A chi è ricc* ed istruit* è garantita più salute e una vita più lunga – e nella sanità pubblica c’è chi rema per potenziare quella privata. Una riforma è urgente
Luisa Barba ci propone questo articolo
Luogo di residenza, livello di istruzione, reddito e status sociale incidono sullo stato di salute e sull’aspettativa di vita. Chi vive nelle regioni del Nord-Est ha un’aspettativa di vita maggiore rispetto a chi risiede nel Mezzogiorno. Chi ha titolo di studio più basso e livello di reddito inferiore soffre in misura maggiore di obesità. Ci sono “troppe e troppo marcate” differenze regionali e sociali rispetto all’aspettativa di vita e alle condizioni di salute in Italia.
A dirlo è l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane che ha approfondito il tema delle disuguaglianze sociali nella salute. Trovando gap notevoli fra Nord e Sud, e non solo.
“Gli indicatori evidenziano l’esistenza di sensibili divari di salute sul territorio, ne sono la prova i dati del 2017 della Campania dove gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; mentre nella Provincia Autonoma di Trento gli uomini mediamente sopravvivono 81,6 anni e le donne 86,3 – si legge in un report dell’Osservatorio – In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne”. Fra il 2005 e il 2016 questi divari sono persistenti. Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte restano costantemente al di sotto della media nazionale, mentre quasi tutte le regioni del Nord insieme ad Abruzzo e Puglia presentano un’aspettativa di vita al di sopra della media nazionale. Nelle province di Caserta e Napoli la speranza di vita è in media di due anni inferiore, a Caltanissetta e Siracusa lo svantaggio è di 1,6 e 1,4 anni.
Ci sono poi differenze legate al livello di istruzione. Un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate.
“I divari di salute sono particolarmente preoccupanti quando sono cosi legati allo status sociale, poiché i fattori economici e culturali influenzano direttamente gli stili di vita e condizionano la salute delle future generazioni”, evidenzia l’Osservatorio. Che spiega: “Un tipico esempio è rappresentato dall’obesità, uno dei più importanti fattori di rischio per la salute futura, la quale interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti. Anche considerando il livello di reddito gli squilibri sono evidenti: l’obesità è una condizione che affligge il 12,5% del quinto più povero della popolazione e il 9% di quello più ricco. I fattori di rischio si riflettono anche sul contesto familiare, infatti il livello di istruzione della madre rappresenta un destino per i figli, a giudicare dal fatto che il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata”.
A tutto questo si aggiungono anche le disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria: è la rinuncia alle cure per motivi economici, che incide sulla possibilità di fare prevenzione o di seguire cure tempestive. “Nella classe di età 45-64 anni – dice l’Osservatorio – le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria è pari al 12% tra coloro che hanno completato la scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati. La rinuncia per motivi economici tra le persone con livello di studio basso è pari al 69%, mentre tra i laureati tale quota si ferma al 34%”.
La direzione da intraprendere è quella di difendere il Servizio Sanitario Nazionale, che nonostante tutto si conferma uno dei migliori in Europa. Il problema evidenziato dall’Osservatorio non è tanto finanziario quanto politico. I divari sociali che caratterizzano la Sanità pubblica “potrebbero far vacillare il principio di solidarietà che ispira il nostro welfare, contrapponendo gli interessi delle fasce di popolazione insofferenti per la crescente pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli che sperimentano peggiori condizioni di salute e difficoltà di accesso alle cure pubbliche” denuncia l’Osservatorio, per il quale “sarebbe auspicabile rivedere i criteri di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria e di accesso alle cure e intensificare gli sforzi per combattere l’elevata evasione fiscale che attanaglia il nostro Paese e mina la sostenibilità dell’intero sistema di welfare state”.