Il primo anno di Fabiola Gianotti alla direzione del CERN
“É come se fossi diventata il sindaco di una città di undicimila abitanti”, ha sentenziato Fabiola Gianotti che ha festeggiato il suo primo anno alla Direzione del CERN di Ginevra, prima donna in assoluto al vertice del più grande laboratorio di fisica del mondo. Nel 2012 la nostra brillante scienziata era alla guida di uno degli esperimenti che portarono alla scoperta del bosone di Higgs. Di qui il cammino verso la prestigiosa nomina che scadrà nel 2020. Durante questo anno importante, l’acceleratore di punta, il Large Hadron Collider, ha funzionato egregiamente, producendo un numero di collisioni fra fasci di protoni superiore a quello ottenuto in totale dall’inizio dell’operazione nel 2010. Inoltre, sono state studiate in dettaglio per la prima volta alcune proprietà di un atomo di antimateria.
Nata a Roma 53 anni fa, ha studiato a Milano ed è stata fra i protagonisti della scoperta del bosone di Higgs. Fabiola Gianotti è la prima donna a guidare il Cern nei 60 anni di storia del laboratorio europeo. Succede a Rolf-Dieter Heuer, che ha ricoperto la carica dal 2009, affiancato da Sergio Bertolucci come direttore della Ricerca. È stata nominata dal Director General Search Committee del Cern. Gli altri due fisici in corsa per la direzione erano il britannico Terry Wyatt, dell’universita’ di Manchester, e l’olandese Frank Linde, direttore dell’Istituto nazionale di fisica subatomica (Nikhef) di Amsterdam.
Dal bosone di Higgs alla classifica dei personaggi dell’anno stilata da Time: Fabiola Gianotti è fra i protagonisti indiscussi della fisica contemporanea.
Nata a Roma da padre piemontese e madre siciliana, ha studiato Fisica nell’università di Milano, dove nel 1989 ha conseguito il dottorato di ricerca in fisica sperimentale subnucleare. In seguito è stata borsista dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Dal 1987 lavora al Cern, dove dal 1994 è fisica di ricerca nel Physics Department.
Si è occupata della ricerca, dello sviluppo e della costruzione di rivelatori, così come dello sviluppo di software e di analisi di dati. Ha lavorato agli esperimenti UA2, Aleph e Atlas, del quale è stata coordinatrice internazionale dal 2009 al 2013. Proprio l’esperimento Atlas ha fornito i dati che hanno portato a scoprire il bosone di Higgs, insieme all’esperimento Cms. Proprio come coordinatore dell’esperimento Atlas, il 4 luglio 2012 Gianotti ha annunciato la scoperta del bosone di Higgs, attesa da decenni dal mondo scientifico.
Intervista di Barbara Gallavotti uscita su panorama
È arrivato finalmente il Nobel che tutti si attendevano: quello per il bosone di Higgs. Sono stati premiati Peter Higgs e François Englert, i teorici che per primi ne ipotizzarono l’esistenza. A dire il vero il bosone aveva anche un terzo padre, Robert Brout, deceduto però nel 2011, appena un anno prima al Cern venisse annunciato che la particella era stata finalmente stata osservata sperimentalmente dopo quasi mezzo secolo di caccia.
Quello per la scoperta del bosone di Higgs è un Nobel speciale perché tocca direttamente non solo i due fisici premiati ma anche le migliaia di scienziati che hanno lavorato agli esperimenti Atlas e CMS: i due giganteschi apparati del Cern che hanno portato a scoprire la particella dopo cinquant’anni di caccia. Mai nella storia della scienza era avvenuto che una scoperta scientifica avesse dietro di sé un così impressionante dispiego di persone e di tecnologia.
Fabiola Gianotti è la scienziata che ha guidato i circa tremila fisici impegnati nell’esperimento Atlas durante la lunga ricerca al bosone. È stata lei, assieme al suo omologo alla guida di CMS, ad annunciare che la particella era caduta nella rete il 4 luglio del 2012. La conferenza avrebbe dovuto essere per esperti e invece ha finito per raggiungere un miliardo di persone: un abitante del pianeta su sette. Da allora Gianotti è diventata anche per il grande pubblico quell’icona che era già da tempo nel mondo scientifico: nel 2012 la rivista Time l’ha indicata come una delle cinque persone più importanti del pianeta, è stata fra i vincitori del prestigioso Fundamental Physics Prize (che immediatamente ha devoluto in borse di studio) e molto altro. Noi l’abbiamo raggiunta per telefono.
Fabiola Gianotti, in fondo questo Nobel è un riconoscimento per tutti i fisici che hanno partecipato alla caccia al bosone?
