PERCHÉ #JESUISGAY
Che orrore la strage di Orlando (certo però sti gay potrebbero essere meno esibizionisti, offendono il comune senso del pudore).
Che orrore tutti gli uomini che picchiano e ammazzano le donne (certo però anche lei poteva evitare di vestirsi così, lavorare troppo, uscire con gli amici, lasciarlo ecc).
Che orrore l’omicidio della piccola Fortuna Loffredo (certo però avete visto come si atteggiava a fare la grande? Con quei boccoli…).
Che orrore la strage di Charlie Hebdo (certo però anche loro potevano evitare le caricature su Maometto, non si offendono le sensibilità religiose).
Purtroppo quei retropensieri sono molto comuni, talvolta esplicitati, molto più spesso lasciati inespressi. Eppure ognuno di quei retropensieri costituisce – più o meno consapevolmente – una forma di giustificazione, o perlomeno di ridimensionamento di quel che è accaduto. Una sorta di attenuante. Si manifesta orrore per la violenza in sé ma non ci si fa carico del valore simbolico di quella violenza perché con ogni probabilità se lo facessimo ci troveremmo in qualche maniera dalla parte del carnefice. Per questo quei retropensieri, quelle contestualizzazioni, quei “sì, ma…” quei “certo, però…” vanno respinti con grande forza, rifiutandosi di discutere delle vignette di Charlie, dei costumi del Gay Pride, dei boccoli di Fortuna… Perché qui non sono in gioco le vignette di Charlie, i costumi del Gay Pride, i boccoli di Fortuna, sono in gioco la libertà di espressione, la libertà di essere e di amare chi si vuole, la libertà di essere bambina. E di fronte a queste libertà non c’è contestualizzazione che tenga.
Il senso di Je suis Charlie era esattamente quello di farsi carico del valore simbolico di quell’attacco, non solo condannare la violenza in sé ma rivendicare orgogliosamente i valori contro i quali quella violenza era stata perpetrata. Per questo era giusto ripubblicare le vignette di Charlie, prescindendo completamente da considerazioni come: è satira? Non lo è? Sono belle? Ma fanno ridere? Domande totalmente irrilevanti, perché qui siamo su un metalivello, stiamo parlando d’altro.
Ed ecco perché oggi è giusto non solo essere Orlando, ma essere gay. E magari partecipare al Gay Pride vestiti nel modo più eccessivo, trasgressivo, colorato, anticonformista possibile, prescindendo totalmente da considerazioni di opportunità e buon gusto. Al diavolo il pudore, qui c’è in gioco la libertà esistenziale delle persone, il diritto di ciascuno non solo di amare, ma innanzitutto di essere quel che si vuole. O meglio, quel che si è.