Reddito minimo universale e nuovo welfare tra Italia ed Europa
Reddito minimo garantito e incondizionato per tutti. E’ praticabile? E se lo è, sarebbe davvero bello? Se ne è discusso ieri alla Sapienza. A proposito di reddito minimo garantito di cui si è già parlato in questo sito a seguito della recente iniziativa di Amatrix.Si è tenuto lo scorso 29 marzo, nell’aula delle lauree di Giurisprudenza dell’università La Sapienza di Roma un incontro interdisciplinare sui temi del {{reddito minimo garantito ({basic income})}} che ha preso spunto dalla pubblicazione del libro “{Reddito minimo universale}” di Philippe Van Parijs e Yannich Vandeborght, Egea, Università Bocconi Editore.
Gli interventi più interessanti e di cui vogliamo dare conto in questa sede sono forse stati quello dell’autore, {{Philippe Van Parijs}}, che ha puntualizzato una serie di aspetti da considerare nel dibattito sul reddito minimo garantito, e quello di {{Laura Pennacchi}}, che ha messo l’accento sulle perplessità che può generare la richiesta di un tale strumento.
{{Philippe Van Parijs}} aveva scritto di “reddito universale” già una ventina di anni fa a Bruxelles sulla rivista “{Revue Nouvelle}” e aveva partecipato ad un seminario europeo organizzato a Roma dalla CGIL che aveva colto gli aspetti interessanti della proposta. Un libro pubblicato dal Manifesto in quel periodo aveva però avuto scarso successo editoriale. Le idee presentate oggi, nel nuovo libro, tengono conto delle evoluzioni del dibattito teorico ma anche delle misure concrete messe in atto nei vari paesi europei, oltre che del quadro di riferimento rappresentato dal diritto e dalle politiche dell’Unione europea.
Secondo l’autore, oggi, quando si parla di {{basic income}} si confondono in realtà {{due concetti distinti}}.
{{Da un lato}} un tipo di reddito garantito che in Italia non esiste ancora, ma esiste invece in molti altri paesi europei. Si tratta di quelle forme di {{reddito minimo garantito condizionato}}, legato cioè a precisi requisiti (di appartenenza, di reddito, di situazione di bisogno ecc.), quali ad esempio gli assegni previsti in alcuni stati per tutti i minorenni, la pensione minima garantita a tutti oltre una certa età, i sussidi di disoccupazione involontaria senza limiti di durata, un reddito minimo garantito a beneficio di tutte le famiglie al di sotto di un certo reddito. Per fare un esempio concreto, nella UE a 15 (prima degli ultimi due allargamenti) soltanto l’Italia e la Grecia non avevano una forma di copertura universalistica dello stato di disoccupazione.
{{Dall’altro}}, ed è questo il concetto più caro a Van Parijs, un {{basic income universale e incondizionato}}, versato a tutti i cittadini semplicemente perché cittadini, senza chiedere alcuna contropartita in cambio (ore di lavoro, ad esempio), senza requisiti di reddito (anche ai ricchi quindi), senza sostituzione dei sussidi attuali (o almeno di parte di essi), in altre parole un {{reddito di cittadinanza}}, un {{diritto individuale}} utile a far funzionare meglio il {welfare state}, non a sostituirlo. L’idea di fondo è che un sussidio condizionato alla fine costa di più in termini sia di amministrazione che di controllo e che quindi un sussidio incondizionato libera il cittadino dal bisogno e nello stesso tempo libera tempo ed energia nei servizi sociali che anziché dover fare i gendarmi per controllare che il sussidio vada davvero a chi ne ha bisogno possono occuparsi di quello che dovrebbe essere il loro vero lavoro, non amministrativo ma di vera e propria assistenza sociale per i casi che ne necessitano.
{{Questo secondo concetto, universale ed incondizionato, non trova oggi applicazione in nessuno stato europeo}}, anche se se ne discute a livello dell’Unione europea e anche in qualche singolo stato, come la Germania, ed è realizzato nel mondo soltanto in {{Alaska}}.
Secondo l’autore, nei paesi in cui esistono già forme di reddito minimo condizionato, il nuovo tipo di reddito minimo incondizionato deve essere considerato una cosa completamente nuova, una nuova forma di stato sociale attivo, che risolve in un modo nuovo problemi irrisolti nel vecchio sistema.
