caseDopo lo sgombero di via  Irnerio avvenuto ai primi di maggio,le forze dell’ordine questa mattina, 12 luglio 2016,  sono arrivate   in via Mura di porta Galliera, dove vivono 10 famiglie con dei minori. Sono più di 50 persone che hanno occupato lo stabile dal 18 giugno 2014.

La tensione è salita subito, quando gli occupanti hanno cercato di rallentare le operazioni gettando secchiate d’acqua ed è ancora aumentata quando il presidio di solidali ha cercato di raggiungere lo stabile per portare condivisione alle famiglie: la risposta delle forze dell’ordine è stata una serie di manganellate.

Intorno alle 11.30 gli agenti hanno cominciato a far uscire le prime famiglie; quelle con minori o donne in gravidanza sono destinate in albergo; ai single saranno offerti posti in dormitorio.

Ma un albergo o un dormitorio può considerarsi casa? CASA!  La casa non è solo il luogo dove ripararsi  è sopratutto luogo di identità.  Non avere  dove far convergere affetti e relazioni crea disagio psichico e sociale. E, questo è il primo passo verso nuove povertà, povertà  non solo economiche.

Nel maggio dello scorso anno la CGIL scriveva:
L’emergenza abitativa ha raggiunto una dimensione mai conosciuta prima in città. E a fronte di questa situazione “le migliaia di case sfitte stanno diventando veramente insopportabili e quasi imbarazzanti”
“Da tempo in città c’è un’ampia condivisione sul fatto che siamo difronte a una vera e propria emergenza abitativa;

La sola edilizia residenziale pubblica “non può più costituire il perno su cui fondare la risposta abitativa, bisogna guardare avanti, a un mondo del lavoro precario e poco retribuito, spesso composto di persone sole, all’aumento enorme delle fragilità e all’estensione delle povertà, al fenomeno dell’immigrazione e dei senza lavoro, al dilagare di lavoro povero e alla forte mobilità sociale sul territorio che non consentirà più alla maggioranza delle persone di acquistare una casa di proprietà come avveniva in passato”.  A fronte di questa situazione, bisogna rilanciare “forme di locazione che smuovano questa storica tendenza a tenere per lunghissimi periodi le case vuote” e “utilizzare il patrimonio pubblico” che “sta diventando un vero e proprio schiaffo all’intera platea di coloro che hanno bisogno urgente di un soluzione”.

Sarebbe doveroso che il governo centrale intervenisse. “Tutti sappiamo che anche a Bologna il patrimonio di INPS, Ferrovie, AUSL, ecc. inutilizzato e chiuso spesso da decenni sarebbe probabilmente quasi sufficiente per la soluzione di gran parte del problema  Lo stesso Comune, a partire da villa Salus e villa Ghigi, è proprietario di immobili inutilizzati da tempo, sui quali è possibile effettuare interventi e costruire progetti ad hoc”.

“Il regolamento ERP va probabilmente cambiato e attualizzato alla luce di un nuovo contesto. Risultano difficilmente comprensibili situazioni come quelle dei lunghissimi tempi di assegnazione e delle centinaia di case anch’ esse vuote. Anche la media dei canoni  va sicuramente rivista, come il tema di appartamenti enormi a lungo assegnati a persone sole o l’idea che la casa venga di fatto assegnata per tutta la vita nonostante consistenti aumenti di reddito”. Dentro a questo contesto, secondo la Cgil, “la delibera di giunta regionale che prevede tre anni di residenza per poter fare la domanda di accesso alle case popolari risulta una atto che, senza tanti giri di parole, introduce un elemento di chiara discriminazione, sia per italiani che per stranieri.

“Per le poverta’ assolute, di fatto, esiste solo o un posto in dormitorio o la strada. È uno scenario sicuramente complesso e inedito per Bologna ma che non può avere come unica risposta le occupazioni. La graduatoria delle persone che hanno bisogno non può che essere gestita dal Comune; solo l’Amministrazione può garantire trasparenza nelle procedure ed equità di trattamento fra coloro che hanno bisogno, nessun altro”.

“La società civile risulta aver fatto un salto di qualità rispetto al tema,  lo dimostra un diffuso “senso di solidarietà” che si sta diffondendo nei confronti delle famiglie che occupano, impensabile solo qualche anno fa. Le istituzioni, le parti sociali, l’associazionismo, le imprese potrebbero costituire un tavolo urgente per elaborare proposte, nessuno deve ritenersi autosufficiente nella soluzione di un problema destinato ad allargarsi. Ma alla politica spetta sicuramente il compito di direzione per una discussione di questa portata, politica che non gode certo di ottima salute. Quel che è certo è che bisogna muoversi in fretta”.

 MA A DISTANZA DI UN ANNO QUALI LE RISPOSTE?