Calabria: rassegnarsi all’illegalità?
“Progetto donna”: associazioni femminili calabresi, partendo da inadempienze e ritardi nella applicazione del Progetto, ripropongono il tema della illegalità e della necessità di vigliare sul corretto utilizzo degli strumenti legislativi a favore delle donne. Pensiamo che le associazioni femminili calabresi e più in generale la società civile non possa rassegnarsi all’illegalità diffusa presente nella nostra regione. A sentire la corte dei conti il fenomeno è presente in maniera strutturale nella pubblica amministrazione, nei principali settori politici ed economici dell’intera nazione.
Ciò nonostante crediamo che smettere di evidenziare e di denunciare casi di illegalità e di inadempienza sia scorretto non solo eticamente, ma soprattutto culturalmente e politicamente.
{{Le finalità di molte associazioni femminili calabresi}}, con molte delle quali abbiamo lavorato insieme in questi anni, è quello di {{trasformare la realtà esistente e di consentire la piena cittadinanza}} a donne che vivono anche situazioni di grave disagio, per sostenerle nel difficile cammino di rinnovata consapevolezza di sé e per scoprire un diverso modo di relazionarsi con gli altri.
In questo contesto, {{il Progetto Donna}} può costituire un importante strumento legislativo per promuovere politiche di genere a livello regionale.
La legge n. 22 del 1995, istitutiva del Progetto Donna, promossa dall’associazionismo femminile calabrese, è stata la prima legge nel suo genere a livello nazionale e rimane, ancora oggi, innovativa. Infatti, attraverso uno {{strumento di programmazione annuale}} sostiene progetti ed iniziative delle donne a livello regionale.
Le difficoltà si registrano nell’applicazione della legge in un territorio difficile come il nostro.
In questi anni, le associazioni delle donne più volte si sono ritrovate a difenderla da attacchi che hanno tentato di ridurne l’efficacia e la rilevanza. Basti ricordare che nel ferragosto del 1999, con un colpo di mano, contando sulla distrazione estiva, sono state cancellate dalla legge proprio le associazioni femminili che l’avevano proposta.
Tante sono state le battaglie compiute, in particolare dall’Associazione MEDiterranean MEDIA, per difendere la legge, per ricostruirne i tasselli mancanti a livello legislativo, ripresentando gli emendamenti che ne ricostruissero la filosofia di base: valorizzare la soggettività femminile attraverso la promozione di progetti e proposte delle associazioni femminili. Molte volte, ci si è mosse per non disperdere le informazioni, il patrimonio culturale. {{Le associazioni, negli anni, hanno dovuto anche ricostruire con i loro documenti gli archivi del progetto Donna}}. Nel 2004 negli uffici regionali del Progetto Donna si era perso anche l’albo regionale delle associazioni femminili. Stranamente, non si trovava il bollettino di riferimento e la documentazione relativa alle associazioni. Si intendeva cancellare, in questo modo scellerato, l’esistenza di una realtà variegata e propositiva; anche in quest’occasione, sono state le associazioni a ricostruire il percorso, la memoria ad imporre il rispetto delle regole. Lavoro di cura, quindi, fermo e costante nel tempo.
Pertanto, pensiamo che essere soddisfatte di aver raggiunto il numero legale ad una riunione di fine anno del coordinamento del Progetto Donna, convocata per non perdere i finanziamenti 2006, senza prima averne denunciato i ritardi e le manchevolezze, sia quantomeno un comportamento rinunciatario, se non ambiguo.
Non meravigliarsi dei ritardi nella programmazione – {{bisognerebbe programmare il 2008 mentre ci si attarda su progetti del 2006}} – è come rassegnarsi ad un mondo che lentamente, ma progressivamente va a rotoli.
