C’è un tema che ha aperto un vivace dibattito ed è quello dell’uso del proprio corpo come merce di scambio, come strumento di guadagni.
La libertà di disporre del proprio corpo giunge fino al diritto di vendere prestazioni sessuali? O la prostituzione cela sempre – anche quando è scelta in piena libertà – uno sfruttamento del corpo della donna e dunque in ultima analisi una forma di violenza? È una questione che divide da sempre non solo la società nel suo complesso, ma anche il mondo femminista. E i governi hanno adottato gli approcci più diversi per gestire il fenomeno: dal “modello svedese” che punisce i clienti a quello della depenalizzazione sperimentato in Germania. E le femministe, appunto, si dividono. Da un lato le sex (e i) sex worker reclamano la possibilità di esercitare la propria professione in maniera regolamentata, il che significherebbe anche trasparente e sicura sotto il profilo dell’assistenza sanitaria. Dall’altro molte associazioni femministe esprimono la preoccupazione che regolamentare la prostituzione significhi di fatto accettare lo sfruttamento sessuale delle donne.
Nel discutere del tema, infatti, non si possono negare alcuni dati di fatto. Come riporta Tringali nell’articolo che segnalo, in Germania, dove la prostituzione è stata sensibilmente depenalizzata, la stragrande maggioranza delle prostitute proviene dai Paesi dell’Est, il che fa supporre che il grado di “libertà” della loro scelta sia molto limitato. La domanda di fondo, infatti, è la seguente: è anche solo pensabile una libera scelta nella vendita del proprio corpo, stanti le attuali relazioni economiche e di potere? Mentre in un puro ragionamento teorico è certamente pensabile che una donna scelga in piena e completa libertà di disporre del proprio corpo anche vendendo le proprie prestazioni sessuali (d’altro canto, cos’è il lavoro se non sempre una vendita parziale delle proprie prestazioni fisiche?) quanto è possibile astrarre, nel trattare questo argomento, dai reali rapporti di forza che oggi regolano le nostre società? Ma, in questo senso, quello della prostituzione è un problema molto simile a quello posto da tutti quei lavori – penso alle badanti o ai lavori di raccolta in agricoltura – tipicamente svolti dagli strati della società che dispongono di minori risorse sia economiche sia educative. Da questo punto di vista, la prostituzione non è un problema a sé, ma uno dei tanti aspetti delle profonde disuguaglianze che caratterizzano le nostre società, sia all’interno delle singole nazioni sia fra gli Stati. E forse è in questa prospettiva che andrebbe affrontato.