ROMA – La materiale vita – il libro di Tristana Dini – per una discussione sulla biopolitica e sulla differenza sessuale alla Fondazione Basso – il 5 aprile 2017
Mercoledì 5 aprile 2017 alle ore 17 nella sala conferenze della Fondazione Basso in via della Dogana Vecchia 5, un dibattito sulle differenze nella biopolitica a partire dal libro di Tristana Dini La materiale vita. Biopolitica, vita sacra, differenza sessuale (Mimesis Edizioni, 2016).
Intervengono Maria Luisa Boccia e Caterina Botti che si confronteranno con l’autrice.
Le teorie e le pratiche femministe offrono un punto di avvistamento privilegiato sull’orizzonte biopolitico che viviamo. Da due secoli al centro dell’area di attrito tra biopolitica e democrazia, il femminismo – nelle sue numerose varianti – ha messo a nudo il carattere contraddittorio di categorie della teoria politica classica come uguaglianza, democrazia, individuo, diritto, cittadinanza. Se la vita al centro delle traiettorie del bio-potere si configura come vita sacra, uccidibile, “nuda vita”, le teorie femministe la collocano in una dimensione relazionale di interdipendenza. Ma in che modo la comune vulnerabilità può aprire ad una politica differente? Che rapporto c’è tra biopolitica e cura materna? Nel momento in cui le nuove tecnologie portano il capitalismo al cuore della vita, della sessualità, della riproduzione e i corpi delle donne risultano frammentati, oggettivati, investiti dal biopotere, si fa urgente una “politica della vita materiale” in grado di disegnare nuovi modi di abitare la contraddizione tra bíos e zoé.
Tristana Dini collabora con la cattedra di Filosofia Morale dell’Università Federico II di Napoli. Dottoressa di ricerca in Metodologie della filosofia (Università di Messina) e Filosofia teoretica e politica (Istituto Italiano di Scienze Umane Napoli), ha condotto le sue ricerche presso la Ruhr Universität di Bochum, la Fondazione Bruno Kessler di Trento, l’università degli studi di Salerno. Si occupa di filosofia classica tedesca e di etica e filosofia politica contemporanea con particolare riferimento alle teorie femministe e al concetto di biopolitica. Fa parte del collettivo di redazione della rivista “www.adateoriafemminista.it”.
Sulla questione della biopolitica l’11 gennaio di quest’anno è intervenuta Alessandra Pigliaru
Che il femminismo in questi anni sia riuscito a fare la differenza anche nel dibattito su neoliberismo e biopolitica è un dato. Nonostante la discussione sulla biopolitica sia piuttosto affollata, «usurata» e da parecchi anni, anche in Italia, ci sono delle posizioni che spiccano per originalità e tenacia della tenuta.
Emerge per importanza, sforzo pensante ma – soprattutto – caparbietà nel segnare il punto vero della questione, l’analisi di Angela Putino che – nonostante sia scomparsa da dieci anni – aveva già dato avvio a un percorso irreversibile in merito al tema. Insieme a lei molte hanno potuto trovare un confronto politico incarnato, significativo e che, nel tempo, ha voluto dire appropriarsi di un metodo. E tenerlo e praticarlo per sé, nonostante l’assenza della stessa Putino, ha previsto la crescita di generazioni politiche di donne che lo percorrono con la stessa appassionata ostinazione. È il caso di Tristana Dini – come anche di Stefania Tarantino, fine studiosa e lettrice di Simone Weil, e altre.
Su biopolitica, differenza sessuale e vita sacra si misura l’ultimo saggio di Tristana Dini dal titolo eloquente, La materiale vita (Mimesis, pp. 145, euro 16, postfazione di Marco Ivaldo) che ha come sottotitolo i tre nodi che vanno poi a dipanarsi in altrettanti capitoli.
Progetto editoriale che Putino e Dini avevano immaginato insieme e che doveva fare seguito a un seminario organizzato presso l’Itc-isr di Trento nel giugno del 2005 – tra le presenti anche Ida Dominijanni, Chiara Zamboni, Antonella Cutro. Nonostante il precipitare degli eventi, Angela Putino era riuscita a scrivere almeno l’introduzione al volume (che doveva contenere gli Atti) insieme a Tristana Dini che oggi mantiene la promessa e la pubblica, a doppia firma, in apertura del suo saggio. Si tratta di una sintesi perfetta, efficace divisa in 9 punti, una sorta di manifesto/vademecum in cui vanno ad affilarsi definitivamente le ragioni che conducono a una vicinanza la biopolitica e il femminismo. Soprattutto il modo e la qualità di intendere questa prossimità.
