IL RAZZISMO STRISCIANTE CHE HA UCCISO EMMANUEL – Per questo la lotta femminista, antirazzista e antiomofoba è una sola lotta: quella per l’eguaglianza.
La violenza razzista è un’altra di quelle forme di violenza che affonda le sue radici nella cultura e nell’immaginario collettivo. Così come non basta condannare la violenza maschile contro le donne e i femminicidi senza mettere in discussione l’impianto ancora patriarcale, misogino e sessista del nostro sistema sociale e culturale, così non basta oggi indignarsi per l’omicidio razzista di Emmanuel Chidi Namdi senza rendersi conto della xenofobia strisciante che pervade la nostra società e che costituisce il terreno fertile in cui poi simili aggressioni possono aver luogo.
Il pregiudizio razzista è ancora molto più radicato e diffuso di quanto forse siamo disposti ad ammettere e, insieme al sessismo e all’omofobia, trova troppo spesso casa nelle curve del tifo calcistico e giustificazione neanche troppo velata nelle parole al vento di personaggi che non sanno neanche cosa vuol dire responsabilità politica.
Questo il commento di Salvini:
Salvini concede, bontà sua, che “il ragazzo nigeriano non doveva morire”. Ma poi non rinuncia a un attacco senza senso e senza nesso all’“immigrazione clandestina fuori controllo”, addirittura “all’invasione organizzata” che non porterà nulla di buono. Come questo omicidio, sembra di poter concludere. Omicidio che dunque sarebbe, nella contorta logica salviniana, una conseguenza – seppure deprecabile, per carità – della presenza di Emmanuel qui. Insomma, se te ne stavi a casa tua, non sarebbe successo nulla. È esattamente la stessa mentalità dell’assassino. Ed è esattamente lo stesso meccanismo di colpevolizzazione della vittima che si innesca nei casi di violenza di genere e omofoba: ok, condanniamo la violenza, ma…
Sappiano, Salvini &co., che ogni “ma” (anche quando furbescamente implicito, come nel post qui sopra) è un nuovo colpo inferto alla vittima. Non si uccide solo con le armi e con le mani, si uccide anche con le parole. Anzi, ogni omicidio a sfondo razzista, sessista e omofobo inizia con le parole.
La giustizia penale si occuperà di vagliare esattamente le colpe di Amedeo Mancini e di comminargli, si spera, una pena giusta. A noi, al resto della società, spetta invece interrogarci su quella mentalità, su quella cultura che ha costituito il brodo di coltura di quell’omicidio, come sempre bisogna fare nei casi di violenze contro le donne, contro gli omosessuali, contro gli stranieri. Una cultura secondo la quale i neri, le donne, i gay possono anche essere tollerati, ma devono stare al loro posto, nell’ombra, subordinati, sottomessi, nascosti. È la pretesa dell’eguaglianza a far saltare i nervi ai fascisti di ogni risma.
Per questo la lotta femminista, antirazzista e antiomofoba è una sola lotta: quella per l’eguaglianza.