In fondo sì. Il Nobel è stato dato per la brillantissima idea teorica nata dalle menti di Peter Higgs, François Englert e Robert Brout (deceduto nel 2011, n.d.r.) ma non sarebbe mai stato assegnato se quelle teorie non avessero avuto la conferma sperimentale arrivata grazie all’acceleratore LHC, agli esperimenti e al coinvolgimento di migliaia di persone.
L’annuncio della scoperta del bosone di Higgs è stato dirompente e questo Nobel era molto atteso anche dai non scienziati. Per voi che avete scoperto la particella cosa rappresenta? Vi rende più motivati?
È una grande gioia e un’enorme soddisfazione, ma no: non credo che cambi le motivazioni di gran parte di noi perché a guidarci è l’interesse per la ricerca. Penso comunque che questo premio sia un segnale bellissimo e un riconoscimento indiretto importante soprattutto per i più giovani.
Come vi siete sentiti dopo i giorni dell’emozione per la scoperta del bosone di Higgs? Avete avuto un senso di smarrimento, come chi raggiunge un traguardo dopo una lunga corsa e improvvisamente si trova senza più sfide?
No, assolutamente. La scoperta di una nuova particella è qualcosa di speciale. È come incontrare un nuovo amico: si desidera conoscerlo meglio. Quando abbiamo annunciato la scoperta del bosone non ne conoscevamo tutte le caratteristiche e dovevamo controllare che corrispondesse in pieno a quanto previsto dalle teorie. Ancora oggi ci sono quesiti a cui rispondere. Per esempio oggi, a distanza di un anno e dopo tanto lavoro, possiamo dire che ciò che abbiamo trovato è un bosone di Higgs, ma non sappiamo ancora se è il bosone di Higgs previsto dalla teoria standard o un oggetto più esotico. Potrebbero esistere altri bosoni di Higgs. In altre parole, è ancora possibile che esistano molti diversi tipi di bosone di Higgs. E se così fosse sarebbe meraviglioso perché vorrebbe dire che l’universo è diverso da come la maggior parte di noi lo immaginava e si aprirebbero nuovi amplissimi orizzonti di ricerca.
Con la ricerca del bosone la fisica delle particelle ha dimostrato di avere bisogno di esperimenti su scala planetaria. Tradizionalmente i grandi laboratori si sono sempre trovati in Europa o negli Stati Uniti. Il futuro sarà in Asia?
Sicuramente l’Asia si prepara a rivestire un ruolo importante. I suoi scienziati sono da tempo coinvolti nella ricerca in fisica delle particelle, in particolare al Cern. Ma ora la Cina sta facendo grandi progressi e si dimostra interessata a ospitare laboratori all’avanguardia. Una possibilità che si sta discutendo è quella di costruire in Giappone la prossima grande macchina destinata ad accelerare le particelle, il cosiddetto Linear Collider. Insomma, si va sempre più nella direzione di dar vita a laboratori che ospitino esperimenti con la partecipazione di scienziati da tutto il pianeta. Ed è molto probabile che il prossimo esperimento sia effettuato nell’Estremo Oriente.
All’annuncio del conferimento del Nobel per la medicina in genere tutti capiamo immediatamente perché la ricerca premiata è importante e come può aver migliorato le nostre vite, per esempio portandoci a cure più efficaci. Capire il perché dell’importanza del Nobel per la fisica è più difficile…
La scoperta del bosone di Higgs ha già cambiato la vita di tutti perché per arrivare a essa abbiamo dovuto sviluppare nuove tecnologie in molti campi diversi, che hanno poi trovato le applicazioni più disparate. Si cita spesso l’adroterapia, cioè l’utilizzo di particelle accelerate per distruggere i tumori, oppure il web, nato al Cern per consentire ai fisici di lavorare in maniera più efficiente. Gli esempi però sarebbero moltissimi. Probabilmente non immaginiamo neppure quali conseguenze avrà nei prossimi decenni la scoperta di questa particella. L’esperienza ha dimostrato che è impossibile stabilire a priori l’impatto di un traguardo scientifico, ma ogni volta che si fa un passo avanti nella conoscenza. prima o poi arriva un progresso. Inoltre c’è una considerazione che mi sta molto a cuore: al di là delle applicazioni pratiche la conoscenza, così come l’arte, è una delle espressioni più elevate del cervello umano e di conseguenza la sua ricerca va incoraggiata e protetta, come pure la ricerca dell’arte. In fondo gli esseri umani possono essere privati di tutto, ma fino a che hanno vita non può essere spenta l’aspirazione verso la conoscenza e verso il bello. (