Ho ricevuto da Dea Santonico questa sua lettera aperta al papa e la sua testimonianza che racconta una storia di profondo amore familiare.

madre e figlio – Picasso 1902

Caro  papa  Francesco , t i  scrivo dopo  aver  ascoltato  le  tue  parole  al  Forum italiano delle  associazioni familiari , i l 16 giugno :  la famiglia, immagine di Dio, è una sola, quella che unisce  un uomo ed una donna. Sono mamma  di un  ragazzo  gay.  Io  e mio  marito  ci  siamo  sposati  39  anni fa  e  abbiamo  vissuto insieme con i nostri due figli, Marco ed Emanuele,  quella bella avventura , come la  chiami  tu, che  è  la  famiglia. Un’avventura dove si cresce insieme anche attraverso le  difficoltà.

Due anni fa il coming out , inaspettato, di Emanuele.

Potevamo seguitare a vivere  tranquillamente la nostra vita sentendoci “a posto”, con  i nostri molteplici  impegni: in realtà  di base,  nel volontariato con i migranti,  nello  studio della Bibbia … e  invece no . I l coming  out di un figlio ti rimette in  gioco, cambia tutto, ed  è contagioso: anche noi genitori abbiamo  fatto il nostro coming out, rompendo quella sfera di ipocrisia che vorrebbe che  di quella parte di tuo figlio non si parlasse.  Era il 7 maggio del 2016, quel giorno Emanuele l’ho partorito  una  seconda  volta.  Ti  invio, di  seguito  a  questa  lettera aperta, la  mia  testimonianza, che  racconta quell’esperienza. Sono qui a scriverti perché le parole che hai pronunciato  hanno aperto in me una ferita. E  al dolore  bisogna dare parola perché non diventi rabbia e rancore. Se l’amore tra me e mio marito è immagine di Dio, come pensi che  possiamo rassegnarci  al   pensiero  che  l’amore  di  Emanuele per un   ragazzo nulla   possa  esprimere di  quell ’immagine  di Dio?

No, il nostro amore non potrà mai esprimere l’immagine di un Dio,  che sia  estraneo e distante dall’amore tra Emanuele ed  un suo compagno.  Se il loro amore  non è immagine di Dio,  neanche il nostro lo sarà.  Perché noi quel Dio non lo conosciamo. Ne  conosciamo  un  altro,  quello  di  cui  parlava  Gesù. Un  Dio  di  parte,  che  sceglie  di  condividere il cammino di un popolo di schiavi,  che si fa complice dei piccoli,  che si schiera  con  coloro che sono emarginati dai poteri politici e religiosi di tutti i tempi,  un Dio che irradia  amore, contro ogni ragionevole  economia, capace di spogliarsi della sua onnipotenza per  tornare  dalle sue creature  come un medicante di amore, a chiedere una libera risposta di  amore. Semmai ci sarà dato di riuscire ad esprimere  un pezzetto di  quell’immagine del Dio  di Gesù  nelle nostre vite di singoli e di coppie, attraverso i  nostri  amori, tutti imperfetti, “a norma” o  “ fuori norma ” che siano,  dovremo far lo in punta di piedi, senza  rumore, senza  sbandierarla  quell’immagine, perché l’immagine  di  Dio non  appartiene a  noi  né a  nessun  altro.  Non  si  lascia  intrappolare,  sfugge  ai  tentativi  degli  uomini  di  possederla  e  usarla,  piegandola  ai  propri  interessi.  Scappa  dai  palazzi  dei  potenti  per  farsi  trovare dall’ultimo  tra  gli  esseri  umani,  il più indegno, il più dimenticato, il più emarginato e solo, perché in quell’immagine  possa riconoscersi e, riscoprendo quel  pizzico di divino che gli è stato  soffiato dentro, possa  osare  esprimerla  nella sua vita.

