Agromafie e caporalato, “giro d’affari da 4,8 miliardi dallo sfruttamento” una economia criminale che schiaccia anche la dignità del lavoro
La denuncia dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil che questa mattina a Roma ha presentato il quarto rapporto sul tema. Circa 400 mila i lavoratori a rischio ingaggio irregolare e sotto caporale. Circa 30 mila le aziende che ricorrono al caporale, sono una su quattro
Un’azienda agricola su quattro in Italia ricorre all’intermediazione del caporale per reclutare la forza lavoro: sono 30 mila su tutto il territorio nazionale. È quanto emerge dal Quarto Rapporto Agromafie e Caporalato a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil illustrato oggi a Roma alla presenza del presidente della Camera, Roberto Fico, e della segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso. Come nelle passate edizioni, il rapporto fa il punto sull’economia illegale nel settore alimentare. La quarta edizione, presentata due anni dopo la terza, fa anche un bilancio sull’applicazione della approvazione della legge 199/2016 contro i fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Un settore, quello dallo sfruttamento e dal caporalato in agricoltura, che produce un giro d’affari pari a 4,8 miliardi di euro. Altri 1,8 miliardi di euro all’anno, invece, riguardano l’evasione contributiva.
Il quarto rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto conferma uno “scenario simile ai precedenti rapporti”, spiega il sindacato, nonostante fra qualche mese saranno passati due anni dall’approvazione della legge 199. Secondo il dossier, sono tra i 400 e i 430 mila i lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale. Di questi più di 132 mila vivono in condizione di vulnerabilità sociale. Più di 300 mila lavoratori agricoli, ovvero quasi il 30 per cento del totale – inoltre -, lavorano meno di 50 giornate l’anno. Tra i dati del rapporto c’è anche una stima che quantifica in 30 mila il numero di aziende che ricorrono all’intermediazione tramite caporale, “ovvero il 25 per cento del totale delle aziende del territorio nazionale – spiega la Flai Cgil -. Il 60 per cento di tali aziende ingaggiano i caporali capi-squadra, che si differenziano per modalità di natura economica e per livello di condotta criminale dai caporali mafiosi e caporali collusi con organizzazioni criminali”.
Tra gli oltre 400 mila lavoratori a rischio, molti sono stranieri. Complessivamente, tra lavoratori regolari e irregolari, su circa un milione di lavoratori agricoli, “i migranti si confermano una risorsa fondamentale”: nel 2017 sono stati registrati 286.940, circa il 28 per cento del totale, di cui 151.706 comunitari (53 per cento) e 135.234 provenienti da paesi non Ue (47 per cento). “A questi dati vanno aggiunte le stime sul lavoro sommerso – spiega la Flai Cgil -, il Crea quantifica in 405 mila i lavoratori stranieri in agricoltura (tra regolari e irregolari), di cui il 16,5 per cento ha un rapporto di lavoro informale (67 mila unità) e il 38,7 per cento una retribuzione non sindacale (157 mila unità)”.
Il quarto rapporto Agromafie e Caporalato va a fondo sul tema del lavoro “indecente” raccontando alcune storie di lavoro sfruttato nei territori di sette regioni, ovvero la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Toscana, la Campania, la Puglia, la Basilicata e la Sicilia. “In ogni regione – spiega la Flai Cgil – sono stati studiati territori particolari, in quanto quelli in cui si registrano forme di lavoro indecenti e al limite dello sfruttamento para-schiavistico”. Territori da cui emergono storie che confermano i dati raccolti dal rapporto in merito allo sfruttamento in agricoltura, dove i lavoratori non hanno nessuna tutela, nessun diritto garantito dai contratti e dalla legge. La paga, infatti, varia tra i 20 e i 30 euro al giorno e un compenso di al massimo 4 euro per riempire un cassone da 375 kg. Un orario di lavoro che va da 8 a 12 ore al giorno e un salario inferiore a quanto previsto dai Contratti collettivi nazionali di lavoro e Contratti provinciali di lavoro, assicura la Flai Cgil, di ben il 50 per cento.
Più grave e preoccupante la condizione delle donne lavoratrici. Le donne sotto caporale, infatti, percepiscono un salario inferiore del 20 per cento rispetto ai loro colleghi. A questi numeri, poi, bisogna sottrarre la quota che ogni lavoratore deve versare al caporale. Come ad esempio il trasporto che costa mediamente 5 euro, ma può variare con la distanza. Caporale che spesso fornisce anche beni di prima necessità (mediamente 1,5 euro l’acqua, 3 euro per un panino, etc.). “Nei gravi casi di sfruttamento analizzati – spiega la Flai Cgil -, alcuni lavoratori migranti percepivano un salario di 1 euro l’ora”. (ga)