un altro Stato, ma può aiutare un popolo a lottare contro i suoi nemici.” (Rawa – Rivolutionary Association of the Women of Afghanistan)
{{1. Quale democrazia in Afghanistan.}}
Imposta con la guerra dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, la democrazia in Afghanistan si sta rivelando una mostruosa caricatura:
– il {{governo}} presieduto da Karzai è colluso con i fondamentalisti signori della guerra, responsabili accertati di crimini di guerra e contro l’umanità (vedi “Human Rights Watch del 2005 – Blood Stained Hands); costoro occupano i ministeri più importanti, amministrandoli come feudi personali e spartendosi il denaro destinato alla ricostruzione del Paese, inoltre controllano il territorio con le loro milizie private, spadroneggiando impunemente e gestendo il traffico di oppio, la cui produzione è cresciuta enormemente dopo la caduta dei taleban;
– il {{Parlamento}}, eletto in un clima di intimidazione e di brogli elettorali, è composto per il 85% da signori della guerra, taleban “moderati”, trafficanti di droga, religiosi conservatori, che soffocano la voce dell’opposizione democratica, come dimostra il caso della deputata Malalai Joya, aggredita fisicamente nella stessa aula parlamentare e continuamente minacciata di morte per aver denunciato in più occasioni i molti criminali che siedono indegnamente in parlamento e al governo; inoltre il 31 gennaio 2007 la Camera bassa del Parlamento afghano (Wolesi Jirga) ha approvato quasi all’unanimità una risoluzione che garantisce immunità (e quindi l’impunità) a tutti gli afghani coinvolti negli ultimi 25 anni di conflitti, inclusi il leader dei talebani Mullah Omar, l’ex primo ministro Gulbuddin Hekmatyar (indicato nel rapporto di Human Rights Watch Blood Stained Hands http://hrw.org/reports/2005/afghanistan0605/- 2005 – come uno dei maggiori responsabili di crimini di guerra commessi soprattutto negli anni della guerra civile tra il 1992 e il 1996), e molti membri del parlamento e del governo in carica, anch’essi macchiatisi di efferati crimini di guerra. [Il presidente Karzai ha recentemente rigettato questa risoluzione – come riferisce il Cisda stesso. ndr]
– la{{ Costituzione}}, che pur riconosce i diritti umani, politici e civili e la parità tra uomini e donne, è ostaggio dell’interpretazione restrittiva di mullah tradizionalisti e di presunti esperti di diritto islamico conservatori che ne impediscono l’attuazione, anteponendole la sharia (le donne infatti continuano a essere lapidate per “reati” come l’adulterio e considerate criminali quando fuggono di casa per sottrarsi alla violenza domestica e ai matrimoni forzati);
– la {{ricostruzione}} non decolla a causa della corruzione della classe politica e la popolazione continua a non disporre di acqua potabile, elettricità, scuole, ospedali, casa, lavoro e a vivere in condizioni di estrema miseria;
– i {{taleban}} si sono riorganizzati e hanno ripreso il controllo delle aree extraurbane delle province sud-orientali, da dove sferrano attacchi terroristici contro le truppe straniere e governative.
{{2. Le missioni internazionali Enduring Freedom e Isaf}}
– {{Gli abusi degli Stati Uniti.}} La missione di guerra “Enduring Freedom”, guidata dagli Stati Uniti con l’obiettivo dichiarato di abbattere il regime dei taleban per portare la democrazia in Afghanistan, catturare bin Laden e smantellare la struttura di al Qaeda, si è rivelata subito come guerra globale al terrorismo, combattuta con ogni mezzo e nella continua violazione delle leggi internazionali in materia di diritti umani.
Human Rights Watch ha documentato gli abusi degli Stati Uniti in Afghanistan ( vedi “Enduring Freedom” – Abuses by U.S. Forces in Afghanistan – marzo 2004; Rapporto annuale 2005; Rapporto annuale 2006), denunciando arresti arbitrari di civili, brutali rastrellamenti dei villaggi, violenze e abusi sulle donne, bombardamenti che colpiscono indiscriminatamente la popolazione, torture e uccisioni di detenuti, cui è negata l’assistenza legale nelle strutture di detenzione presso le basi militari di Bagram, Kandahar, Jalalabad, Asadabad.
