Non voglio parlare di separatismo
Io non voglio parlare di separatismo. Non devo scegliere in maniera dogmatica da che parte stare. Perché mi riservo la possibilità di vivere in luoghi separati in alcune occasioni e in luoghi misti in altri momenti. La manifestazione secondo me era uno dei momenti da affrontare in modalità mista. Tutto qui. Però voglio parlare di metodi, scambi, condivisione, giornalisti e ministre. Per l’evoluzione del pensiero femminista credo che il separatismo, espresso durante un corteo che parla di violenza maschile sulle donne e sollecita una rivoluzione culturale complessiva, possa essere un arretramento.
_ E riferendomi alle letture della Spivak o di bell hooks avrei capito un corteo separato delle donne Rom. Separato rispetto alle altre donne bianche, ricche, non migranti e comunque differenti. Lo avrei capito se il separatismo fosse riuscito a segnare una differenza in zone altrimenti difficilmente distinguibili. Questo avrebbe forse aiutato a far emergere rivendicazioni autonome e non legate a letture e “traduzioni” spesso fatte da donne più e diversamente rappresentative.
Lo capisco meno rispetto ad una questione che, è vero, ci accomuna tutte, ma allo stesso tempo accomuna in termini culturali persone non biologicamente individuabili in quanto donne. Ho chiarito in alcuni miei interventi prima del corteo, che ritenevo {{rischioso il separatismo applicato in una situazione in cui era necessario fare dei distinguo}} altrimenti difficilmente comprensibili.
_ {{Parlare di donne in maniera generica favorisce un equivoco}}: tutte le donne sono egualmente assolte. Ed è secondo questo parametro autoassolutorio che le ministre e le onorevoli si sono mosse mentre tentavano ancora una volta di scippare spazi si rappresentanza negli stessi luoghi in cui le loro scelte politiche e istituzionali venivano duramente contestate.
Nulla avrebbe tolto al corteo – chiarendo che secondo la mia opinione a dover essere tenuti lontani dovevano essere gli uomini di partito, con le loro bandiere e la loro “solidarietà” parolaia e priva di qualunque reale riflessione soggettiva o di gruppo – se fossero stati chiamati a partecipare anche gruppi di uomini che in questi anni tanto hanno fatto e tanto stanno facendo per una rielaborazione culturale collettiva rispetto al tema della violenza maschile contro le donne e contro chiunque non risponda alle regole di questa società eteronormata.
_ Dico questo a fronte del fatto che io non ho partecipato alle assemblee di Roma ed {{è comunque mancata, a mio avviso, una reale “condivisione”}} sulla elaborazione che ha portato a questa scelta e sulla intera fase organizzativa dell’evento.
_ E {{questo attiene alle pratiche di un certo nuovo femminismo}} che usa anche la tecnologia per “condividere” interi percorsi e non affidano la comunicazione reciproca ai comunicati stampa fatti per “comunicare” decisioni già assunte, indiscutibili e “non condivise” e per essere accolti appunto dalla stampa. Perciò, {{ritenendo di scorgere un metodo autoritario}} nella decisione di non comprendere altre pratiche femministe fuorché quelle separatiste, io ho partecipato al seguito di un numeroso spezzone misto essendo comunque molto felice di essere preceduta dai gruppi di “sole donne”.
D’altra parte registro questa spinta, che viene soprattutto dai gruppi che hanno organizzato la manifestazione, contestualizzandola rispetto ai distinguo che l’hanno contrassegnata, come {{un evidente segnale di rottura rispetto al femminismo “quieto” e “accomodante”}}, e in alcuni casi addirittura quasi “connivente”, cui forse ci siamo abituate in questi anni.
_ Un femminismo che molto spesso non ha rimesso in discussione ruoli e funzioni delle donne di potere, ad esempio. Che non ha richiesto grandi prove di coerenza e di sorellanza dalle donne che diventavano rappresentanti istituzionali anche e soprattutto grazie al voto di altre donne.
_ Che {{non ha messo molto in discussione quelle nicchie femministe di potere}} che hanno esercitato e tutt’ora vorrebbero esercitare una egemonia culturale attraverso il monopolio degli strumenti di informazione e delle risorse.
In questo senso {{forse la scelta separatista e la radicalità dei contenuti della manifestazione possono dirsi utili}} per tracciare bruscamente una distanza dal passato e per favorire una più costruttiva discussione su una nuova ricerca e un percorso comuni.
{{Rispetto alla cacciata di giornalisti e prestigiacome}}: il femminismo ha sviluppato pratiche (vedi i pink block) meno segnate dalla espressione in chiave machista della rabbia e queste sono molto utili a “comunicare” tenendo ben conto di quale sia il risultato che negli spazi di comunicazione e di informazione si vuole ottenere.
_ Credo che parte del patrimonio di pratiche ed esperienze di certo nuovo femminismo sia stato sacrificato.
_ Che {{si sarebbero potute elaborare strategie di comunicazione e di “allontanamento” più “spiritose”}} e anche difficilmente strumentalizzabili da fasciste e giornalisti.