Seguendo la lezione di Foucault (ripresa da Judith Butler, Giorgio Agamben, Antonio Negri e Roberto Esposito), è necessario il raffronto tra biopotere e potere sovrano. La domanda tuttavia è sul tipo di potere della biopolitica e sulla legittimità o meno che lo si possa ascrivere allo stesso ordine della sovranità. Nella separazione tra i due poteri sta il punto e anche l’avvio del lavoro di Tristana Dini.
Fondante è l’implicazione tra materno e biopolitica e, scavando genealogicamente, si arriva alle competenze materne. È un nodo difficile da affrontare (e forse proprio per questo da discutere ancora giacché incandescente) perché «la biopolitica è una trasposizione, nel migliore dei casi, o addirittura una perversione della cura materna».
Appunto per questo è importante separare il potere sulla vita da quello sovrano per potersi soffermare sul significato della sessualità, dell’eros, dell’amore. In questo modo il discorso sulla biopolitica si desaturizza, aprendo a una politica della «materiale vita». In tutta la sua «zoé-pensante» complessità.
Angela Putino, frammenti guerrieri di un discorso amoroso
Ritratti. Dalla biopolitica ad Antigone fino alla lezione di Simone Weil, una pensatrice tagliente e rara. A dieci anni dalla scomparsa della filosofa e femminista napoletana
«Noi oggi chiamiamo all’interezza di un corpo frammenti di inaddomesticato, luoghi guerrieri del presente, del mito, della storia, dell’affabulare». Era il 1987 quando Angela Putino rifletteva su questi temi, tratti da Cosmo – contenuto in Quattro giovedì e un venerdì per la filosofia (collana di Via Dogana). Filosofa, femminista, pensatrice tra le più affascinanti e taglienti che il Novecento italiano ci abbia regalato, scompariva il 16 gennaio di dieci anni fa all’età di 61 anni.
Fattezze minute, pensiero capace di alzare il cielo. Piccola, eppure con occhi spalancati che sostenevano una complessità di visione e di ragionamento che lasciava strabiliate. Chi l’ha conosciuta e amata potrà confermare, chi la vuole vedere «in presenza» anche oggi può farlo grazie al documentario di Nadia Pizzuti, Amica nostra Angela (2012) che contiene diversi video e testimonianze. Tratteggiano una comunità intera, quella del femminismo che si andava costruendo a Napoli, punto di radicamento politico e di contatto con altre realtà sparse nel territorio nazionale. Dal collettivo Transizione al Virginia Woolf e alla comunità di Diotima (di quest’ultima ha fatto parte per diversi anni), le relazioni di Angela Putino erano molteplici. Lucia Mastrodomenico, stella polare di pratiche e amicizia politica (muore due settimane prima di lei) con cui dà vita alla rivista adateoriafemminista, Giovanna Borrello, Alessandra Bocchetti, Lina Mangiacapre, Luisa Muraro e altre ancora.
Il desiderio, era chiaro già da allora, «è una condizione di necessità, forgia gli strumenti». In questo contesto il punto di leva è proprio l’inaddomesticato, il partire da sé, il punto di non tenuta per una donna che la trasporta da una condizione di «estraneità» al suo «essere straniera».
Che cosa ne è dei corpi sessuati, come si acceda alla funzione guerriera, perché sia importante riferirsi alle figure del mito (quando sono parlanti, come Antigone) e quale spazio abbia l’amicizia e la relazione tra donne sono, uno per uno, gli elementi con cui Angela Putino ha contaminato irreversibilmente il pensiero della differenza sessuale italiano. Essendone anzitutto una esigente e a tratti scomoda critica là dove non sentiva corrispondenza tra teoria e materialità delle vite, in quegli interstizi per lei opachi che rimuovevano prima di tutto i corpi e ciò a cui venivano sovente sottoposti.
Alla fine degli anni Novanta nasce intorno a questo nucleo di intendimenti il volume Amiche mie isteriche (Cronopio, 1998) che non si capirebbe a pieno se non si considerasse interno almeno a una delle due traiettorie principali già ampiamente frequentate da Putino, la biopolitica. Nel 2011, i saggi dedicati all’argomento trovano finalmente una sistemazione grazie al paziente lavoro di Tristana Dini.
