Quando la soggettività femminile parla per voce propria
Ma davvero le contestazioni alle politiche sono stati episodi di violenza come ci raccontano I giornali e le TV? e davvero le organizzatrici hanno prevaricato le altre escludendo gli uomini dal corteo? e se ricominciassimo a riflettere sui conflitti tra donne?I giornali di oggi, e I TG di ieri hanno dato grande enfasi agli episodi di contestazione delle ministre ed ex ministre avvenute durante e alla fine del corteo. Alcune, come Anna Finocchiaro e Monica Lanfranco hanno esplicitamente parlato di “violenza”.
Così questo tema, insieme alla scelta delle organizzatrici di fare un corteo di sole donne, ha finito per offuscare il tema vero della manifestazione che era da un lato denunciare l’escalation di violenza che colpisce le donne (principalmente nelle loro case) e dall’altra dichiarare forte e chiaro il no delle donne a politiche xenofobe e razziste.
Ciò detto, a manifestazione finita, vale forse la pena di rilanciare la riflessione su due temi: il rapporto tra movimento femminista e uomini e la pratica del conflitto tra donne.
{{Separatismo for ever?}}
La scelta delle organizzatrici di un corteo di sole donne è stata contestata con due motivazioni prevalenti:
– non è giusto che gli uomini che hanno fatto un lavoro su di sé, da soli o in gruppo, non possano partecipare al corteo per dichiarare la loro presa di distanza dalla violenza del loro genere,
– il percorso decisionale che ha portato alla manifestazione non è stato un percorso condiviso perché il desiderio espresso da alcune realtà, che erano a favore della partecipazione maschile, non sono state prese in considerazione.
Premetto che non sono una pasdaran del separatismo, e premetto anche che, fin da tempi lontani, non ho mai guardato con sospetto le donne che avevano una doppia militanza (partiti misti e movimento delle donne).
_ Condivido però fino in fondo con le organizzatrici l’idea che dalla manifestazione dovesse emergere forte e chiaro, anche da un punto di vista simbolico, il fatto che erano le donne a dire basta alla violenza e alla sua strumentalizzazione in chiave xenofoba e repressiva, un altro “non in nostro nome”.
_ E come potrebbe la presenza di uomini al corteo non rendere opaco e meno forte quel “noi” che si ribella? Perché qui non si tratta, non si tratta mai, di dire che I maschi non hanno diritto ad una presa di parola pubblica contro la violenza con la propria autonomia di pratiche e di linguaggio, tutto al contrario si tratta di affermare con forza che i “noi” in campo sono due e che per dialogare davvero non è possibile nessuna sovrapposizione che confonde le voci e non ne lascia udire la partitura, come un’orchestra omofonica che non produce nessuna musica.
Per questo io {{credo che sia mal posta la questione “separtismo sì, separatismo no”}}, e si farebbe un grosso torto alle organizzatrici tacciandole di aver voluto decidere della intera pratica politica quotidiana delle altre.
_ Quella del 24 novembre era, e lo era esplicitamente fin dal titolo, una manifestazione di donne, non una manifestazione separatista, se le parole hanno per noi ancora un senso, e non escludeva gli uomini semplicemente li invitava a suonare un’altra partitura.
In Italia da molti anni uomini riuniti in collettivi, come Maschile plurale, riflettono sull’intreccio fra volenza maschile e “maschilità”, e molte donne impegnate nel movimento femminista hanno con loro un dialogo fitto e sicuramente reciprocamente stimolante.
_ Avrei accolto con ammirazione una proposta da parte di queste realtà di uomini “pensanti” di un corteo di soli maschi contro la violenza sulle donne, mi sarebbe sembrata simbolicamente un grosso segno di rottura con il loro genere e, nello stesso tempo una affermazione di autonomia da quel pensiero femminile e dalle figure del femminismo di cui tanta parta delle loro riflessioni e pratichesono ancora (dichiaratamente) permeate.
{{Pratica del conflitto o violenza}}
La contestazione delle ministre che parlavano non dal palco della manifestazione, che le organizzatrici non avevano voluto per evitare le solite passerelle di volti noti, ma dal palco che una televisione aveva eretto al centro della piazza (potenza dei media!) si sarebbe facilmente potuta evitare se le apposite ministre si fossero sottratte elegantemente alla giornalista della 7 che voleva intervistarle dicendo: “{intervistate le organizzatrici e le partecipanti, è la loro la voce che deve risultare protagonista}”.
_ Purtroppo le ministre non sono nemmeno state sfiorate dall’idea che le 100.000 partecipanti al corteo, che diceva altre cose rispetto a questo governo ed a loro stesse sulla violenza degli uomini contro le donne, non avessero bisogno di qualcuna che parlasse in loro nome, dimostrando quanto ancora difficile, se pure fondamentale, sia il rapporto tra elette e movimenti.
{{La contestazione c’è stata, ma c’è stata la violenza?}}
Concordo con Imma Battaglia quando dice che la presenza della Prestigiacomo al corteo, (quand’anche nata come provocazione) rappresentava in un certo senso il segno di una vittoria, anche se capisco il fastidio di chi ha preso male la presenza di una donna che ha fatto propria solo {la più facile} delle parole d’ordine della manifestazione respingendo palesemente la condanna delle politiche xenofobe e familistiche.
_ Ma non posso fare a meno di chiedermi come mai a ministri e capi del governo, capita continuamente di essere fischiati pubblicamente senza che questi episodi vengano bollati come “atti di violenza”.
_ Le ministre non sono state picchiate, e loro stesse hanno minimizzato l’accaduto.
_ La Prestigiacomo accompagnata da due cineoperatori che sembravano una via di mezzo tra I Blues Brothers e I nazisti dell’Illinois, è stata spintonata ma anche prontamente difesa dalle stesse partecipanti che pure ne contestavano la presenza. L’Avv.ta Bongiorno ha preso parte a corteo mischiandosi alle manifestanti e nessuna l’ha minacciata.
Perché allora una banale contestazione se coinvolge delle donne viene così enfatizzata dai media e da alcune anime del movimento stesso?
Di certo per quanto riguarda i mass-media è perché la soggettività femminile che parla con voce propria, una voce collettiva ma che non nasconde le differenze e non vuole portavoce, evoca lo spettro del caos che, come si sa, è nemico dell’ordine che è amico del patriarcato e della politica con la p minuscola (che non si basa sulla pratica della condivisione ma sulla rappresentanza).
La risposta diventa parecchio più articolata e complessa quando si cerca il perché tante donne accettino di vedere I propri conflitti ridotti a “manifestazioni di oche” come ha detto Lidia Ravera (ahinoi) o a episodi di violenza che inficiano anni di riflessioni e pratiche non violente (Monica Lanfranco).
Su questo sarebbe interessante riprendere il dibattito, il Paese delle donne sarebbe ben lieto di ospitarlo.
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