Il lavoro femminile è benessere e sviluppo economico.
Da “delt@ il tuo genere d’informazione” riprendiamo l’intervista (a cura di M.Giovannini e S. De Silvestri) a Franca Bagni Cipriani e Daniela Belotti, consigliere di parità della provincia di Roma, rilasciata alla vigilia del convegno (7 ottobre, tema: Il lavoro femminile è benessere e sviluppo economico) in cui è stato presentato un Rapporto delle attività dell’Ufficio delle Consigliere di Parità della Provincia di Roma, attività che si sono snodate con una pluralità di percorsi e con la scelta metodologica del “lavorare insieme” con gruppi di lavoro.[…]{{1}} – {Da una prima lettura dell’ultimo rapporto Istat sembrerebbe emergere una crescita occupazionale in Italia (+ 1,2%), ma, osservando i dati con attenzione, risulta che a crescere è solo il lavoro part-time e precario, in particolare femminile. E’ ovvio che c’e’ qualcosa che non va.
Di recente, la Segretaria confederale dell’Ugl, Marina Porro commentando i dati Istat sul lavoro, relativi al terzo trimestre, ha insistito sull’’urgenza di mettere mano a politiche di sostegno alla famiglia e al welfare per consentire, soprattutto alle donne, di dare un contributo decisivo al mercato del lavoro, garantendone, anche la loro permanenza.
Di fronte a una situazione che appare congelata, stagnante (si pensi alla cronica situazione delle donne del Sud), quali azioni pensate possono essere intraprese per contrastarla efficacemente?}
“Come risulta da una ricerca da noi promossa – dichiara {{Daniela Belotti}}, Consigliera di Parità Supplente della Provincia di Roma – si può parlare non solo di lavori, ma di esistenze flessibili, perché soprattutto per le donne la flessibilità è l’elemento caratterizzante un’intera vita. Uno studio condotto dalla nostra rete evidenzia due elementi rispetto alla maternità: più del 30% delle donne occupate, in seguito alla nascita del secondo figlio, decide di uscire dal modo del lavoro; molte donne poi risultano scoraggiate, tanto da non cercare neppure un impiego. Questi dati ci fanno credere che le mansioni svolte e i ruoli ricoperti dalle donne nell’ambito lavorativo non sono di loro interesse, non sono gratificanti, non ne rispettano le aspettative e non conducono alla realizzazione di sé. Ciò è ancor più vero se consideriamo le condizioni lavorative che le donne si trovano a fronteggiare: molte giovani, ad esempio, subiscono molestie e ricatti per mantenere il lavoro.
“Il problema – aggiunge {{Franca Bagni Cipriani}}, Consigliera di Parità Effettiva della Provincia di Roma – è legato alle tipologie contrattuali diffuse oggi, a tempo determinato, pensate in origine come possibilità di flessibilità, crescita e valorizzazione delle professionalità e delle competenze. Di fatto però, questa tipologia contrattuale è di poco migliore rispetto al lavoro sommerso. Se da una parte la flessibilità garantisce maggiore libertà, dall’altra condiziona psicologicamente i soggetti interessati, comportando scelte e modelli di vita differenti rispetto al passato”.
“Ora – continua {{Belotti}} – ci troviamo davanti a una questione focale che tutta la società deve affrontare: il benessere generale, senza il lavoro delle donne, non ha possibilità di sviluppo. L’impoverimento delle famiglie è evidente, l’impatto dell’euro da noi è stato un fenomeno importante. La famiglia per costituirsi ha bisogno di un sostegno economico, che non può consistere in un piccolo aiuto a fronte di ingenti spese derivanti dal mutuo e dai contributi, ad esempio”.
“Serve – suggerisce {{Cipriani}} – un insieme di politiche che includa la previdenza, il sostegno all’abitazione e alla maternità. In questo modo la precarietà derivante dal continuo spostamento nel mondo del lavoro sarebbe bilanciata da un contesto capace di sostenere le esigenze delle famiglie. Questo è un problema sociologico, al di là di ogni considerazione economico-politica”.
“Bisogna poi considerare che ai tanti cambiamenti nel mondo del lavoro – è ancora il pensiero di {{Belotti}} – non ha fatto seguito un adeguamento degli strumenti della pubblica amministrazione, nonostante i progetti pilota e la sensibilità riscontrata in tale ambito. Rimane la difficoltà a trovare lavoro, basti pensare che il 92% delle persone trova impiego attraverso conoscenze e solo l’8% mediante i centri per l’occupazione.