Credo tuttavia che {{siano assolutamente inopportuni gli interventi di “mamme” femministe, arrivati a bacchettare le figliole discole}}, che ben chiariscono quanta e quale sia la differenza tra il femminismo “quieto” di cui parlavo prima e quello un po’ più, giustamente, arrabbiato che abbiamo visto in piazza. Sul voler indistintamente accettare la presenza delle onorevoli di centro destra, come per obbedire a quel patto del “Branco Rosa” fatto da donne di potere per conservare o accedere ad altri ruoli di potere (patto stretto tra le altre, fra la Turco e la Santanchè e la Mussolini), senza peraltro porsi il problema che, come giustamente sottolineano le organizzatrici, per partecipare ad una manifestazione bisogna condividerne le finalità e gli obiettivi (sulle pratiche non condivido ma ho già spiegato il perche’) io mi esprimo in maniera assolutamente contraria.
{{Sui Patti simil Branco Rosa stenderei invece un velo pietoso}} perché è grazie a queste sorellanze di corridoio dei palazzi e delle zone di potere che la Mussolini, e non solo lei, viene poi legittimata a intervenire sulla violenza contro le donne, sulla prostituzione (come problema morale e di ordine pubblico), sulle donne da salvare dalle altre religioni ed eventualmente da convertire a quella altrettanto integralista e cattolica.
_ Viene legittimata ad intervenire con quel portato di cultura patriarcale e fascista che non è certo utile al cambiamento culturale da noi auspicato. Quanto alle ministre di centro sinistra sono le stesse che appoggiano una linea securitaria contro la quale la manifestazione si è appunto espressa.
_ {{Il loro voto, fiducioso nei confronti dell’attuale governo}}, è quello che contribuisce anche a rafforzare una gestione della economia del paese che condanna le donne ad uno stato di grande precarietà e povertà e noi sappiamo bene quanto la questione del reddito delle donne sia essenziale per ragionare sulle loro autonomie, sulla libertà delle loro scelte e sulla possibilità di sottrarsi da situazioni di dipendenza e di violenza. Senza una economia che consenta alle donne di essere meno precarie non si può fare un ragionamento contro la violenza che viene loro inflitta che non sia di tipo assistenzialistico.
_ {{Le donne hanno bisogno di lavoro e non di famiglie eteronormate}} come il piano della ministra Bindi dice.
Le ministre hanno fatto male a presentarsi e a ritenere che quella del 24 novembre fosse una iniziativa che loro potessero sfruttare a beneficio della loro immagine. {{Avrebbero dovuto dialogare con quella piazza invece che tentare di rappresentarla}}. Avrebbero dovuto fare “Politica”. Avrebbero dovuto tentare di capire quali fossero gli argomenti di tutte noi. Invece, dopo aver operato in parlamento e nel governo in direzioni lontanissime da noi hanno deciso di non lasciarci neppure la piazza. Una piazza che le ha lasciate delegittimate, prive di funzione, completamente sprovviste dell’alibi usato per affermare che esse rappresentano tutte le donne. Dopo il corteo la risposta è stata ovvia, prevedibile, “maschile”. Se non sei funzionale al potere, il potere toglie spazio pubblico e condanna all’inivisibilità.
Così, rendendo un gran servizio al patriarcato, di quelle tante donne scese in piazza su quotidiani e televisioni è passato quasi esclusivamente il fatto che esse erano state “violente” e “ingrate” nei confronti delle ministre e dei giornalisti.
Su questi ultimi la mia opinione è simile a quella espressa per la cacciata delle ministre. Essi erano lì per fare il loro lavoro ma non si può urlare alla aggressione e alla censura se ti si chiede di stare un po’ più in la’ o se si occupa il palchetto di La7.
_ Autodifesa per me non significa aggressione e alla violenza e alle imposizioni dei media io non immagino di voler rispondere con altra violenza. Ma violenza non c’e’ stata.
_ Anche qui, comunque avrebbero aiutato diversivi e metodi più “simpatici”. {{Con La7 si poteva forse concordare diversamente e meglio}}. D’altra parte quella piazza non era l’Iraq e quei giornalisti non sono stati bombardati dal nemico. Tanto baccano autoreferenziale e irresponsabile mi è sembrato davvero eccessivo.
_ {{Essi hanno operato una doppia strumentalizzazione}}: prima perché hanno veicolato una immagine sbagliata del corteo e secondo perché hanno avuto la presunzione di diventare essi stessi la “notizia” dedicando più spazio a questi avvenimenti che ai temi sollevati dalla manifestazione. Di questa cultura è fatto il nostro paese e questi sono gli interlocutori istituzionali e dell’informazione di cui noi disponiamo. Non tutti, però, per fortuna sono fatti così.
_ Ci sono ottimi giornalisti e grandi donne. Iniziamo da quelle. Ma prima ancora di scegliere i nostri interlocutori e le nostre interlocutrici: iniziamo da noi.
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