Dalla mailing list “sommosse”, stralciamo queste riflessioni di Lea Melandri che si inseriscono nello scambio di opinioni nella “rete nazionale femminista” dopo l’assemblea del 18 ottobre scorso a Roma ed in vista della costruzione della manifestazione del 22 novembre prossimo.[…] Importante è capire come si colloca oggi un’uscita pubblica sui
temi che ci interessano, e {{come fare perchè non diventi solo un
rituale.}} Sono cambiate molte cose. In particolare, lo scorso anno era
montata una diffusa indignazione rispetto a omicidi e stupri di donne,
al fatto che avvenissere per lo più in famiglia, la violenza era stata
finalmente nominata col suo nome, violenza maschile contro le donne,
sessismo. Si era scritto e parlato in questo modo anche in luoghi dove
non ce l’aspettavamo, come dimostrano le migliaia di documenti di
adesione firmati da consigli comunali, regionali, sindacati, scuole, ecc.

Oggi, pur essendoci una media di due omicidi e maltrattamenti vari al
giorno, {{il problema è tornato nell’ombra}}, è ridiventato ‘cronaca nera’.
A me basterebbe questa intollerabile rimozione per dire che la
manifestazione del 22 nov. è importante che ci sia, e che sia centrata
proprio su una violenza che evidentemente non si vuole affrontare.

Ma
c’è un altro cambiamento che non possiamo ignorare: {{è ripreso un
movimento nella scuola ( e non solo),}} che ci auguravamo da anni, con una
presenza di donne decisamente preponderante, ma da cui purtroppo la
consapevolezza del rapporto uomo-donna e dell’ideologia sessista che
passa attraverso l’educazione, sembra del tutto assente. La
manifestazione dovrebbe perciò – come hanno scritto anche altre prima di
me, per esempio le donne del mfpr di Milano – {{allargare il discorso della
violenza, dal suo aspetto ‘manifesto’ a tutte le implicazioni meno
visibili, riportare l’attenzione sulla famiglia, sulla divisione
sessuale del lavoro, sui modelli culturali maschili tuttora dominanti}}.

Mi rendo conto che è difficile dire alle donne che si mobilitano oggi in
difesa della scuola pubblica e del loro posto di lavoro – e quindi
essenzialmente come madri e maestre -, che è proprio questa delega alle
donne, {{questo maternage continuo}}, nella famiglia, nella scuola, nella
società, {{a mantenere i rapporti di potere che conosciamo}}, ad alimentare
gli stereotipi del maschile e del femminile, a fare da cinghia di
trasmissione di un sapere che cancella le donne come persone, la libertà
di decidere della propria vita, e così via. Si rischia di non essere
capite, ma bisogna farlo.

Allo stesso modo, non si può ignorare il silenzio, o la complicità con i
modelli correnti, delle donne che stanno nei giornali, nelle università,
nel parlamento, nei partiti, nei luoghi della cultura e dell’impegno
sociale – {{le “oscure carriere” che già V.Woolf aveva previsto}} -, un oscuro
protagonismo femminile che tuttavia la dice lunga sull’interiorizzazione
della cultura dominante.

{{L’autonomia del movimento delle donne non può
voler dire solo costruire percorsi propri, a lato dell’esistente}}. Ho
sempre pensato che, da questo luogo ‘altro’, consapevole, dovrebbero
partire {{consapevolezze e pratiche politiche destinate a rivelare
contraddizioni, ad aprire conflitti in tutti gli ambiti della vita
pubblica.}} Il razzismo diffuso, lo sfruttamento sul lavoro, causa di
tante morti bianche, è diventata una ‘emergenza’, il che vuol dire che è
tenuto sott’occhio, fatto oggetto di discussione, portato all’attenzione
del grande pubblico. Il sessismo resta un’evidenza invisibile. Proviamo
a rimetterlo al centro, perchè è lì che è sempre stato da un tempo infinito.

{{Ci vediamo a Roma il 22 novembre}}. […]

{n.d.r.} Sull’assemblea del 18 ottobre alla Casa internazionale delle donne di Roma v. in questo sito [“La violenza è anche non avere una casa…”->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article2724] di Marina Pivetta