Afghanistan, è tempo di una svolta
Il presidente americano ha richiamato gli alleati a fare di più, ma dovrebbe cominciare a pensare a fare meglio, cioé passare dalla guerra alla pace iniziando a garantire diritti nelle zone stabili e organizzare una Conferenza internazionale per discutere di quelle criticheNei giorni scorsi i nostri ministri e qualche generale hanno risposto al nuovo affondo del presidente Bush e dell’ambasciatore USA a Kabul che, mirando ad un offensiva di primavera in Afghanistan, hanno tirato per le orecchie alcuni alleati NATO recalcitranti.
Il Ministro degli Esteri {{D’Alema}} ha smentito l’importanza di questa chiamata alle armi rifacendosi al Segretario Generale della NATO che, in una riunione ufficiale a Bruxelles, non ha annunciato nessuna offensiva.
_ Il Ministro {{Parisi}} ha confermato che i nostri sostati sono in Afghanistan per mantenere una cornice di sicurezza che consenta la ricostruzione del paese.
_ Il generale {{Del Vecchio}} che ha guidato la missione Nato in Afghanistan per nove mesi, ha aggiunto: “Gli italiani non sono lì per vincere alcun che, lo scopo della missione è garantire il processo democratico” ieri persino il Ministro{{ Di Pietro}} ha affermato che “non siamo in Afghanistan per fare un favore a Bush ma per aiutare gli afgani per la ricostruzione”.
Tutte queste dichiarazioni, di cui non sfugge l’intento politico volto a calmare le acque dell’Unione alla vigilia di un difficile voto parlamentare, non hanno fatto altro che ribadire la “ragione sociale” della missione italiana in Aghanistan che è, almeno a parole, il peace-keeping e la ricostruzione.
Molti di noi parlamentari pacifisti abbiamo fin dall’inizio espresso contrarietà a questa missione denunciando nell’occupazione militare del paese da parte USA un intento strategico e geopolitico volto all’affermazione dell’egemonia e al controllo di quel territorio. Si trattava del primo tempo di quella {{strategia di guerra permanente}} a cui, fin dal 2001 avevamo previsto sarebbe seguito un secondo tempo iracheno e un terzo tempo iraniano. Una mission di guerra e di morte che, in luogo di combattere il terrorismo, lo avrebbe ampliato.
_ Per questo {{abbiamo apprezzato il ritiro dei nostri soldati dal pantano iracheno}} e per questo lo scorso luglio avevamo preteso paletti precisi alla nostra missione afgana in ambito NATO: consapevoli del fatto che in un alleanza ogni stato può contrattare i propri impegni. Ma il recente richiamo di Bush, la lettera irrituale dei sei ambasciatori, denunciano, oltre al nervosismo, una aggravamento della situazione afgana da noi più volte rilevata.
Logica vorrebbe che dopo sei anni di occupazione militare ci si interrogasse sulle ragioni di questo fallimento assumendosene la responsabilità: per esempio l’incapacità di eliminare i capi di Al Quaeda e dei Taleban, l’incomprensione dei complessi rapporti tra le tribù afgane e i signori della guerra, l’essersi troppo appoggiati su una stretta collaborazione con un Pakistan per forza di cose ambivalente. Senza contare la pratica militare USA, da sempre sprezzante nei confronti degli altri soggetti che, facendo di tutt’erba un fascio non ha esitato a coinvolgere le popolazioni civili in controproducenti bombardamenti e violenze.
È legittimo chiedersi se tutto questo sia avvenuto per rozzezza – ma stiamo parlando della prima potenza mondiale – o non piuttosto per l’applicazione del disegno neocon della “{{distruzione creativa}}”: non salvare gli stati fallimentari quanto piuttosto moltiplicarli. Quello che risulta oggi francamente incomprensibile, oltre che eticamente {{ripugnante, è pensare di risolvere i tanti problemi dell’Afghanistan con un escalation militare}} che inevitabilmente colpirebbe nel mucchio. Non sarebbe più utile, ai fini della pacificazione del paese, consentire una vita decente almeno nelle zone già stabilizzate?
Il che significa {{contrastare la corruzione, il narcotraffico, le violenze}} ancora perpetrate dai signori della guerra. In questo caso la presenza militare NATO potrebbe cedere il posto ad una forma di polizia internazionale, magari della UE, che impegnasse la gendarmeria francese ed i carabinieri italiani, per consentire quella sicurezza indispensabile per la pacificazione tra i soggetti.
Quindi il richiamo di Bush non dovrebbe essere “alleati dovete fare di più”, ma caso mai “alleati dovete fare meglio”: meglio è passare dalla guerra alla pace. Mentre per le recrudescenze dei taleban nelle zone di sud ovest {{la soluzione non può che essere trovata con una Conferenza Internazionale}} che comprenda anche gli stati confinanti. E allora la domanda diventa: perché gli alleati USA e la NATO non vogliono prendere in considerazione questa scelta?
{Silvana Pisa è Senatrice gruppo Ds-Ulivo e membro della Commissione Difesa
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