Caro  papa  Francesco,  viviamo  in  Italia  una  fase  storica  e  politica  molto  difficile ,  che  preoccupa i genitori di ragazzi e ragazze LGBT. In tante occasioni tu  hai saputo dire parole  di speranza. Non ci lasciare soli con le nostre paure. Con affetto ti saluto e ti auguro buon lavoro.     Dea Santonico 20 giugno  2018 

 

Testimonianza  7 maggio 2016

È sabato. Ci aspetta una serata speciale. Per la prima volta siamo invitati a  cena  ad  un  ristorante  da  Marco,  nostro  figlio,  e  Laura,  la  sua  ragazza.  Non  è  un  posto  qualunque, è il luogo dove faranno la        l oro festa di matrimonio. Mancano solo due mesi e  vogliono condividere con noi una serata lì, sul lago di Martignano. Arriviamo al tramonto.  Passeggiata sul prato vicino al lago e poi ci aspetta un tavolo per cinque, la nostra famiglia  al completo: oltre a  Marco e Laura, noi genitori ed Emanuele, l’altro nostro figlio. Speciale  la cena e magico quel posto! Una bella serata, che, tornando verso la macchina, pensavamo  si fosse conclusa lì. Saliamo in macchina, noi davanti e i ragazzi dietro. Prima di partire,  Emanuele, seduto dietro  di me, ci dice: “Anch’io ho una bella notizia da darvi  – almeno per me bella  – da due mesi  mi vedo con un ragazzo, si chiama G. Io lo sapevo da tempo…”. Lui lo sapeva, noi no.

Nessuno di noi l’aveva capito. Era quella la sua bella notizia, pronunciata con la paura nel  cuore che per noi non fosse altrettanto bella. Scende il silenzio per qualche lungo istante,  poi sono io a romperlo: “Emanuele, però ti devo abbracciare”. Esco dalla macchina, il tempo  di  aprire  lo  sportello  posteriore  e  lo  trovo  in  un  pianto  che  mi  mancano  le  parole  per  descrivere.  Esprimeva  tutto  il  dolore  nascosto  per  anni  e  insieme  un  infinito  senso  di  liberazione: era riuscito a condividere con noi un peso che per troppo tempo aveva portato  da solo. Ci abbracciamo e quel dolore lo sento, lo sento tutto, mi attraversa tutto il corpo.  Poi ad abbracciarlo sono il papà, Marco, Laura… Non servono parole per dirci quello che  sentiamo. “Ora ho bisogno di stare dieci minuti da solo, poi torno” e si allontana nel buio.  Qualche momento di esitazione, poi Marco lo raggiunge. Mi commuove sempre il rapporto  che Marco ha con lui, da quando aveva 5 anni e aspettava che il suo fratellino uscisse dalla  mia  pancia.  Rimaniamo  in  macchina  in  tre.  Quasi  senza  accorgercene  le  nostre  mani  si  stringono. Guardo mio marito e lo accarezzo, so che per lui sarà più difficile che per me.  Quando Marco ed Emanuele tornano, partiamo. “Ora pensa a finire la tesi e a laurearti, su  questa cosa ci dobbiamo crescere insieme”. Credo sia la cosa più bella ch e il papà potesse  dirgli. La cosa più semplice e più vera.

Quella sera Emanuele l’ho partorito una seconda volta: ho sentito scorrere dentro di me ed  attraversarmi tutto il corpo  la forza della vita che rinasce va dal dolore .  Questo è il mio ricordo di  quella sera di due anni fa.  Altri ricordi abitano il cuore di chi con  me ha condiviso quell’esperienza. Il ricordo della commozione sul volto di Emanuele, mentre  parlava, colta da chi sedeva sui sedili posteriori della macchina, e delle carezze che l’hanno accolta e accompagnata, prima del mio abbraccio. E quel silenzio, per me troppo lungo, che  per qualcun altro forse non c’è stato… “Anch’io lo voglio abbracciare questo figliolo”  – le  parole del papà, che riaffiorano alla mente di Emanuele. Il ricordo che  si portano dentro i  due  fratelli  di  quel  momento – ben  più  lungo  di  dieci  minuti  – che  hanno  vissuto  insieme  quando si sono allontanati dalla macchina.

