Una lettera aperta sull’assurda idea di fare una versione pornografica del film “La Ciociara”
Al Presidente del Governo Italiano, al Ministro dei Beni e delle Attività culturali e ai Ministri competenti e ai Parlamentari
Hannah Arendt nel suo libro ‘La banalità del male’ sui crimini perpetrati dai gerarchi nazisti rifletteva sulla natura del male, banale e per ciò stesso più terribile da capire e da affrontare. E di banalità del male si può parlare rispetto all’assurda idea di fare una versione pornografica del film “La Ciociara”. Questo film, ispirato all’omonimo romanzo di Alberto Moravia, non è soltanto il capolavoro di Vittorio De Sica ma è parte della memoria di una delle pagine più buie e brutali della Seconda guerra mondiale giacché descrive l’orrore degli stupri di guerra da parte delle truppe coloniali francesi a seguito della “battaglia di Cassino” e lo smantellamento della linea Gustav.
Lungo la linea del fronte tutti i centri abitati subirono una distruzione superiore al 90%. Privi di tutto, sottoposti ai bombardamenti alleati e ai cannoneggiamenti dei due eserciti che si fronteggiavano, la popolazione civile si trovò in trappola, destinata a vivere mesi di violenze e di terrore. Ai bombardamenti seguirono gli stupri di massa e le brutali violenze compiute dalle truppe coloniali ausiliarie francesi, le cosiddette “marocchinate”, ai danni della popolazione locale.
Le violenze sulla linea del fronte non furono occasionali, ma ripetute su larga scala, perché quelle zone divennero terra di nessuno senza alcuna presenza di autorità civili o militari che potessero difendere le popolazioni civili. Ma tale barbarie non iniziò in Ciociaria bensì in Sicilia, dove sbarcarono i primi contingenti dei Goumier, e continuò fino in Toscana dove vennero fermate a seguito delle proteste anche del Papa e del Governo Badoglio.
Negli anni Cinquanta, l’onorevole Maria Maddalena Rossi, Presidente dell’Unione Donne Italiane, denunciò in Parlamento che solo in Ciociaria furono 60.000 le violenze sessuali da parte delle truppe coloniali francesi perpetrate perlopiù sulle donne, ma anche sui bambini di ambo i sessi e gli uomini, ma si stima che la cifra non rappresenti neppure un terzo di quelle reali, perché “per questioni di onore” e di pudore la maggioranza delle vittime si astenne dal denunciare il fatto.
Vergogna, silenzio, sofferenza fisica – talvolta anche mentale – senso di colpa ed emarginazione hanno accompagnato, il più delle volte, la vita di coloro che subirono queste atroci violenze. La memoria pubblica ha assecondato i sentieri dell’oblio, nel dopoguerra si cercò di non parlare di questo orrore. Questa pagina di storia costituisce, tuttora, una ferita indelebile non ancora rimarginata nella memoria pubblica, anche perché questi eventi traumatici non sono stati significativamente rielaborati a livello collettivo, né compiutamente analizzati e considerati dalla storiografia.
Da qualche anno, grazie soprattutto al lavoro delle associazioni femminili e femministe che hanno promosso una diversa sensibilità verso la violenza maschile contro le donne e gli stupri di guerra – e di pace! –, si assiste a uno sforzo comune insieme alle amministrazioni locali, a ricercatrici e ricercatori, a docenti di ogni ordine e grado, cittadine e cittadini, che stanno lavorando per riappropriarsi della memoria storica, per rivendicare il diritto a non dimenticare gli orrori del passato, per costruire una società diversa fondata sull’ascolto, sul ripudio della guerra e di ogni forma di prevaricazione, discriminazione e violenza.
Sono stati realizzati progetti nelle scuole, scritti libri, realizzati convegni e seminari itineranti per elaborare collettivamente il lutto di questi tragici fatti.
Al contempo, il fenomeno degli stupri di massa è stato considerato anche alla luce di ciò che avviene oggi nei più diversi teatri di guerra quali, ad esempio, il Sudan, l’Iraq, la Siria, il Congo, la Birmania, la Nigeria, la Palestina, e in un passato recente che tuttora continua, la ex Jugoslavia, il Rwanda, la Somalia, l’India, il Darfur… Lo stupro di guerra ha una sua continuità, seppure in forme diverse, nella storia, e ancora ai nostri giorni costituisce un’arma, una strategia di guerra tesa a distruggere il nemico.
Da qualche anno, le Nazioni Unite sono impegnate a contrastare il fenomeno con diverse misure, tra queste il programma ‘Stop Rape Now’; anche il Parlamento europeo ha posto in evidenza il problema conferendo il Premio Sacharov nel 2014 al ginecologo Denis Mukwege per il suo lavoro nel trattamento delle donne vittime di violenze sessuali durante gli scontri nella Repubblica Democratica del Congo e nel 2016 a Nadia Murad Basee e Lamiya Aji Bashar, appartenenti alla comunità yazidica e sopravvissute a Isis/Daesh che ha rapito e costretto alla schiavitù sessuale migliaia di ragazze e donne.
Alla luce di quanto riportato, vi chiediamo se non sia un insulto grave alla memoria e al presente una pellicola hard su queste vicende? Se si possa parlare di libertà d’espressione o se non sia anche questo un modo per minimizzare e giustificare gli stupri di guerra e l’orrore conseguente?
Riteniamo che lo Stato italiano debba intervenire per evitare quello che sarebbe l’ennesimo oltraggio verso coloro, donne uomini e financo bambini di ambo i sessi, che subirono quelle violenze e che continuano a subirle in tante parti del mondo.
Da cittadine e cittadini di questo Stato chiediamo con forza che ciò non avvenga e che invece la tematica degli stupri di guerra sia finalmente inserita nei programmi e nei testi di storia come richiesto a Stefania Giannini, allora Ministra dell’istruzione, dell’università e della ricerca, invito che rinnoviamo alla Ministra Valeria Fedeli, insieme al Presidente del Consiglio e al Governo tutto.
Prim* firmatar*
Simona La Rocca, Isabella Peretti, Vittoria Tola (tra le autrici di un recente libro sugli stupri di guerra e le violenze di genere)
Sindaco di Amaseno, Antonio Como – Sindaco di Vallecorsa, Michele Antoniani – Sindaco di Villa, Santo Stefano Giovanni Iorio – Franca Colonia Assessore Politiche socio culturali – Sindaco di Lenola, Andrea Antogiovanni
Per sottoscrivere la lettere mandare una e mail a http://www.udinazionale.org/letteraaperta.html