La crescita dei ‘partiti di movimento’ nel Sud Europa
Articolo di Donatella della Porta su Sbilanciamoci
L’Italia del dopovoto/ Presentiamo qui una parte delle conclusioni del volume ‘Movement parties against austerity’ sul rapporto tra mobilitazioni sociali e nuovi partiti in Spagna, Grecia e Italia. Un contributo utile a interpretare le radici del risultato elettorale.
In Grecia, Spagna e Italia, nuovi partiti si sono sviluppati ereditando energie collettive mobilitate durante l’ondata di proteste contro la crisi e l’austerità, in parte frustrate dalla mancanza di successo delle intense mobilitazioni degli anni precedenti. In tutti e tre i paesi c’erano importanti tradizioni di movimenti sociali. All’interno dei movimenti tali risorse, destinate a sostenere l’emergere di nuovi partiti, sono state coltivate in modi diversi e in diversi momenti del ciclo di protesta contro l’austerità. In Spagna e Grecia le grandi manifestazioni hanno rappresentato esse stesse una svolta cruciale nella risposta alla crisi neoliberista. Il ciclo di protesta sviluppatosi in questi paesi – iniziato con forme più convenzionali e all’interno delle istituzioni – è continuato in forme innovative, per poi declinare (o essere percepito come in declino) in termini di capacità di mobilitazione – ottenendo, tuttavia, effetti a lungo termine.
Soprattutto in Spagna e in Grecia, le proteste del 2011 hanno prodotto una cultura politica del conflitto che si è diffusa in entrambi i paesi. Anche in Italia il 2011 ha visto il culmine di proteste anti-austerità che hanno portato alla schiacciante vittoria del referendum sostenuto dal movimento contro la privatizzazione dell’acqua. I movimenti hanno rafforzato queste mobilitazioni sociali. Pur essendo profondamente critici nei confronti delle istituzioni rappresentative, gli attivisti e i simpatizzanti dei movimenti hanno sfidato innanzi tutto la convergenza dei partiti di destra e di sinistra in accordi ‘bipartisan’ che hanno avuto un effetto corruttivo sulla democrazia. Tuttavia, il ciclo di protesta ha offerto anche canali per articolare le rivendicazioni e organizzare il malcontento.
Anziché apatia, la forte critica alla classe politica ha provocato un’intensa politicizzazione. In Grecia si è verificato un collasso della fiducia dei cittadini nel parlamento (con il punto più basso nel 2011), mentre anche la fiducia nei partiti è diminuita e quella verso i movimenti sociali è aumentata. Dati simili sono stati registrati anche in Spagna e Italia.
Le alternative elettorali si sono sviluppate soprattutto nelle fasi declinanti della mobilitazione. Frustrati dalla mancanza di risultati delle proteste, gli attivisti hanno esplorato varie alternative—dalle azioni dirette alla partecipazione alle elezioni. In Spagna, Podemos è emerso da una doppia condizione: il nuovo potere che veniva dalla protesta, ma anche il suo declino in risposta alla mancanza di risposta istituzionale. Il manifesto del partito ‘Fare una mossa: trasformare l’indignazione in cambiamento politico’ indica esattamente questo ricerca di efficacia. In Grecia, il fallimento delle azioni di protesta nel contrastare le politiche di austerità dopo il 2012 ha portato al declino delle mobilitazioni in piazza e alla scelta di impegnarsi nella elezioni. Allo stesso tempo si sono moltiplicate le esperienze concrete di solidarietà con una politicizzazione della vita quotidiana. In Italia, la frustrazione legata alla mancanza di risposte ai referendum abrogativi e alle proposte di legge d’iniziativa popolare, gli eventi di protesta come i “V-days” – e la delegittimazione dell’intero sistema partitico legato a scandali per corruzione – ha facilitato l’emergere del M5S e il suo consenso elettorale.
I partiti di movimento che abbiamo analizzato sono cresciuti sulla debolezza degli altri partiti nel sistema politico. In tutti e tre i casi si sono sviluppati in un contesto caratterizzato da un mix di chiusura istituzionale alle richieste dei movimenti e da opportunità elettorali fornite dal disallineamento tra partiti ed elettori, mentre le risorse organizzative sono cresciute all’interno delle proteste.
Innanzi tutto, c’era una generale debolezza organizzativa dei partiti esistenti, anche quando si appoggiava su un radicamento clientelare. Nelle nuove democrazie dell’Europa meridionale, i partiti hanno ‘saltato’ la fase dello sviluppo di organizzazioni di massa, crescendo, soprattutto in Spagna e Grecia, come forze basate sullo stato piuttosto che sulla società civile. Mentre in Italia i partiti erano radicati molto più profondamente nella cosiddetta ‘prima repubblica’, essi sono rapidamente declinati quando la corruzione politica è diventata sempre più visibile, corrodendo i partiti dall’interno, con una perdita di iscritti, votanti e fiducia. In secondo luogo, le proteste sono cresciute sempre più per la crisi di legittimità del sistema: l’aumento dei conflitti è stato il risultato e ha a sua volte aggravato la perdita di fiducia nelle istituzioni.