Nell’immaginario comune le donne ricoprono i più svariati ruoli nella società. In realtà, se analizziamo i dati, la percentuale di donne nei ruoli istituzionali come nei luoghi di lavoro è esigua. Di fatto però la società non percepisce questa discriminazione, nello stesso modo in cui crede inesistente il mobbing sul luogo di lavoro. Per questo noi lavoriamo controtendenza”.
{{2}} – {La Commissione europea ha varato, venerdì scorso a Bruxelles, una direttiva che aumenta dalle attuali 14 a 18 settimane il congedo minimo di maternità per le donne lavoratrici. La nuova norma, se sarà approvata dal Consiglio Ue e dall’Europarlamento, richiederà la modifica dei limiti oggi previsti dalla legislazione vigente in 14 dei 27 Stati membri dell’Ue.
Attualmente l’Italia, concede già cinque mesi di congedo di maternità (21 settimane), dunque, viene lecito interrogarsi: siamo davanti a una politica al ribasso, o a un’operazione utile, che spingerà tutti e 27 Paesi dell’Ue ad arrivare a una politica unitaria in materia?}
“L’Europa dà un’indicazione di massima, a volte poi la contrattazione attuata dai singoli posti di lavoro può essere più favorevole. Il vero problema – per {{Franca Bagni Cipriani}}, Consigliera di Parità Effettiva della Provincia di Roma – per quanto riguarda l’Italia, non è il numero di settimane offerte per il congedo, quanto piuttosto la mancanza di una cultura che abbia acquisito il valore della maternità e del lavoro di cura: la persona che richiede il congedo o permessi per esigenze legate a questi ambiti è da noi incompresa e emarginata. Nella cultura del mondo produttivo e dell’impresa questi valori sono inesistenti. Mi pare anzi che la situazione stia ulteriormente peggiorando.
“L’eventualità che si “abbassi” o meno la soglia di garanzia in termini quantitativi ed economici è – per {{Daniela Belotti}}, Consigliera di Parità Supplente della Provincia di Roma – una questione dibattuta a livello europeo da molto tempo. La possibilità di uniformare i trattamenti eviterebbe in realtà il dumping sociale causato dalla presenza, in alcuni Paesi, di minori tutele per i lavoratori e le lavoratrici. La questione vera allora è questa: tutto ciò che rientra nel “sociale” non va valutato solo in relazione alla durata del congedo, ma anche in termini di presenza di servizi. Paesi con congedi parentali più brevi rispetto al nostro hanno di converso servizi efficienti nella sfera sociale e una mentalità – non mediterranea – grazie a cui il ruolo dell’uomo/padre in seno alla famiglia è equilibrato rispetto a quello della madre. Se verrà ridotto il periodo di congedo nel nostro Paese, ciò significherà per noi, allora, solo la decurtazione di un diritto, perché non c’è, a bilanciare, la volontà di creare un welfare non solo per la donna, ma anche per l’uomo e per la famiglia intera.
In sostanza offrire una garanzia minima per la maternità, in quei Paesi dove essa non esiste, è un bene; in Italia il problema è tradurre in termini diversi il concetto stesso di tutela. Se si creano i servizi, se cambia la mentalità, se si condividono anche nel mondo del lavoro le responsabilità, vi potrà essere un nuovo equilibrio”.
{{3}} – {Dagli studi Ocse risulta che i Paesi che hanno alti tassi di occupazione femminile e investono nello sviluppo dei servizi registrano livelli più alti di natalità. A supportare quanto evidenziato dall’Ocse, citiamo il caso della Germania (che non a caso è tra i pochissimi Paesi a osteggiare la direttiva sul congedo minimo di maternità varata dalla Commissione Europea), dove, nel 2007, l’incremento del tasso di maternità è stato dell’1,37%. Un aumento (come ipotizzato dall’Ufficio tedesco di statistica – Destatis -) dovuto anche grazie all’”Elterngeld”, ovvero, l’indennità per congedo parentale decisa l’anno scorso dalla ministra per la Famiglia Ursula von der Leyen, che di figli ne ha sette, e che a marzo scorso aveva scommesso ottimisticamente su un 1,4%. Tra gli altri motivi possibili potrebbero esserci un graduale mutamento culturale e il calo della disoccupazione, che permettono alle giovani donne di guardare al futuro con maggior ottimismo.}
{Nel nostro Paese, dove evidente è il problema serio delle donne nel fare figli ( un desiderio rimasto invariato da anni, a fronte di un crollo a picco della natalità), proprio di recente, la Sottosegretaria al Welfare Eugenia Roccella ha espresso l’intenzione di poter riprendere la legge 53/2000, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città’, ma soprattutto per favorire e sostenere il desiderio delle donne italiane di diventare mamme, aiutando di più quelle di neonati fortemente prematuri, perché in quei casi l’assistenza si complica, anche e soprattutto in relazione alle necessità di conciliare tempi di congedo con esigenze lavorative”.
