Io sono palestinese
Dalla mailing list delle donne in nero riprendiamo la testimonianza di Zeina Emile Sam’an Ashrawi che, dopo la revoca della carta di identità palestinese e del documento di viaggio da parte delle autorità israeliane non può più recarsi in Palestina, non può più vedere né la sua terra, né i suoi famigliari. Al momento Zeina ha una Green card statunitense e
risiede negli Usa.
Sono palestinese – nata e cresciuta – e le mie radici palestinesi risalgono a
secoli fa.
_ Nessuno può cambiare questo fatto anche se mi dicono che Gerusalemme, il mio luogo
di nascita, non è Palestina, anche se mi dicono che la Palestina non esiste, anche
se mi hanno ritirato i documenti e negato l’ingresso nel mio proprio paese, anche
se mi umiliano e mi privano dei miei diritti.
_ IO SONO PALESTINESE.
Nome: Zeina Emile Sam’an Ashrawi; Data di nascita: 30 Luglio, 1981; Etnia: Araba.
_ Questo è quello che era scritto sulla mia carta d’identità di Gerusalemme. {{Una
carta d’identità per un Palestinese è molto di più che un semplice pezzo di
carta}}; è l’unico rapporto legale documentato che ho con la Palestina. Nata a
Gerusalemme, mi hanno dotato di una carta di identità di Gerusalemme (la carta
blu), un documento di viaggio israeliano (“laissez passer”) e un passaporto giordano
con timbro palestinese (non ho diritti legali in Giordania). Non ho un passaporto
israeliano, né un passaporto palestinese o americano.
Questa è la mia storia:
_ Sono andata negli Stati Uniti a 17 anni per finire la scuola superiore in
Pennsylvania e sono andata al college e ad una facoltà universitaria che concede il
dottorato e in seguito mi sono sposata e attualmente stiamo vivendo in Northern
Virginia.
_ Sono tornata a casa ogni anno almeno una volta per vedere i miei genitori,
la mia famiglia e i miei amici e per rinnovare il mio documento di viaggio poiché
potevo estendere la sua validità una volta all’anno da Washington DC.
Mio padre
ed io stavamo in piedi allineati davanti al Ministero dell’Interno a Gerusalemme,
insieme a molti altri Palestinesi, dalle 4 e 30 del mattino, per tentare la fortuna
tra i tornelli di metallo dei cancelli del Ministero prima di mezzogiorno – quando
il Ministero chiude le sue porte- per tentare di rinnovare il Documento di viaggio.
Abbiamo fatto così, anno dopo anno. Come popolo che vive sotto occupazione, far
fronte a costanti umiliazioni da parte di un occupante era la norma ma noi facevamo
quello che si doveva fare per garantire che la nostra identità non ci fosse rubata.
Nell’agosto del 2007 mi sono recata presso l’Ambasciata Israeliana a Washington
DC per cercare di estendere il mio Documento di viaggio e ottenere il consueto visto
di “Rientro Residente” che gli Israeliani rilasciano per i Palestinesi che hanno un
Documento di viaggio Israeliano.
_ Dopo aver visto alcuni americani e altri a cui veniva comunicato che i loro visti
sarebbero stati pronti in un paio di settimane, è arrivato il mio turno. Mi sono
fatta allo sportello dai vetri a prova di proiettile che proteggevano la donna che
vi lavorava dietro, e sotto un’enorme foto della Cupola della Roccia e delle mura
di Gerusalemme che era appesa sul muro del Consolato Israeliano, le ho dato i miei
documenti attraverso una piccola fessura alla base dello sportello.
“Shalom” mi ha detto con un sorriso. “Ciao” ho risposto io, in apprensione e
spaventata. Non appena ha visto il mio Documento di Viaggio il suo atteggiamento è
cambiato immediatamente. Il sorriso non c’era più e la conversazione si è
ridotta al minimo fra noi due, come al solito.
Dopo aver cercato accuratamente tra i
documenti di lavoro che le avevo passato lei mi ha chiesto: “dove è il tuo
passaporto americano?”. Le ho spiegato che non l’avevo e che il mio unico
Documento di Viaggio era quello che aveva lei tra le mani.
