Felicia Langer era sopravvissuta all’olocausto in Polonia, studiava giurisprudenza all’Università Ebraica di Gerusalemme. Dopo l’occupazione, è stata la prima ad aprire uno studio legale in difesa delle vittime palestinesi.
Vi propongo un’intervista e un articolo di Gideon Levy, per Felicia Langer, che aveva lo stesso nome della mamma di Peppino Impastato
Sopravvissuta all’olocausto e schierata per i diritti dei palestinesi, Felicia Langer, muore in esilio all’età di 87 anni – Gideon Levy
Non l’ho mai incontrata, l’ho chiamata solo due o tre volte, ma ricordo bene che cosa era per me e per gran parte della mia generazione nel nostro giovane lavaggio del cervello: un simbolo di odio per Israele, un nemico pubblico, una traditrice esiliata. È così che ci era stato insegnato a considerare lei e altri dissidenti e non ci siamo mai interrogati né ci siamo preoccupati di capire il perché.
Ora, a 87 anni è morta in esilio; la sua immagine brilla nei miei occhi attraverso la distanza del tempo e dello spazio. Felicia Langer, morta giovedì in Germania, era una eroina, una pioniera e una donna di coscienza. Lei e alcuni dei suoi alleati non hanno mai ottenuto il riconoscimento in Israele che meritavano; non è chiaro se lo avranno mai.
In un posto dove membri di un’organizzazione terroristica ebraica assassina sono accolti – uno un editore di giornali, un altro un esperto di diritto religioso – e dove i razzisti auto-dichiarati sono accettati come legittimi partecipanti nell’arena del dibattito pubblico come in nessun altro luogo, non c’è spazio per coraggiosi guerrieri della giustizia che hanno pagato un alto prezzo personale, tentando di guidare un’area che non ha seguito.
Langer era sopravvissuta all’olocausto in Polonia, studiava giurisprudenza all’Università Ebraica di Gerusalemme. Dopo l’occupazione, è stata la prima ad aprire uno studio legale in difesa delle vittime palestinesi. Ha seguito l’illustre tradizione di ebrei che hanno combattuto l’ingiustizia in Sud Africa, America Latina, Europa e Stati Uniti.
Il suo senso di giustizia l’ha portata in conflitto con il suo stato. Nel 1979, sulla scia della sua petizione, l’Alta Corte di Giustizia bloccò un ordine di espulsione contro il sindaco di Nablus, Bassam Shakaa. Un anno dopo l’organizzazione terroristica ebraica mise una bomba alla sua macchina rendendolo invalido e la giustizia israeliana venne alla luce.
Langer era una pioniera tra gli avvocati israeliani di coscienza che si mossero in difesa dei diritti della popolazione occupata, ma fu anche la prima a gettare la spugna, chiudendo il suo studio legale nel 1990 e andando in esilio. In un’intervista del 2012 al documentarista Eran Torbiner, ha spiegato: “Ho lasciato Israele perché non potevo più aiutare le vittime palestinesi con il sistema legale esistente e il disprezzo per il diritto internazionale. Non potevo agire. Stavo affrontando una situazione senza speranza. Non potevo più essere una foglia di fico per questo sistema”.
Ha specificato di non aver cambiato battaglia, solo il fronte, ma il fronte è attualmente al suo punto più basso. L’occupazione è trincerata come non mai e quasi tutti i suoi crimini sono stati legittimati.
Langer arrivò alla conclusione che la situazione era senza speranza. Apparentemente aveva ragione. La lotta nelle corti militari era destinata al fallimento. Non ha prospettive di successo perché i tribunali militari sono soggetti alle leggi dell’occupazione e non alle leggi della giustizia. Il procedimento non implica nient’altro che un rituale falso.
Persino l’ordinamento giudiziario civile, presieduto dalla Corte Suprema della Giustizia, non si è mai schierata dalla parte delle vittime e contro i crimini dell’occupazione. Qui e là sono stati emessi ordini restrittivi, qui e là le azioni sono state rimandate, ma negli annali dell’occupazione la Corte Suprema d’Israele sarà ricordata come il principale legittimatore dell’occupazione e come un abietto collaboratore dei militari. In un tale stato di cose, forse non c’era davvero niente da fare per Langer. Questa è una conclusione singolarmente deprimente.
Per cosa ha combattuto questa donna coraggiosa? Contro la tortura da parte del servizio di sicurezza Shin Bet quando non credevamo che tale tortura esistesse, eppure era al culmine della sua crudeltà. Ha combattuto contro l’espulsione di attivisti politici, contro i falsi arresti, contro le demolizioni di case. Soprattutto ha combattuto per l’applicazione del diritto internazionale dal quale Israele ha deciso di escludere se stesso su basi incredibili. Questo è ciò per cui ha combattuto ed è per questo che è stata considerata un nemico pubblico.