E poi il ricordo del papà,  nella sua testimonianza  durante una veglia di preghiera. Eravamo in  piazza del  Campidoglio . Un anno dopo quella  sera di maggio. Al lago di Martignano ci siamo tornati due mesi dopo, il 9 luglio. Una celebrazione eucaristica  sulla riva del lago, dove Marco e Laura hanno fatto testimonianza del loro amore e ci hanno  chiamati tutti e  tutte a testimoni delle promesse che si sono scambiati.  Mettersi in gioco ed  esporsi con i propri sentimenti è difficile, richiede coraggio ed ha un effetto contagioso: tutti  sulla riva di quel lago si sono messi in gioco, si sono guardati dentro ed hanno  superato la  paura di mostrare e raccontare le proprie emozioni. Anche Emanuele ha trovato il coraggio di farlo: “ L’amore è bello. Sembra un’ovvietà, ma  penso che a volte ce lo scordiamo, o che vogliamo scordarcelo, o che cerchiamo di metterlo  lì,  in  un  angoletto,  dove  non  lo  vediamo. Voglio ringraziare  Marco  e  Laura  perché  oggi  questo  amore  ce  lo  raccontano,  ce  lo  fanno  vedere  e  lo  condividono  con  tutti  noi.  E  nell’ipotesi che esista un creatore, penso che oggi uno sguardo sulle rive di questo lago ce  l’ ha buttato ed ha sorriso compiaciuto del suo creato ”.

Si, sul lago di Martignano quel giorno Dio c’era. Ed era lì, a fianco di Emanuele, anche quella  sera di due mesi prima. Era quello stesso Dio che un giorno ascoltò il grido di dolore di un  popolo  di  schiavi  e  si  mise  al  loro  fianco  perché  rompessero  le  catene  della  schiavitù  e  iniziassero  il  cammino  rischioso  verso  la  libertà.  Anche  Emanuele aveva  in  gola  un  grido  soffocato di dolore da tirar fuori e una catena da spezzare, quella che gli impediva di essere  se stesso fino in fondo, di vivere alla luce del sole i suoi sentimenti, di tirar fuori quella parte  di sé, che l’ipocrisia dei benpensanti di turno vorrebbe rimanesse nascosta.

Quello  stesso  mese  di  luglio,  dopo  qualche  giorno  dal  matrimonio  di  Marco  e  Laura,  Emanuele si è laureato. Sulla sua tesi di laurea in ingegnera, sotto la voce  Ringraziamenti, c’era scritto: “ Il percorso universitario e il cammino di vita non possono far altro che intrecciarsi. Questo  è vero per ognuno. Nel mio caso, più che  altro, spesso si sono strozzati l’un l’altro; ma alla  fine sembra che molti nodi vadano finalmente sciogliendosi. Per questo desidero ringraziare la mia famiglia: per l’affetto infinito, per il sostegno dato e  per quello che mi avrebbe dato se solo lo aves si chiesto. Grazie a chi mi ha sorretto e guidato tenendomi per mano, quando più ne ho avuto bisogno.  Siete la mia forza. Grazie a chi ha creduto in me e ha saputo amarmi, quando io non sapevo farlo. Siete il mio  orgoglio. Grazie  a  chi,  nonostante  tutto,  mi  ha  mostrato  la  bellezza,  proprio  dove  non  riuscivo  a  trovarla. In fine, grazie a tutti quelli che mi hanno visto dentro e hanno continuato a guardarmi con  gli stessi occhi. Mi avete insegnato il vero significato della parola “fortuna”. E senza un po’ di  fortuna, non si va da nessuna parte”.

7 maggio 2016. Grazie, Emanuele,  per averci regalato quel momento. Lascia che la bellezza  che sei riuscito a vedere dentro di te brilli in tutta la sua interezza, perché illumini la tua vita  e  quella  degli  altri  e  perché  quel  Dio  creatore,  che  hai  intravisto  sulla  riva  del  lago  di  Martignano, nel vederla, sorrida compiaciuto del suo creato. D