_ E’ rimasta in silenzio
per qualche secondo quindi ha detto: “Non hai un passaporto americano?” sospettando
che io stessi nascondendole delle informazioni. “No!” risposi.
_ E’ rimasta in
silenzio un po’ più a lungo e quindi mi ha detto: “Be’, non credo che potremo
estendere il suo documento di viaggio”.
Ho sentito il sangue salirmi alla testa
perché questo era l’unico strumento che avevo per tornare a casa! Le ho chiesto
cosa intendesse con quella affermazione e lei ha continuato a dirmi che poiché
stavo vivendo negli Stati Uniti e visto che possedevo una Green Card, non avrebbero
esteso la validità del mio Documento di Viaggio.
Dopo aver preso un lungo respiro e cercato di controllare la mia rabbia le ho
spiegato che la Green Card non è un Passaporto e che non posso usarla per viaggiare
fuori degli Stai Uniti. La mia voce era tremante e io stavo progressivamente
arrabbiandomi (e un paio di mini gridolini mi sono scappati) così le ho chiesto di
spiegarmi cosa era necessario che io facessi.
_ Mi ha risposto di lasciare le mie
carte e che si doveva attendere per vedere come sarebbe andata a finire.
Un paio di settimane più tardi ho ricevuto una telefonata da una donna: mi diceva
che poteva estendere la validità del mio Documento di Viaggio ma io non avrei più
potuto ottenere il visto “Rientro Residente”. Invece{{ mi davano un visto turistico di
tre mesi}}. Inizialmente sono stata felice di sentire che il Documento di Viaggio era
stato prorogato ma poi ho realizzato che lei aveva detto “visto turistico”.
Perché
devo avere un visto turistico per ritornare a casa? Non volendo discutere con lei
sul visto di tre mesi e allo stesso tempo per mettere in pericolo l’estensione del
mio Documento di Viaggio ho semplicemente messo questa piccola informazione di
minore importanza e ho continuato a spiegarle che non sarei tornata a casa nei
prossimi tre mesi. Lei mi ha dato quindi indicazioni di ritornare e richiedere un
altro visto al momento della partenza. Non ha aggiunto molto altro e mi ha riferito
solo che il visto era pronto per essere ritirato.
Così
sono andata all’Ambasciata e ho ritirato il mio Documento di Viaggio timbrato con
il visto turistico.
_ Mio marito, mio figlio ed io abbiamo pianificato di ritornare in Palestina questa
estate. Così {{un mese prima della nostra partenza (8 luglio 2008) mi sono recata
all’ambasciata Israeliana a Washington DC}} , documenti alla mano, per chiedere un
visto per tornare a casa.
_ Ancora una volta ho fatto la fila e osservato le altre
persone ottenere i visti per andare a casa mia. Quando è arrivato il mio turno, mi
sono avvicinata allo sportello ; “Shalom” ha detto la donna con un sorriso sulla
faccia, “Ciao” ho risposto io.
Ho fatto scivolare i documenti nella piccola fessura
alla base del vetro antiproiettile e sono rimasta in attesa della solita reazione.
Le ho detto che avevo bisogno di un visto di rientro per residenti per andare a
casa. Lei ha preso i documenti io le ho dato un assegno per la somma richiestami e
ho lasciato l’ambasciata senza problemi.
_ Qualche giorno dopo ho ricevuto una telefonata da Dina dall’Ambasciata Israeliana
dicendomi di avere bisogno della data di scadenza del mio Passaporto Giordano e
della mia Green Card. Avevo dato loro tutti i documenti di cui avevano bisogno già
diverse volte e ho pensato che da parte loro fosse un buon modo per sprecare tempo
per non farmi ottenere il mio visto in tempo.
In ogni caso, li ho chiamati e richiamati, ascoltando però solo la segreteria
telefonica. Ho lasciato un messaggio con le informazioni di cui avevano bisogno ma
continuando a chiamare ogni 10 minuti per parlare con qualcuno e assicurarmi che
avessero ricevuto le informazioni, in uno sforzo di accelerare il lungo iter.
