Abort is (not) a right
Sarebbe una gran bella cosa se riuscissimo a realizzare un coordinamento europeo di donne per i diritti di genere.
Ci aveva provato in Francia {Choisir}, che un paio di anni fa aveva promosso una campagna per l’estensione a tutta l’Unione delle migliori leggi dei diversi paesi su determinati temi. Anche {Snoq} aveva portato avanti l’idea di leggi comuni “di genere”, prontamente contestata – come già in Francia Choisir – perché le donne non sono “una specie protetta”. Peccato che la realtà sorpassi sempre l’immaginazione.
Almeno da quando perfino in Italia lo scandalo della clandestinità degli aborti ha prodotto {{una legge “per la maternità libera e responsabile” }} convalidata da due terzi del paese chiamato a referendum abrogativo, le donne europee si sentivano abbastanza al sicuro. Ovvero, noi italiane ci tenevamo la questione dell’obiezione di coscienza e anche alle altre non mancavano {{problemi che abbiamo sempre sbagliato a ritenere “piccoli”}}; ma a tutte bastava l’accesso legale all’aborto. Anzi, ormai molte – come me – si erano messe a pensare a nuove questioni antropologiche: se la RU486, la pillola del giorno dopo e quella abortiva privatizzeranno la decisione abortiva, di fatto, si autorizzerà la disponibilità del nostro corpo a rapporti irresponsabili e senza consenso?
Invece {{la doccia fredda }} sia del governo Rajoy in Spagna di cancellare, in nome della difesa della vita, le norme Zapatero del 1985, sia del voto europeo che ha bocciato (anche per l’astensione di alcuni europarlamentari PD, mentre francesi e tedeschi hanno accusato un fuorviante errore di traduzione per giustificarsi) la relazione della portoghese {{Edite Estela }} sul diritti riproduttivi, tra cui “l’aborto sicuro e legale”, da estendere all’intera UE.
Se diamo uno sguardo in giro, {{facciamo bene a non sentirci sicure}} e a prevenire altri guai. Infatti il panorama non è entusiasmante, a riprova del fatto che, sul piano dei diritti, la prima linea difensiva la facciamo noi.{{ Prescindiamo dagli Usa,}} dove le donne non si sono mai riprese dal colpo mortale di non essere riuscite (mancò il voto di due stati) ad emendare in forma paritaria la Costituzione; tuttavia è assai grave che negli ultimi tre anni più della metà degli stati abbia modificato le disposizioni sull’interruzione di gravidanza e tra poco la stessa Corte Suprema si dovrà pronunciare in materia.
Guardando all’Europa, sembrerebbe che {{la Francia}} sia al sicuro con la legge Veil del 1975. Non è così : il 2 febbraio ci sarà “la Manif”, a Versailles contro la “morte prenatale dei bambini”, contro la cultura di genere, contro l’omosessualità e per la tutela della famiglia. La reazione ha usato furbescamente il termine Choisir, antica sigla femminista di Gisèle Halimi, per il proprio “choisir la vie”. Dice in un’intervista Cécile Edel del gruppo promotore: “affinché le donne possano veramente essere libere, è urgente riconoscere il dolore delle donne che hanno abortito, denunciare la sordida realtà dell’aborto, accompagnare le donne e informarle sulle alternative possibili”. Abbiamo già sentito queste parole e le risentiremo: Il Movimento per la vita si è mosso ovunque e ha ha raccolto due milioni di firme per portare all’attenzione del Parlamento europeo lo statuto dell’embrione come persona, “uno di noi”.
In {{Germania}} l’aborto è illegale perché vietato dalla Costituzione (ovviamente, dopo le leggi hitleriane sulla selezione), anche se la Corte costituzionale ha riconosciuto la non punibilità per quasi tutto: il pericolo di vita della donna, lo stupro, le malformazioni fetali e le condizioni economiche.
Lo stesso in {{Austria,}} solo che il 9 febbraio gli austriaci sono chiamati ad una votazione popolare dalla campagna {{“il finanziamento dell’aborto è una questione privata”}}. Con la stessa motivazione che intacca la solidarietà sociale delle norme, anche in {{Svizzera}} si andrà ad un referendum (ahimè collegato ad altri due sull’immigrazione).
n Belgio la questione si è complicata lo scorso anno perché la solita manifestazione “anti” era esasperata dalla proposta di estendere l’eutanasia ai bambini. In Inghilterra, dove si recano le donne di tutti i paesi che hanno leggi di divieto, si è verificato un paio di casi di medici che hanno accettato accordi con donne per aborti selettivi: di femmine….
Soddisfatti sembrano solo i portoghesi che sperano nell’emigrazione delle spagnole se Rajoy procederà ad annullare le leggi socialiste.
Si evidenzia, dunque, la potenziale efficacia di {{una solidarietà transnazionale}} anche se è ancora da inventare. Perfino in {{Polonia}} le femministe hanno diffuso un cartello {My Choice} con l’indicazione dei voli scontati – 70 euro – per la Gran Bretagna.
Speriamo di farcela. Noi {{vecchia guardia }} ci siamo, credo, tutte. Dice bene – e colorito – {{Diana Lopez Varela}} che l’ha scritto al presidente Rajoy:{ mi cogno es mìo y yo decido lo que entra y lo que sale de el.} La vecchia autodeterminazione.
{{In Italia }} dobbiamo tenere presenti {{due dati di realtà}} da cui partire: l’obiezione di coscienza e i dubbi sul numero degli aborti dati dal ministero della sanità. Sul primo punto ci si è battuti per il riconoscimento dell’odc. al servizio militare obbligatorio perché riguardava la disobbedienza ad un principio costituzionale. Le leggi, invece, sono solo riformabili, non obiettabili – provatevi a non pagare le tasse – e un medico non è obbligato ad esercitare nelle strutture pubbliche. Il negoziato per ottenere la legge 194 del 1978 è stato troppo oneroso e oggi ne sta boicottando l’applicazione. Anche perché questa carenza contraddice le dichiarazioni circa la presunta diminuzione degli aborti in Italia. Proprio mentre sono in aumento in tutta Europa a causa soprattutto delle minori, non si vede come mai l’Italia registri riduzioni della pratica ormai adottata prevalentemente dalle immigrate. Proviamo a pensare che cosa farebbe la più restia ad accettare l’interruzione volontaria della propria gravidanza, diciamo la cattolica più osservante, se restasse incinta la sua bambina di quindici anni. Andrebbe al consultorio? ad un ospedale pubblico? Davvero sono finiti i ferri da calza e il prezzemolo, ma nessuno è privo di 500, 1000 euro per ricorrere all’ambulatorio privato. Abbiamo dunque {{un impegno preciso}}: sono prossime le elezioni europee e forse tocca a noi aiutare a salvare la democrazia dei diritti.
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Articolo pubblicato su “marea” n. 1, 2004}
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