Anche nel cinema italiano, registi e sceneggiatori delle donne non sanno niente e sono poco curiosi
E’ come se chi lavora alla sceneggiatura e alla regia non conoscesse le donne… non conoscesse la loro storia, le loro lotte, il loro modo di pensare e di reagire. Questo il concetto espresso oggi da Natalia Aspesi durante la trasmissione “pane quotidiano” di Concita De Gregorio. Ma quello che è più grave ha spiegato la Aspesi è che le donne oggi hanno una consapevolezza di sé e un protagonismo nella vita che nella produzine cinematografica non viene messo in luce sufficientemente. I registi sembrano sordi e autoreferenziali, ripropongono donne che vivono solo nel loro immaginario. Si continua a mettere sotto i riflettori sì una donna consapevole di sé , ma sempre vittima di una supponenza maschile che sembra non deflettere minimamente.
Già due anni fa un giudizio simile è stato espresso da Luciana Grosso. Questo quanto da lei scritto allora sull’Espresso.
I risultati dell’indagine del centro di ricerca fondato da Geena Davis sono chiari: le attrici nei nostri film quasi non esistono. Raramente sono protagoniste, non svolgono lavori prestigiosi, di spessore culturale e scientifico e per lo più si ritrovano relegate in commedie romantiche. Il cinema? Si fa quasi completamente senza donne e, per ogni ruolo femminile, ce ne sono almeno 2,5 cuciti su misura per i colleghi uomini.
Lo raccontano, da anni, dive e starlette nelle interviste, lamentando come la loro carriera sia breve e finisca con l’arrivo delle prime rughe. E poi, a testimoniare che tra il cinema e le sue muse non corre buon sangue, ci sono, soprattutto, i numeri.
A mettere in fila tutti i fatti che riguardano le donne nel cinema è stata, manco a farlo apposta, un’attrice: Geena Davis. L’attrice di“Thelma e Louise”, che oggi viaggia a grandi passi verso i sessant’anni, ha di recente fondato il Geena Davis Institute on Gender in Media, centro di ricerca che si occupa, appunto, di controllare come e se le pari opportunità vengono rispettate nel mondo dei media e dello spettacolo. A quanto pare, no.
L’istituto dell’attrice ha appena rilasciato il report “ Gender Bias Without Borders ” su pregiudizi e stereotipi nel mondo del cinema. Per compilare la relazione hanno lavorato i ricercatori dell’Università della Southern California, della Rockefeller Foundation e delle Nazioni Unite, che si sono presi la briga di fare la pulci alle maggiori produzioni non vietate ai minori del triennio 2010-2014 dei principali mercati cinematografici del mondo.
L’Italia, per questioni di dimensioni e di business, non c’è. Però ci sono i colossi asiatici di India, Giappone, Cina e Corea del Sud, i big di Australia, Brasile, Russia, Regno Unito e USA e i nostri ‘cugini’ di Francia e Germania.
I risultati dell’indagine sono stati chiari: la donne, al cinema, quasi non esistono. E quando ci sono, restano relegate a ruoli ancillari: di rado sono protagoniste dei film in cui recitano, di rado interpretano ruoli di potere o svolgono lavori prestigiosi, di spessore culturale e scientifico (giudici, avvocati, scienziati donna: non pervenuti, o quasi); l’unico lavoro che sembri accessibile a loro è quello della giornalista, professione cui si dedica il 40% dei personaggi femminili, che comunque, per lo più, si ritrovano relegate in commedie romantiche, con l’obiettivo di sposare il principe azzurro di turno.
Nel bacino di pellicole analizzate dalla ricerca risulta che, per ogni personaggio femminile che prende vita sullo schermo, ce ne sono 2,24 maschili e che solo il 30.9% dei personaggi ‘parlanti’, ossia cui sia stato assegnato un testo da recitare di più di cinque righe, è impersonato da un’attrice. Il Paese che mette in scena più ruoli femminili risulta l’Inghilterra, che riserva alle sue attrici il 37% del totale delle parti, anche se solo in un terzo dei casi si tratta di ruoli di primo o di secondo piano e non ‘di fila’.Seguono a ruota Korea (35,9%), Germania e Cina (rispettivamente 35,2% e 35%).
In fondo alla classifica ci sono Stati Uniti (29,3%), Francia (28,7%), Giappone (26,6%) e India (24,9%).
Un quadro poco incoraggiante per le interpreti, che quando riescono ad avere ruoli degni di questo nome, comunque, si ritrovano a fare i conti con un trattamento diverso da quello che spetta ai loro colleghi. Tanto per cominciare non possono permettersi di non essere bellissime. Se agli uomini si perdonano, anzi persino valorizzano, certi difetti fisici, per le donne non c’è niente da fare: l’avvenenza è cosa da cui non si può prescindere.