In una lettera di risposta alla nostra richiesta di dimissioni del Coordinamento regionale del Progetto Donna, per i ripetuti ritardi, inadempienza e illegalità, si scrive: “Non ci stupisce la tempistica degli eventi e non pensiamo che risulti anomalo per la programmazione di enti pubblici, tra l’altro travolti da inchieste (.). non ci stupisce ancora di più in tema di politiche di genere”.
Se non ci meravigliamo più del malfunzionamento, dei ritardi, come possiamo dare il nostro, seppure parziale, contributo per cambiare e migliorare la realtà? La principale funzione associativa è, essenzialmente, culturale e verrebbe inevitabilmente meno.
Nella lettera […] si prosegue “La valutazione dei progetti è stata effettuata secondo i criteri che il coordinamento si è dato in relazione ai settori riportati nel bando e non esclusivamente, né necessariamente”.
Ma, i criteri non possono essere scelti dal coordinamento a posteriori, dopo la pubblicazione del bando. Ci chiediamo come si possa garantire in questo modo la trasparenza? Veramente pensiamo che i criteri possano essere fissati a piacimento e, successivamente, alla pubblicazione di un bando pubblico, senza che nessun si indigni per la metodologia utilizzata? Siamo a questo?!
Pensiamo che {{la rassegnazione e il fatalismo}} facciano parte della cultura meridionale più retriva, responsabile della costruzione di un cittadino di serie B, parente più ad un suddito – che ringrazia per i favori ottenuti – che non ad un cittadino: soggetto attivo e responsabile, dignitoso.
{{Il rispetto delle regole, la trasparenza}} costituisce una garanzia importante per ogni cittadina-o, ed a maggior ragione, per associazioni culturali e di volontariato che si propongono di promuovere politiche di genere e pari opportunità.
Se veramente vogliamo diventare {{un punto di riferimento per le istituzioni}} per delineare una nuova programmazione che colmi il gap di cittadinanza sul nostro territorio e non solo, è necessario che rialziamo il capo. Ed è necessario che lo facciano tutte e tutti, anche chi in questi anni si è un po’ adagiata-o, non si sa bene su quali allori, visto l’arretramento della posizione femminile in tutti i settori ed in tutti i campi.
E’ necessario {{vigilare sul corretto utilizzo degli strumenti legislativi a favore delle donne}} che negli ultimi trent’anni, il movimento femminile ha faticosamente messo in piedi, e che ogni giorno, ormai, è messo in discussione, basti pensare all’attacco senza precedenti alla laicità dello stato.
Avviene a livello regionale, quando, {{il Progetto Donna è svilito nelle sue finalità}}. Avviene al livello locale quando {{gli assessorati alle pari opportunità non sono dotati degli strumenti finanziari necessari}}. Avviene a livello nazionale quando si tenta di strumentalizzare il tema della violenza per far passare il “{{pacchetto sicurezza}}”. Avviene, quando la Legge nazionale n. 125, sulle pari opportunità, non ha le risorse necessarie ed approva per la Calabria un solo progetto, (presentato nel 2005 e che si realizzerà, se tutto andrà bene, nel 2008). Avviene, quando si rimette in discussione la legge n. 194 e con lei il diritto delle donne di decidere sul loro corpo.
Allora, è necessario vigilare, {{ stare unite in rete,}} senza sgomitare, perché solo così possiamo difendere le nostre difficili conquiste in tema di valorizzazione della differenza femminile, e per promuovere nuove politiche di genere in Calabria, in Italia, nel mondo.
{Nadia Gambilongo, Associazione MEDiterranean MEDIA; Giulia Fresca, Associazione Italiana Donne Ingegneri ed Architetti, Sez. Calabria;
Gilda Mirabelli Merenda, Donne Europee Federcasalinghe; Rosa Dramisino, Associazione Donne in Movimento di Francavilla Marittima; Lina Vuono, Associazione, Donne insieme, Spezzano della Sila; Dora Aquino, Donne di Casa nostra, Associazione “Donne per le donne”, Vibo Valentia.}
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