La crisi neoliberista ha innescato la rottura dei sistemi partitici bipolari attorno ai quali la democrazia era stata costruita in Spagna e in Grecia, e si era sviluppata in Italia. Qui la crisi del neoliberismo ha creato opportunità in termini di volatilità elettorale, che nel 2013 è quadruplicata rispetto alle elezioni del 2008, raggiungendo il 40 per cento. Questo livello di volatilità è stato secondo solo al caso greco, dove ha toccato il 48,7 per cento; è stato estremamente alto anche in Spagna, raggiungendo il 34,6% nel dicembre 2015, alle elezioni nazionali più instabili dal 1982. Questo calo di legittimità (o, almeno, di sostegno) è stato ancora più evidente per i partiti di centrosinistra, con le loro lunghe esperienze di governo. In tutti e tre i paesi, la delegittimazione di questi attori politici è stata accompagnata da una tendenza al declino dei partiti di sinistra, che avevano costruito il loro consenso sulla resistenza contro il fascismo, ma avevano poi perso reputazione e attrattiva, in alcuni casi anche a causa di scandali di corruzione (…).
Le prime vittorie elettorali dei partiti di movimento hanno poi agito come punti di svolta, galvanizzando l’attenzione su di essi. I partiti che abbiamo definito di movimento hanno potuto usare in modo strategico alcune finestre di opportunità elettorali: Podemos ha ad esempio inizialmente partecipato alle elezioni europee – con un sistema elettorale proporzionale senza soglie che offriva condizioni più favorevoli di quelle nazionali, ottenendo un primo successo elettorale. I primi successi sono diventati quindi autopropulsivi: l’8% di Podemos ha attivato un circolo virtuoso, con una rapida crescita di risonanza, seguito non solo dall’aumento degli iscritti, ma anche da sostenitori di tipo nuovo. Allo stesso modo, il M5S si è presentato alle prime elezioni locali, dove poteva capitalizzare sulla propria esperienza nelle lotte ambientali. In Italia la fortuna elettorale del M5S è iniziata con le elezioni municipali del maggio 2012, dove esso ha raddoppiato i consensi.
Questo risultato inaspettato ha galvanizzato il partito e gli elettori fino alle elezioni politiche di febbraio 2013, dove il M5S è diventato il partito più votato alla Camera (esclusi i voti degli italiani residenti all’estero), un risultato confermato dal 21% ottenuto alle elezioni del Parlamento europeo. Il successo si è quindi auto-alimentato e le campagne elettorali hanno funzionato come catalizzatore di energie collettive – ad esempio 400 circoli di Podemos sono stati aperti poco prima delle elezioni europee. Le vittorie iniziali hanno avuto effetti cumulativi in termini di trasformazione dei partiti. La base dei sostenitori si è allargata oltre gli attivisti del movimento, e ciò in due direzioni: verso i gruppi emarginati, tradizionalmente non rappresentati nel sistema politico; ma anche verso quelli che in precedenza erano membri di partiti di centro-sinistra e di sinistra (il PSOE e IU in Spagna; PD in Italia; PASOK in Grecia).
La base dei partiti si è quindi allargata dagli attivisti più informati agli esclusi, da classi medie alle classi inferiori. In Italia, come in Spagna, il profilo dell’elettorato è cambiato con un successo elettorale che va oltre le classi medie colte e ottiene consensi anche tra le coorti più giovani, coinvolgendo una quota maggiore di elettori precedentemente a destra.
In tutti e tre i casi, le prime vittorie elettorali hanno avuto un effetto polarizzante, con i principali partiti e mass media uniti a rappresentare i partiti emergenti come populisti, o addirittura violenti e anti-sistemici. Queste accuse, tuttavia, hanno avuto effetti opposti, le critiche di soggetti ormai screditati hanno in realtà aumentato il sostegno e la simpatia per i partiti emergenti. La delegittimazione delle élite ha quindi ridotto la loro capacità di contrapporsi alla nuova retorica dei partiti emergenti. Persino gli attacchi mediatici più violenti che li presentavano come anti-politici e/o estremamente radicali hanno finito per aumentare la simpatia per loro.
Le critiche di coloro che sono stati percepiti come responsabili delle attuali sofferenze ha portato a dare più credito ai loro nemici. In Grecia, le accuse a Syriza di alimentare o coordinare le proteste violente che venivano da soggetti senza legittimità, come i partiti tradizionali e i media, hanno portato a un aumento dei suoi consensi. Anche in Spagna, gli attacchi ‘bipartisan’ su Podemos sono stati controproducenti, e lo stesso è successo in Italia con il M5S. Le critiche delle élite a questi nuovi partiti come euroscettici, anti-moderni o culturalmente sottosviluppati hanno avuto l’effetto non voluto di legittimarli.