I corpi di mezzo (edito da ombre corte) raccoglie dieci saggi brevi tutti già apparsi in riviste o collettanee, tranne uno del tutto inedito, che coprono un arco temporale di tredici anni (dal 1994 al 2007). Quando nei primi anni Novanta Giorgio Agamben, Antonio Negri e Roberto Esposito intervenivano nella discussione pubblica italiana a proposito del bio-potere, già allora il posizionamento di Putino era collocato in maniera magistrale fuori dal terreno della filosofia politica per riconoscere, nella distinzione tra bio-potere e sovranità, il fulcro vero e dolente della faccenda, rubricabile – nella unificazione dei due poteri – nel modo mimetico maschile-patriarcale.
È interno a questa disseminazione – teoricamente pionieristica e al contempo scientificamente rigorosa – l’accostamento al pamphlet Amiche mie isteriche, che ha decretato tutta la forza del suo essere fuori dai blocchi identitari, mettendo in discussione lo stesso alveo teorico-politico in cui si riconosceva e con cui non ha mai smesso di porsi dialetticamente a confronto. Nell’Arte di polemizzare tra donne (Sottosopra blu, giugno 1987) spiegava bene cosa fosse il «far guerra» nelle comuni e reciproche ferite. Docente di bioetica e filosofia del linguaggio e della scienza all’università di Salerno, maestra di libertà femminile, Angela Putino ha consegnato pagine di una densità formidabile in cui le incursioni transdisciplinari rappresentano l’ossatura danzante di un pensiero amoroso che ha interrogato l’inaudito. L’articolazione del suo lavoro può essere percorsa in Esercizi di composizione per Angela Putino (Liguori, 2010) a cura di Stefania Tarantino e Giovanna Borrello – ritratto filosofico e politico cruciale.
Lunghe e appassionate sono anche le riflessioni contenute in Simone Weil. Un’intima estraneità (Città aperta, 2006), testo inaggirabile in cui Putino conduce una delle sue analisi più alte e originali, allargando il lavoro che aveva già dedicato alla filosofa francese nel 1997 (Simone Weil e la passione di Dio) e aggiungendo alla discussione degli studi weiliani il passaggio sulla teoria del matematico Georg Cantor sugli infiniti in atto. Putino si aggancia a un episodio della biografia di Weil che, nel 1937, aveva partecipato a un incontro sul tema.
La filosofa napoletana ci conduce in una rilettura cantoriana del «funzionamento» della differenza sessuale in relazione a Simone Weil; questo il «retroterra» per comprendere come l’abietto e la verità stiano l’uno accanto all’altra camminando dalla stessa parte. In quel silenzio, frutto di uno scacco linguistico, si sgrana un «fuori», un vuoto che non chiede di essere colmato e che si apre al «tu» della relazione. Solo in questo modo la «sventura», intesa impropriamente come sola miseria simbolica che inchioda a una impossibilità di agire, cambia di segno. Quel «resto», che è lo stesso abietto – termine che prevede non corpi anonimi bensì l’esposizione stessa della carne intesa come nuda vita – è la possibilità infinita della differenza femminile di essere estranea alla conta pur essendo la condizione stessa affinché quella conta possa darsi. È un fuori che bisogna continuare a fare esistere, pensa Putino, perché possa moltiplicarsi – come accade negli infiniti cantoriani.
Sono trascorsi dieci anni e sembra ancora di vedere la sua figuretta inerpicata nella collina sopra Mergellina, insieme ai suoi gatti. Nel frattempo ci ha anche insegnato a pensare. Pensare e sentire l’altra. E immaginare, «nella curvatura del reale», la festa che è stata, e può essere ancora, il femminismo.
La rivista adateoriafemminista diventa un libro
La rivista, nata nel 2006 grazie ad Angela Putino e Lucia Mastrodomenico, è un notevole laboratorio di pratiche. Questo perché attorno alla redazione sono cresciute generazioni politiche di donne che hanno lavorato alacremente e in relazione tra loro. Ora la rivista, consultabile su web, diventerà in febbraio un volume cartaceo che sarà utile avere e consultare. Comprenderà tutti i numeri fino a ora pubblicati, insieme all’ultimo editoriale del 2016 «Il mondo salvato dalle ragazzine» e si intitolerà «La teoria non è un ombrello. Dieci anni di adateoriafemminista (2006-2016)», a cura di Stefania Tarantino, Tristana Dini, Nadia Nappo, Lina Cascella (Orthotes editrice).