A causa del loro comportamento sprezzante, gli Stati Uniti sono visti da gran parte della popolazione come forze di occupazione unicamente interessate a costruire basi militari sul territorio afghano per realizzare la loro politica imperiale nell’Asia centrale.
Intanto gli attacchi terroristici si fanno sempre più frequenti e brutali, un numero crescente di civili perde la vita, la rabbia e la delusione spinge molti afghani a vedere nei taleban una forza di liberazione dal nemico e una garanzia di stabilità per il futuro e quindi li appoggiano.
– {{Lo snaturamento dell’Isaf}}. La missione Isaf , autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nel dic. 2001, con il compito di assistenza al governo Karzai per il mantenimento della sicurezza, ha fallito il suo obiettivo, diventando sempre più subalterna alla politica americana.
Il territorio è ancora controllato dalle milizie dei signori della guerra, protetti dagli Stati Uniti perché loro alleati nella guerra contro il regime dei taleban.
L’Isaf, che nel 2003 è passata sotto il comando della Nato senza alcuna autorizzazione dell’Onu, è oggi chiamata ad estendere il suo raggio d’azione nel sud-est del paese, dal quale le truppe americane stanno per ritirarsi, e ad assumersi la responsabilità di continuare la guerra contro i taleban e i terroristi infiltrati in Afghanistan.
In questo modo l’Isaf cambia natura. Sovrapponendosi a Enduring Freedom e ereditando le sue funzioni, la missione Isaf diventa una missione di guerra; per questo la Nato sta chiedendo ai paesi della coalizione di aumentare i loro contingenti, di inviare forze speciali e mezzi militari, tipo cacciabombardieri, al fine di poter assolvere adeguatamente i nuovi compiti.
{{3. Che cosa chiediamo.}}
E’ ormai chiaro che la democrazia in Afghanistan è un miraggio, che il territorio non è stato pacificato e che il paese rischia nuovamente di precipitare nel caos.
{{E’ arrivato il momento di fare chiarezza e di ascoltare la voce dei democratici afghani.}}
_ Malalai Joya e molti democratici, che in lei si riconoscono, chiedono espressamente che l’Isaf ritorni sotto il comando dell’Onu per svolgere una più incisiva azione di peace keeping, il cui obiettivo primario deve essere il disarmo delle milizie dei signori della guerra, vera causa dell’instabilità del paese, e la consegna alla giustizia dei criminali che hanno compiuto abusi contro i diritti umani, molti dei quali siedono in parlamento e svolgono funzioni di governo. Chiedono cioè un radicale cambiamento nel modo di operare dell’Isaf, non il suo ritiro, perché temono che possa nuovamente scatenarsi una guerra civile.
Chiedono anche che l’Europa si smarchi dalla politica americana, impegnandosi sul versante della giustizia, sostenendo cioè un programma giudiziario nell’ambito della cosiddetta “transitional justice”, programma già applicato in paesi dove sono stati compiuti crimini contro l’umanità e che prevede l’istituzione di tribunali speciali per individuare e punire i responsabili di tutti gli abusi, consentendo di chiudere i conti con il passato e il ritorno alla normalità.
Ristabilire la giustizia è infatti il primo passo per dare il dovuto riconoscimento alle vittime, garantire la sicurezza e la pace, costruire istituzioni democratiche in grado di durare nel tempo.
Come donne di pace, da anni impegnate a fianco delle donne afghane contro tutti i fondamentalismi e per la democrazia, sosteniamo queste richieste e in più chiediamo al governo italiano di ritirare, nel rispetto dell’art. 11 della nostra Costituzione, il contingente militare dalla missione di guerra Enduring freedom, combattuta violando le leggi internazionali sui diritti umani e di farsi promotore, a livello europeo, di una politica che rilanci il ruolo dell’Onu e riporti l’Isaf alla sua missione originaria di peace keeping, liberando la coalizione dal pesante condizionamento della Nato che la rende completamente subalterna agli Stati Uniti.
Cisda ( Cordinamento Italiano A Sostegno Delle Donne Afghane) e Donne In Nero, Milano
{Cisda, via dei Transiti 1, 20127 Milano, 02.2890995, lauqua@tiscali.it}
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