MASSA – Al Borgo del ponte i CANTIERI APERTI ci hanno insegnato che creatività e cultura operano e convivono nella dimensione affettiva, etica e artistica in proposte inedite, “non finite”
Articolo di Valentina Valentini pubblicato anche su AlfaBeta2
Cantieri aperti Borgo del ponte Massa si svolge durante i primi due weekend di settembre nelle strade, nelle case, negli studi di falegnami e scultori; nei negozi di barbieri mentre le persone si tagliano i capelli; negli androni delle case che sono tutte istoriate con statue e bassorilievi e lungo il fiume Frigido che è stato un fronte della leggendaria resistenza apuana contro i nazisti in fuga. Si tratta di una iniziativa rivolta agli abitanti del borgo innanzitutto, alle persone, che sono “prese per mano” e accompagnate nell’itinerario –percorso delle varie iniziative.
Il tempo, il tema di questa quinta edizione di Cantieri aperti, allestita e progettata da Semi Cattivi (Stefania Gatti, Giulio e Franco Rossi) è stato presentato su un tazebao attaccato su un muro di una casa lungo la via principale di Borgo del Ponte in cui si invitavano gli abitanti a rispondere alla domanda: “Ma che cos’è il tempo? Ce lo siamo domandati senza trovare una risposta [….] Lo chiediamo a voi, allora, […]”. Questa domanda era preceduta da una riflessione e introduzione ( da cui prendiamo uno stralcio): “Il tema dell’Odissea è il tempo, il tempo del ritorno, il tempo dell’attesa. Penelope imbriglia il tempo nella tela, Ulisse se ne prende gioco. Nel 1922 James Joyce scrive l’Ulisse, un’Odissea di un giorno. Negli interstizi del tempo mostra la noia, la felicità, la rabbia, il dolore, la frustrazione, la vita. Due estremi: un viaggio di ritorno lungo dieci anni e un giorno lungo un’esistenza”. Il tazebao con il passare dei giorni si è riempito di frasi scritte da bambini, anziani, coppie di innamorati. Queste figure mitiche, Ulisse e Penelope le ritroviamo in Io sono qui di Franco Rossi, spettacolo teatrale per 4 spettatori che, muniti di cuffia, si collegano, ascoltando la magnifica voce di Marion D’Amburgo, con la camera del pensiero di Penelope, la figura dell’attesa, attraversando le stanze di un appartamento disabitato da molti anni, con i mobili coperti dalla polvere del tempo dell’attesa del ritorno di Ulisse, l’anziano abitante di Borgo, scappato a diciotto anni dalla Sicilia dove non è mai più tornato.
Cantieri Aperti, in una città dove il governo del comune di Massa dopo 25 anni è stato perduto dalla sinistra ed è passato in mano alla Lega e quello di Carrara ai 5 stelle che ha conquistato voti con la parola d’ordine ecologista, attaccando le cooperative di cavatori di marmo sorte negli anni 60, rappresenta in Italia una caso esemplare. La sua geneaologia, sensibilmente impressa, svela Franco Rossi, risale ai festival dell’Unità che si organizzavano a Massa, durante i quali si sviluppavano dibattiti molto vivi sulle questioni internazionali fra gli operai delle cave di marmo, discussioni sul Vietnam e il Mozambico, si coltivava il mito di Che Guevara e si dava ospitalità, nelle case (dove non era raro trovare la copia del quadro di Guttuso I funerali di Togliatti) a comunisti perseguitati nei loro paesi.
Esemplare perché propone un rapporto “ravvicinato” fra territorio, realtà sociale e produzione culturale, fatto di situazioni di fruizione motivata, di relazioni in cui dimensione affettiva, etica e artistica convivono; di proposte inedite, “non finite” che stanno ancora cercando una forma e hanno bisogno di essere verificate in una dimensione di ascolto che non sia quella di un pubblico che ha pagato il biglietto d’ingresso. A Cantieri Aperti non ci sono biglietti da pagare e non ci sono finanziamenti pubblici: le cene organizzate dagli abitanti del borgo con spettacolo drag queer e opere di artisti in residenza vendute all’asta, producono una base minima per le spese inevitabili. Una prassi , questa , distante da quella del Macro asilo di De Finis dove gli artisti sono invitati a produrre interventi a loro spese, con lo spirito di chi va al centro d’arte contemporanea come se andasse “a un pic nic, in cui ciascuno porta qualcosa”. Qui gli artisti e gli operatori, critici, studiosi, curatori attori, sono scelti, rispondono a una visione etica e artistica. Anche la tendenza al community based, per usareun termine in voga, l’estetica del chiamare alla partecipazione di un fatto artistico, un gruppo sociale, residente nel territorio dove avviene l’intervento, l’arte partecipativa di cui parla Claire Bishop nel suo citato studio-Artificial Hells, in Cantieri Aperti assume una dimensione differente, perché le proposte culturali – ascoltare una canzone di Paolo Tosti o dei Beatles nel negozio del barbiere, guardare un video di Massimo Bartolini nell’ex bar ristrutturato , prendere parte una discussione su che cos’è il tempo nella piazza o nella sede della sinistra giovanile, si danno negli spazi abitualmente frequentati del borgo a opera di persone che vivono la città e la sua storia.
Cantieri Aperti accoglie molte “opere prime” di giovani (ma non per questo si pone come talent scout) insieme a opere di artisti con un background ( Filippo Luna con il film Sicilian ghost story , 2017 ), opere inedite che trovano la loro verifica pubblica in un ambiente protetto, come I 30 minuti che Saverio La Ruina ha presentato ancora in lavorazione, rivolgendo agli spettatori la domanda: come trasformare la lettura in uno spettacolo che tenga l’attenzione per un tempo più lungo, lavorando in verticale anziché orizzontalmente descrivendo una figura dopo l’altra?
Cantieri Aperti ci sembra degno di attenzione perché propone un partire dalle persone, dal dialogo, dall’affetto, dalla dedizione, perché interviene in un territorio di provincia, perché riattiva in forme diverse una tradizione culturale forte di motivazioni e tensioni ideali. In Italia macroscopicamente le forze vitali sono quelle che resistono alla politica discriminante delle istituzioni pubbliche (regione toscana compresa) sperimentando modalità e formati dettati da motivazioni profonde.