Finalmente sono riuscita a parlare con qualcuno. Ho detto cosa volevo, per
assicurarmi che avessero ricevuto le informazioni mancanti sulla segreteria
telefonica e che volevo essere sicura che la mia documentazione fosse a posto. La
donna, dopo essersi consultata con qualcuno (presumo si trattasse di Dina) mi ha
detto che dovevo mandare via fax una copia sia del passaporto giordano che della
green card e ha aggiunto che dare le informazioni per telefono era inammissibile.
Così ho immediatamente fatto le copie e le ho faxate a Dina. Alcune ore più tardi,
il mio cellulare ha squillato. “Zeina? Mi ha chiesto. “Si” ho risposto, sapendo
perfettamente chi fosse e immediatamente gli ho chiesto se avesse ricevuto il fax
appena inviato. Lei mi ha detto: “Ehhh, non stavo guardando il tuo file quando hai
chiamato prima ma la tua richiesta di visto è stata rifiutata e la tua carta di
identità e il titolo di viaggio non sono più validi”.
_ “Cosa?” ho chiesto
incredula.
_ “Mi dispiace ma non possiamo rilasciarti il visto e la tua carta di
identità e il titolo di viaggio non sono più validi. E’ una decisione del
governo israeliano e non mia”.
Non riesco nemmeno a spiegare la sensazione che avevo alla bocca dello stomaco.
“Perché?” ho domandato e Dina è andata avanti dicendomi che il motivo era perché
avevo una Green Card. Ho cercato di ragionare con Dina e di spiegarle che non
potevano agire in questo modo dato che era il mio unico modo per tornare a casa e
che volevo vedere i miei parenti, ma invano.
_ Dina è rimasta sulle sue posizioni e mi ha detto che il visto non sarebbe stato
rilasciato e ha aggiunto:“ Fatti dare un documento di viaggio dagli americani!”
Sono sempre stata una persona forte e non una che dimostra debolezza ma in quel
momento ho perso il controllo e ho iniziato a piangere mentre Dina era dall’altro
capo del telefono, con in mano gli unici documenti legali che mi legano a casa mia.
Ho iniziato ad implorarla, per cercare di ottenere un visto e di non farmi revocare
i miei documenti; “Mettiti nei miei panni, cosa faresti? Vuoi vedere la tua famiglia
e qualcuno ti dice che non puoi farlo! Cosa faresti? Dimentica di essere Israeliana
e che io sono Palestinese e pensa solo a questo per un minuto!”
_ “Mi dispiace” ha detto “Capisco ma non posso fare nulla, la decisione è del Governo Israeliano”.
Ho
cercato di spiegarle ancora che non avrei potuto viaggiare senza il mio documento di
viaggio e che non potevano farmi questo – pur sapendo che potevano e lo avevano
già fatto!
{{Tutto questo accade a molti Palestinesi che hanno una carta di identità di
Gerusalemme}}. Il Governo Israeliano ha messo in pratica e ha perfezionato l’arte
della pulizia etnica a partire dal 1948, proprio sotto il naso di tutto il mondo e
nessuno ha il potere o il coraggio di fare qualcosa in merito.
In quale altro luogo
nel mondo accade che qualcuno debba elemosinare di tornare a casa propria? In quale
altro luogo nel mondo una persona deve rinunciare alla propria identità per la sola
ragione di aver vissuto da un’altra parte per un periodo di tempo?
Immaginate un americano che vive in Spagna da qualche anno e che vuole tornare a
casa ma si sente dire dal Governo Americano che il suo passaporto americano è stato
revocato e che non può tornare indietro!
_ Se io fossi un’ebrea che vive ovunque nel mondo e senza legami con la regione e
senza aver mai messo piede là, avrei comunque il diritto di andare ogni volta che
voglio e otterrei anche un passaporto israeliano.
_ In effetti gli Israeliani
incoraggiano tutto ciò.
Io comunque non sono ebrea e sono nata e cresciuta in quei
luoghi, i miei genitori, la mia famiglia e i miei amici vivono ancora là e non
posso tornare a casa! Non sono né una criminale né una minaccia per uno degli
Stati più potenti al mondo, tuttavia sono alienata e espulsa dalla mia propria
casa.
Allo stato attuale dei fatti, non potrò tornare a casa – io sono una tra tanti.
({Traduzione a cura di Barbara Antonelli e Francesca Cutarelli – Segreteria di Luisa
Morgantini,Parlamento Europeo- Roma})
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