“Le donne e i ruoli che vengono assegnati loro sono fortemente sessualizzati – dice il report americano- a qualunque latitudine. Nel 24% i personaggi femminili vengono ritratte con abiti sexy o in atteggiamenti seduttivi, cosa che capita solo al 9,4% degli uomini; sono tenute a essere magre (nel 38,5% dei casi contro il 15,7% dei colleghi uomini) e nel 24% dei casi compaiono in scene in cui sono parzialmente o completamente nude, cosa che invece capita solo all’11% degli uomini”.
Un divario che si riflette anche dietro le quinte, tra tecnici, scrittori e registi: su un totale di 1452 filmmaker attivi nei dieci mercati presi in considerazione dall’indagine, solo il 20,5% è costituito da donne, e solo il 7% di loro ha incarichi di regia vera e propria e solo una su cinque lavora come scrittrice, sceneggiatrice o produttrice.
MA COME HA INCISO IL FEMMINISMO NELLA PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA?
All’inizio parafrasando il libro della Aspesi ” Delle donne non si sa niente” è stato detto della totale incapacità ad essere curiosi di registi e sceneggiatori rispetto al profondo cambiamento che le donne hanno voluto per sé e che hanno portato nelle relazioni con l’altro. Allora, è necessario chiedersi se è possibile raccontare questa avventura, propria del femminismo, attraverso le immagini in movimento? A questa domanda però bisogna aggiungerne altre. Quello della macchina da presa è un occhio sufficientemente perspicace per vedere e mostrare la politica delle donne di ieri e di oggi senza tradurla in apparato ideologico? Senza cadere nello stereotipo? I pensieri elaborati dal femminismo hanno in qualche misura intercettato lo schermo e segnato la produzione audiovisiva? Le non poche donne attive in ambito cinematografico e, in senso più ampio, mediale, hanno fatto la differenza?
A queste domande hanno cercato di rispondere le autrici del volume “Filmare il femminismo studi sulle donne nel cinema e nei media”, ciascuna nel proprio ambito di ricerca, ha tratteggiato un paesaggio nuovo e in divenire, abitato dalle pioniere del cinema, dalle donne dell’audiovisivo, dalle spettatrici e dalle artiste contemporanee. Hanno lavorato al volume uscito da ETS nel 2015 Claudia Barolo, Maria Pia Brancadori, Lucia Cardone, Alice Cati, Elisa Cuter, Ilaria A. De Pascalis, Giovanna Faleschini Lerner, Giulia Fanara, Mariagrazia Fanchi, Sara Filippelli, Cristina Jandelli, Bernadette Luciano, Elena Marcheschi, Sara Martin, Elena Mosconi, Francesca Parmeggiani, Marta Perrotta, Mariapaola Pierini, Susanna Scarparo, Giulia Simi, Chiara Tognolotti, Deborah Toschi, Lucia Tralli, Micaela Veronesi, Federica Villa.
Questo però nonè stato l’unico lavoro. a questo si può aggiungere il N°11 dei Quderni del CSCI.
STORIE IN DIVENIRE : LE DONNE NEL CINEMA ITALIANO
In un numero prezioso (11) del 2015 , curato da Lucia Cardone, Cristina Jandelli e Chiara Tognolotti dei “Quaderni del CSCI, rivista annuale di cinema italiano” diretta da Daniela Aronica, troviamo Storie in divenire: le donne del cinema italiano. Un vero e proprio volume, questo undicesimo Quaderno, sovradimensionato rispetto all’iniziale progetto proprio per la ricca mole di contributi pervenuti, quasi ottanta. Il Quaderno, curato da Lucia Cardone, Cristina Jandelli, Chiara Tognolotti, si presenta come un volume da cui, d’ora in poi, non si potrà prescindere se si vuole studiare l’apporto delle donne al cinema italiano (e non solo italiano), dalle sue figure note ad artiste, autrici, registe, attrici meno conosciute. Saggi ma anche contributi brevi, fulminee schede biografico-artistiche, dall’animazione al documentario alla televisione alla videoarte, passando per il cinema-cinema; la relazione col teatro e la letteratura, lo sguardo di grandi autori sulla donna; e poi musiciste, costumiste, montatrici, fotografe di scena.
Il cammino è all’inizio ma buone sono le prospettive affinchè chi opera in questo settore possa sentirsi non rappresentante di uno sparuto gruppo ma la metà del cielo.