BOLOGNA . Convegno su L’IMPATTO ECONOMICO DEGLI INVESTIMENTI IN CULTURA il 28 gennaio 2017
Negli ultimi anni si è cominciato a parlare del rapporto tra economia ed arte. Un argomento che a visto anche scontrarsi posizioni di chi ritiene che la cultura non possa essere monetizzata e chi sostiene invece che sia parte del patrimonio economico del Paese. Facciamo un esempio concreto : se il ministro Franceschini dichiara, ad esempio, che per vedere il Pantheon sia necessario pagare un biglietto pur minimo per sostenere i costi di gestione di luoghi meno frequentati, Montanari -docente di storia dell’arte- dichiara la sua contrarietà nel monetizzare la cultura. I costi di questa devono essere erogati non dalla comunità ma dalle istituzioni o da mecenati privati. Un dibattito che ha segnato la politica culturale degli ultimi anni, mettendo in primo piano il problema di come mantenere al meglio un patrimonio vastissimo per al meglio poterlo usufruire.
Così, si susseguono i convegni organizzati nelle varie regioni sul problema, non ultimo quello di BOLOGNA in occasione di Arte e Fiere dal titolo: L’IMPATTO ECONOMICO DEGLI INVESTIMENTI IN CULTURA. IL CASO BOLOGNA che si terrà sabato 28 gennaio 2017 alle ore 10 a Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna via Castiglione, 8 per la Presentazione dei risultati della ricerca condotta da Nomisma per conto di Genus Bononiae – Musei nella Città sull’impatto economico e sociale generato sul territorio. Intervengono: Pierluigi Sacco- Professore Economia della cultura Università IULM Milano, Claudio Bocci – Direttore Federculture, Davide Conte – Assessore Bilancio e Finanze Comune di Bologna, Angela Vettese – Direttrice Artistica di Arte Fiera
Volendo capire le radici di questo dibattito mi è sembrato interessante andarle a cercare in quella che poteva essere una ricerca a livello universitario per vedere quanto le giovani generazioni ne erano coinvolte. Così, girando su internet, mi sono imbattuta sulla tesi di laurea di Giulia Caldonazzi dell’Università Ca Foscari di Venezia dell’anno accademico 2010 2011- Nella sua introduzione si legge:
… L’Italia, fin dal Settecento, è una delle mete preferite per i viaggi; si viene nel nostro Paese per arricchire la propria cultura, per scriver e, per dipingere, per imparare l’arte, per il gusto e per lo stile. Kahlil Gibran disse “L’arte degli italiani sta nella bellezza”… ll primo capitolo tratta l’accostamento tra cultura ed economia da un punto di vista teorico; l’economia dell’arte è una disciplina recente, infatti prima degli anni Sessanta i due ambiti venivano studiati separatamente. Per parlare di economia e cultura è però necessario partire dalle basi economiche, quali l’economia de l benessere, il finanziamento pubbilco e il fallimenti del mercato. Si cerca poi di capire l’impatto che la cultura può avere per la richezza di una nazione, con particolare attenzione al caso italiano. Lo Stato italiano assegna meno di 0,5 miliardi di Eur o annui (0,03% del PIL) ad investimenti nel settore culturale, un dato alquanto scarso si pensa alla capacità del settore: che in Italia rappresenta il 2,6% del PIL, quindi un Euro investito in cultura da un rimando sette volte superiore, senza contare l’aumento nel livello d’occupazione e all’incremento d’immagine per il Paese. È proprio da questo dato che si sviluppa il filo portante della tesi, che mira a sottolineare il potenziale inespresso del settore culturale a livello economico Il secondo capitolo analizza le preferenze dei consumatori. Lo strumento utilizzato è un sondaggio, somministrato sia a livello nazionale che internazionale (Francia, Spagna, Germania, Regno Unito e Stati Uniti i Paesi considerati), per capirne i comportamenti e le aspettative. Gli ambiti della ricerca sono quattro: consapevolezza dell’offerta culturale e attrattiva verso i beni culturali (capire il concetto di cultura nell’immaginario collettivo e come/quali siano le informazioni fornit e sulle iniziative culturali), abitudini (cosa spinge maggiormente i cittadini a scegliere una determinata offerta culturale e quanto la cultura incida sulle scelte turistiche e di tempo libero), nuove tecnologie (quanto queste siano utilizzate e quale sia la propensione al loro uso) e investimento in cultura (quanto l’opinione pubblica risulti sensibile al finanziamento del settore). Il terzo capitolo tenta di dare una misura economica del patrimonio culturale ed artistico, cercando di capire come questo possa arrecare vantaggio all’economia e al PIL del nostro Paese, prendendo come base di partenza il modello elaborato durante il progetto Florens 10 2010 . Innanzitutto sono descritti l’ambiente e le caratteristiche del progetto, poi tale iniziativa viene adottata come fonte di informazioni e dati sul settore culturale. Il quarto capitolo investiga l’impatto della cultura in ambito internazionale, cercando di capire come mai Paesi con una richezza di patrimonio artistico minore, risultino capaci di attrarre più turisti e agevolazioni rispetto alla nostra nazione; ci si serve degli stessi strumenti dell’analisi nazionale per permettere una migliore comparazione dei dati raccolti. Attraverso la misurazione economica della cultura miro a sottolinearne il valore anc he dal punto di vista di investimenti e mercato, per mostrare come questo tema debba essere di primaria importanza nell’agenda politica ed economica del nostro Paese; cercando di guardare non solo ai problemi dell’Italia, ma anche alle sue potenzialità
http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1608/829636-1154586.pdf?sequence=2
Interessante anche l’articolo di Vittoria Azzarita sul Giornale dell’arte su arte e impresa
http://www.ilgiornaledellarte.com/arteimprese/articoli/2015/7/124770.html