Ormai anziana, suo nipote le disse che alla fine i palestinesi avrebbero vinto e avrebbero ottenuto uno stato tutto loro. Alla fine il nipote resterà deluso, proprio come lo era la sua distinta nonna.
Un’intervista a Felicia Langer
APM: Quale dei molti premi vinti riveste maggiore significato per Lei?
Felicia Langer: L’aver ricevuto il Premio Nobel alternativo, il premio più importante dopo il Premio Nobel, è stato un bel riconoscimento.
APM: Nel 1950 Lei è migrata insieme a suo marito in Israele dove poi ha studiato giurisprudenza. Come ha vissuto l’inizio della sua carriera professionale in un regno ancora tutto maschile?
F.L.: Ho dovuto impormi, essere sempre la migliore. Questo mi è rimasto dentro. Non è sempre stato facile. Dal 1965 al 1967 ho difeso gente povera ed esclusa. Certo, non ci ho guadagnato ma ne ho tratto molta soddisfazione.
APM: Come hanno reagito i suoi clienti palestinesi a Lei, come donna?
F.L.: All’epoca ero l’unica a difendere dei Palestinesi sulla base della solidarietà e della comprensione. Forse cercavano dell’empatia. Il mio primo cliente è stato un Imam. Venne con sua moglie, il loro figlio era in carcere. Avevano ricevuto recapitata la camicia del figlio macchiata di sangue e quindi sapevano che era stato picchiato. In quel momento mi sono sentita come sua madre e piangevo insieme ai genitori. In questo modo è crollato il muro tra di noi. Credo che quando esiste partecipazione, comprensione e vera solidarietà, la questione di genere diventa secondaria.
APM: Come ha iniziato ad essere conosciuta come avvocato per i diritti umani?
F.L.: E’ stato un processo. Ero una donna, un’Israeliana e difendevo Palestinesi – terroristi, continuava a rinfacciarmi la gente. Ma ciò non è giusto perché non ho mai difeso chi ha perseguitato dei civili. Ma insieme alla fama è arrivato talmente tanto odio che anche questo ha contribuito alla mia notorietà. A un certo punto ho addirittura avuto bisogno di una guardia del corpo.
APM: Come è stata trattata dai suoi colleghi maschi?
F. L.: Coloro che hanno capito che per noi è un dovere difendere i Palestinesi in questa situazione di arbitrarietà mi hanno mostrato molta simpatia. Altri invece non riuscivano a nascondere il loro odio e questo mi ha fatto soffrire parecchio.
APM: Per quale motivo ha reso l’impegno per i Palestinesi il compito della sua vita?
F. L.: Lotto perché i Palestinesi vengono spogliati dei loro diritti e soffrono. Questa è un’occupazione crudele e colonizzatrice. Non posso vivere accanto all’ingiustizia senza fare niente.
APM: Perché ha lasciato Israele nel 1990?
F. L.: A partire dal 1987 mi sono resa conto che il mio lavoro era inutile. Il sistema giuridico israeliano è una farsa. Ero addirittura diventata un alibi per un brutto sistema. L’élite israeliana si vantava “abbiamo Felicia Langer! In Giordania o in Egitto non esiste nessuna Felicia Langer!” e così mi sono detta: “no, non voglio stare a questo gioco!” Per protesta ho chiuso il mio ufficio e ho reso pubblico questo mio passo. Anche il Washington Post ne ha parlato.
APM: Per quale motivo ha scelto la Germania come nuova residenza?
F. L.: Ho ricevuto un incarico per l’insegnamento all’università di Brema. In questo modo potevo portare avanti il mio lavoro per la pace e la giustizia, anche se in modo diverso.
APM: Nel 1998 la rivista israeliana “You” la annoverava tra le 50 donne più importanti della società israeliana …
F. L.: Sì, per me è stato come un riconoscimento. Tardivo, ma importante!
APM: E’ riuscita a raggiungere l’obiettivo della sua vita di creare un ponte tra Palestinesi e Israeliani?
F.L.: Se guardo a ritroso tutta la mia vita allora posso dire che questo ponte esiste davvero. Ancora oggi ricevo telefonate e riconoscimenti. Ci sono ragazze che in mio onore sono state chiamate Felicia. Ciò mi dimostra che basta costruirlo un ponte affinché continui a esistere.
Felicia Langer è ebrea di origine polacca. Nel 1949 sposa Mieciu Langer, sopravvissuto a cinque campi di concentramento. Nel 1950 la coppia migra in Israele dove nasce il loro figlio. Nel 1959 Felicia inizia a studiare giurisprudenza. A partire dalla Guerra dei sei Giorni (1967) difende Palestinesi davanti ai tribunali militari israeliani raggiungendo una notorietà che travalica le frontiere israeliane. Ha scritto numerosi libri. Nel 1990 chiude il suo studio e con il marito si trasferisce in Germania.