Ma io come facevo a non saperlo, un dramma così atroce?
Il femminicidio è una realtà che riguarda tutto il mondo, anche quei luoghi che Hollywood non ha ancora raggiunto. Conosco la battaglia dei numeri delle morte di Juarez. Da un anno cerco i fili di una trama complicata, precisamente dal gennaio di un anno fa, quando fui chiamata con altre compagne dei Giuristi Democratici dalle Donne in Nero, perché “c’era un’avvocata che voleva denunciare gravi violazioni dei diritti umani e chiedeva il nostro aiuto”.Fu “Lucha” Castro a rivelarci per la prima volta delle “morte di Juarez”, del confine tra Messico e Stati Uniti: donne stuprate ed uccise, scomparse, i corpi ritrovati nel deserto, o meglio i resti, i pochi testimoni fatti fuori, gli avvocati difensori accidentalmente investiti in incidenti stradali ai limiti della credibilità anche per i nostri ausiliari del traffico, ovviamente archiviati. E la polizia che le dava per scomparse, per poco di buono che se l’erano cercata. E la tragedia delle madri.
Ma io come facevo a non saperlo, un dramma così atroce, di dimensioni così significative, un’ingiustizia così palese, un massacro agito impunemente alla luce del sole, ignorato dal mondo? “Non è pubblicizzato qui”, mi diceva l’avvocata, “abbiamo bisogno di appoggio per lottare”…Ma noi volevamo farla passare questa informazione: ci siamo informate, abbiamo cercato i dati, abbiamo invitato in Italia la procuratrice speciale per il femminicidio dello stato di Chihuahua, una ricercatrice, un professore, per capire meglio notizie appena sussurrate o follemente ingigantite, per individuare un metodo per poter supportare nella loro lotta le donne di Juarez.
Lo scenario che ci si è parato davanti a seguito di queste ricerche assume dell’incredibile a volerlo raccontare: Juarez, città di frontiera, è una goccia nell’oceano. Gli omicidi di donne di Juarez sono inferiori rispetto ad altre regioni messicane, ed ancora di molto inferiori a quelli del Guatemala o del Perù, solo per fare degli esempi. Ma Juarez, proprio per la sua posizione peculiare, è stata assunta a paradigma dell’inferno, la città maledetta conosciuta dal mondo per i suoi femminicidi.
Già, noi Giuristi Democratici parliamo di femminicidi, così li definisce Marcela Lagarde, “violenze contro la donna in quanto donna”, è un ritornello che mi ripeto da mesi, difficile da assaporare nella sua profondità a primo impatto, chiaro se si considera il contesto in cui tali violenze vengono agite: cultura fortemente machista, sfruttamento ai limiti dell’umano della manodopera femminile nelle maquilas, senza diritti, donne spesso sole, giovani indigene, il narcotraffico, il deserto che nasconde, la compiacenza delle forze dell’ordine, l’impunità assicurata da leggi e procedure fortemente discriminatorie verso le donne… chiaro che conviene ucciderle dopo averle usate – poco importa se usate come corriere di droga, per snuff movies, o per soddisfare una voglia sessuale- se le si uccide meno problemi, non parlano…
Un crimine di Stato, così ha definito il femminicidio in Messico lo Special Rapporteur dell’ONU, per le gravi omissioni, per l’incapacità –o meglio, la non volontà- di incidere in maniera significativa su un contesto fortemente misogino, e di conseguenza altamente criminogeno nei confronti delle donne.
_ I diritti umani violati, a dirlo così in uno scenario di guerra globale, paiono una cosa normale, quotidiana. Ma quante donne nel mondo vengono uccise per il proprio sesso, perché non sono quello che la società vorrebbe che fossero, perché reclamano i propri diritti? Troppe.
Ce lo dicono le statistiche, ce lo conferma l’indifferenza con la quale per anni abbiamo osservato la Cina consentire l’aborto selettivo a fronte di una legge che consentiva di avere un solo figlio per famiglia, ce lo conferma l’indifferenza verso il numero impressionante di donne indiane ogni anno acidificate per la dote o vittime di sospetti incidenti domestici, ce lo conferma la facilità con cui ci dimentichiamo delle donne africane stuprate in zone di conflitti etnici, di quelle vergini infettate di AIDS perché si crede che così l’uomo guarisca, ce lo conferma il silenzio a fronte dei continui attacchi in tutto il mondo da parte di tutti i poteri, istituzionali e religiosi, all’autodeterminazione della donna.
Questo ed altro abbiamo gridato con disperazione nel dossier “Violenza sulle donne: parliamo di femminicidio”, per far sapere, per scuotere gli animi, per aprire un dibattito critico, per individuare il nemico comune. Italiane, messicane o cinesi che siano le vittime, il sistema che le uccide è sempre lo stesso,ovvero quella sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, perpetrata e riprodotta dalle istituzioni sociali (religione, diritto, sistema educativo, media) che fonda e assicura la subordinazione delle donne nelle relazioni di potere familiari, economiche, sociali in generale, che ne controlla lo svolgimento della funzione procreativa, che le rende moralmente, socialmente, eticamente, culturalmente uccidibili, discriminabili, controllabili.
Femminicidio, una parola nuova ma con una storia che non possiamo ignorare, una storia intrisa di sangue, una lotta di donne, le donne messicane che hanno gridato al mondo il loro dolore, la loro impotenza e il loro abbandono da parte delle istituzioni locali e nazionali, che hanno fatto luce su di un crimine impunito assecondato dalla compiacenza di governo, forze dell’ordine, potere giudiziario, che hanno chiesto giustizia ai principali organi internazionali di tutela dei diritti umani, che hanno scoperto una pentola piena di patate bollenti denunciando al mondo la situazione drammatica di negazione dei diritti delle donne in Messico.
Questo noi abbiamo cercato di documentare, non solo per il Messico, perché è una situazione che in maniera analoga tocca altri paesi non solo dell’America Latina ma del mondo intero.
Però, come sottolinea Riccardo Noury di Amnesty International -credo con una nota di malinconia- “un film hollywoodiano si rivolge a una platea sicuramente più ampia di quella che seguirebbe una nostra conferenza sul femminicidio in Messico” . A quanto pare, in quest’epoca globalizzata di conflitti virtuali all’ordine del giorno, anche i massacri di donne, per “passare”, necessitano di un’eroina testimonial.
Allora forza a vedere Bordertown, ma non come se fosse un film, perché purtroppo, J.Lo a parte, è uno spaccato di realtà messicana. E ricordiamoci di tutte quelle donne che silenziosamente muoiono in altre zone del mondo, discriminate e dimenticate, perché lì Hollywood non è ancora arrivato.
[Per saperne di più sul femminicidio nel mondo, e sul femminicidio in Messico->http://www.giuristidemocratici.it/what?news_id=20060831121742]
Lascia un commento