Considerando ad esempio il salario minimo garantito francese o RMI, che non è universale, anche se è generoso, l’autore sostiene che questo RMI in realtà dissuade i lavoratori sui gradini più bassi della scala salariale dal dedicarsi ad un’attività, mentre un vero reddito minimo incondizionato stimolerebbe l’attività.
Sempre secondo l’autore quei paesi come l’Italia che non hanno ancora forme del primo tipo possono direttamente saltare la tappa del basic income condizionato ed approdare direttamente al reddito minimo universale e incondizionato, anzi farebbero meglio a farlo anche in considerazione del fatto che le caratteristiche dell’economia italiana, con una presenza ingombrante di {{settore informale}} (lavoro nero, economia sommersa) non consentirebbero un’implementazione affidabile di un basic income condizionato.
{{Van Parijs}} non ha approfondito nell’intervento (nel libro probabilmente si) {{due questioni cruciali}}: {{quella del livello}} di questo reddito minimo universale, vale a dire a quanto bisognerebbe fissare questo reddito affinché svolga veramente la sua funzione che è quello di liberare tutti i cittadini dal bisogno garantendo quindi a tutti il minimo necessario per vivere una vita dignitosa; {{e quella, a questo legata, della sua sostenibilità}} cioè di come in concreto la si può finanziare, soprattutto in quei paesi (come il nostro) dove c’è troppa evasione fiscale.
{{Laura Pennacchi}} ha detto di apprezzare il libro in quanto molto onesto sia nell’esposizione del dibattito che nell’inquadramento storico, ma ha anche messo in luce alcune ombre che a suo avviso rendono tuttora il reddito minimo universale incondizionato controverso anche se per alcuni studiosi accettabile come un male minore.
{{Tra le perplessità sollevate}} vi è appunto quella della {{sostenibilità}} in Italia di una misura simile, estremamente costosa se significativa, con il rischio quindi di mettere ulteriore stress sulle finanze dello Stato, soprattutto dopo vent’anni di neoliberismo teorico e anche nella prassi in cui la sinistra è brillata per il suo silenzio.
E anche ammesso che si possa fare, sarebbe davvero bello?
{{Pennacchi}} invita ad alcune riflessioni:
– in base a che cosa dobbiamo ridefinire le priorità politiche?
– quali sono i problemi veri da affrontare?
– quale visione abbiamo della giustizia? Deve la politica avere un afflato egalitario ed emancipatore? Dobbiamo porre la libertà e i diritti di proprietà prima dell’eguaglianza o non dobbiamo piuttosto sottoordinare la libertà all’eguaglianza?
– misura universale e incondizionata: cosa accade al principio di progressività?
– la fortissima delegittimazione delle tasse è un cavallo di battaglia universale della destra: meno tasse, meno stato, più mercato, porta alla fine dell’esercizio della responsabilità collettiva; come finanziamo una misura universale e incondizionata?
– uno strumento di trasferimento monetario incondizionato e indifferenziato, assolutamente individualistico, basterà a risolvere i problemi strutturali che dobbiamo affrontare?
– non avrà un reddito universale e garantito una funzione “consolatoria” tale da perpetuare lo status quo?
– perché non esaminiamo cosa accade in particolare ai ceti medi? Vi sono oggi disuguaglianze terribili nella distribuzione del reddito( top salari oggi 500 volte il salario mediano, contro solo 30 volte nel 1979), non giustificabili in termini di produttività. Bisogna ridare grande valore al lavoro come elemento forte di identità.
– perché non ci soffermiamo sulla femminilizzazione della povertà? In questo contesto ha senso un reddito universale e incondizionato o non sarebbe più giusto uno strumento più mirato?
Secondo alcuni osservatori il reddito universale incondizionato avrebbe l’effetto di “svincolare” il reddito dell’individuo dalla famiglia, dalla classe di appartenenza, prenderebbe le distanze quindi sia dal “{{lavorismo}}” della sinistra che dal “{{familismo}}” della destra. La misura del basic income è sicuramente una misura individualistica e separa lavoro e cittadinanza.
Bisognerebbe anche vedere se può avere un senso nell’attuale dibattito costituzionale europeo e se può essere finanziato con fondi europei. C’è chi sostiene che i fondi della PAC (politica agricola comunitaria) o di altre politiche europee potrebbero essere dirottati più proficuamente su uno strumento di questo tipo.
Il dibattito rimane aperto e vivace.
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