Quali sono le attività messe in campo dalle Consigliere di Parità per promuovere una corretta politica di conciliazione dei tempi vita – lavoro}?
“La nostra – dichiara {{Franca Cipriani}} – è un’attività legata ad adempimenti legislativi stabiliti dalla legge e si svolge principalmente su due fronti, il primo dei quali è quello del controllo e della verifica. In Italia esiste una normativa ampia sulla protezione della maternità e sulla conciliazione tra vita privata e lavoro, ossia la legge sui congedi parentali. Le Consigliere di Parità hanno quindi il compito di verificare l’attuazione di questa normativa, con possibilità di agire in giudizio e di richiedere l’adempimento della legge in riferimento ai singoli casi di denuncia che pervengono all’istituzione.
In secondo luogo abbiamo il compito di promuovere sul territorio un’azione culturale che modifichi lo scarso livello di sensibilità sulle tematiche della parità e dell’uguaglianza, attraverso corsi nelle scuole e azioni positive mirate alle aziende: le Consigliere di Parità non possono emanare norme di legge, ma possono sollecitare i soggetti interessati ad adottare comportamenti e azioni corretti e virtuosi. Faccio l’esempio proprio della legge 53: la sua attuazione risulta faticosa, il suo articolo 9 – relativo alla messa in campo, da parte dell’imprese, di azioni finanziate dal soldo pubblico per affrontare la conciliazione dei tempi-vita/ lavoro – di fatto è sostanzialmente inapplicato. In questo contesto, quella che noi abbiamo svolto e svolgiamo è un’azione di ricognizione sul territorio, un richiamo alla responsabilità da parte delle aziende.
Ciò che potremmo sollecitare ancora è la creazione di uno staff di sostegno competente, che garantisca aiuti alle aziende per presentare una progettazione su questa materia e ottenere risultati utili. Da questo punto di vista la Provincia potrebbe cioè avere un ruolo di sostegno che passa attraverso le proprie istituzioni, ossia i centri dell’impiego”.
{{4}} – {Martedì 7 ottobre presenterete il Rapporto delle attività delle Consigliere di Parità della Provincia di Roma. Da quanto detto sinora emerge un quadro complesso. Qual è il bilancio di questi anni di lavoro insieme, tra criticità e sviluppi positivi?}
{{F.Cipriani}}: “Riferendomi al territorio in cui operiamo, quello della Provincia di Roma, posso dire che l’amministrazione provinciale su questi temi ha dato delle risposte. E’ stato votato il Piano di azioni positive per i dipendenti e i risultati sono, a mio parere, soddisfacenti. Dagli/dalle assessori/e abbiamo ricevuto sempre piena disponibilità. Il problema di fondo, però, al di là della convergenza di intenti, è la mancanza di un mainstreaming”.
{{D.Belotti:}} “Da un punto di vista contenutistico il Piano è un vero e proprio piano triennale, così come previsto dalla legge. Noi l’abbiamo supportato con proposte, analisi, ricerche mirate e un tavolo di donne finalizzato al dibattito e alla proposta di azioni comuni. Abbiamo lavorato con assessori, con esponenti dell’associazionismo e delle parti sociali, perché solo attraverso il confronto di tutti i soggetti coinvolti si può operare un reale cambiamento”.
{{F. Cipriani:}} “Il problema è che appena si esce dalla realtà particolare per passare al contesto nazionale la situazione si fa complessa. Nel nostro campo d’azione abbiamo trovato sempre disponibilità, ma la sensazione è quella di essere la classica goccia nel mare, di essere ancora in una fase pionieristica malgrado tutte le conquiste ottenute fino ad ora. Questa è la differenza rispetto ai popoli nordici europei: lì le piccole conquiste quotidiane hanno portato a una trasformazione complessiva della società e a una reale introiezione dei valori delle pari opportunità. Qui invece l’unica trasformazione avvenuta riguarda le donne, che hanno rivoluzionato il loro modo di pensare e di vivere in una società che, invece, non è cambiata affatto”.[…]
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