La mobilità delle persone ha radici profonde nel desiderio di conoscenza, nel gusto alla libertà, nel piacere di comunicare le diverse matrici culturali
Scrive Diego Fusaro oggi su Il Fatto quotidiano: “Fin dalla sua istituzione, nel 1987, l’Erasmus è, di fatto, un progetto di rieducazione globalista; un progetto che impone alle generazioni più giovani la mobilità internazionalistica, l’espatrio permanente, l’erramento gaudente e lo spaesamento generalizzato (ossia l’assenza di radicamento territoriale, storico, culturale) come valori di riferimento. Forgia e modella l’immaginario dei giovani in senso liberal-libertario, glamour e post-nazionale.” … “E anche vero che si poteva constatare che all’interno di queste nazioni civili erano qua e là frammischiate minoranze etniche quasi sempre non gradite, e perciò ammesse solo controvoglia e non completamente a partecipare al comune lavoro civile, benché si fossero dimostrate sufficientemente idonee a un tale lavoro. Ma gli stessi grandi popoli, si pensava, dovevano aver acquistata tanta comprensione per ciò che fra loro vi è di comune, e tanta tolleranza per quanto vi è di diverso, da non dover più, come ancora avveniva nell’antichità classica, confondere in un unico concetto lo “straniero” e il “nemico”.
Fiduciose in questa unificazione dei popoli civili innumerevoli persone hanno abbandonato la loro casa in patria per trasferirsi all’estero, legando la loro esistenza ai rapporti di scambio esistenti tra popoli amici. E colui che non era trattenuto altrettanto stabilmente in un luogo determinato dalle necessità della vita, poteva costituirsi con i vantaggi e le attrattive dei paesi civili una nuova patria più ampia, dove poteva circolare senza trovare ostacoli o suscitare sospetti. Poteva in tal modo bearsi del mare azzurro e di quello grigio, delle bellezze dei monti nevosi e di quelle delle verdi praterie, dell’incanto della foresta nordica e dello splendore della vegetazione meridionale, dei sentimenti suscitati dai paesaggi legati ai grandi ricordi storici e dell’immobile silenzio della natura inviolata.
Questa nuova patria era per lui anche un museo pieno di tutti i tesori che gli artefici dell’umana civiltà hanno creato in tanti secoli lasciandoli a noi.
Né si deve scordare che ogni cittadino del mondo civile s’era fatto un suo privato “Parnaso”, una sua “Scuola di Atene”. Fra i grandi pensatori, poeti e artisti di tutte le nazioni, era andato scegliendo coloro ai quali pensava di dovere il meglio di ciò a cui aveva attinto per capire e gustare la vita, e nella sua ammirazione li aveva collocati accanto ai classici antiche e ai familiari maestri del suo paese. Nessuno di questo grandi gli era apparso straniero sol perché aveva parlato in una lingua diversa dalla sua, si trattasse di un acuto esploratore delle umane passioni, o di uno zelatore entusiastico della bellezza, o di un profeta dalle forti invettive, o di un sottile ironista, e mai aveva creduto di doversi sentire per questo colpevole di tradimento verso la nazione o verso la cara lingua materna.