Childless ,ovvero priva di  figli, oppure childfree, libera dalla maternità?

Si può anche  scegliere di non diventare madri, discostandosi così dall’imperiosità di dettami specie – specifici?

In un’epoca nella quale la scienza offre  ogni possibile ausilio per  garantire un figlio, Michela Andreozzi nel suo Non me lo chiedete più s’interroga  se il decidere di non avere figl* non sia  semplicemente un diritto.

Non solo una scelta di libertà, ben spendibile davanti ad opportunità nuove, alimentate da un soggettivo ripensare il proprio ruolo all’interno della coppia.

Quasi  una sorta di rivendicazione che può, ed  a ragione, aggiungersi,  nel rileggere l’identità femminile non  solo meramente inclusiva di maternità (e, quindi, della medesima non più naturale espressione).

In effetti il testo  diventa  una specie di gioco degli specchi, attraverso i quali l’autrice sembra evocare, pagina dopo pagina, fino al fuoco di fila di conclusioni finali, un  dissenso, che si discosta dal comune sentire, o tale ritenuto, con argomentazioni pungenti, ricusando spesso in un potenziale interlocutore una scontata, forse blanda ed un po’ superficiale disapprovazione.

Possono esserci ragioni del cuore che la ragione non conosce?!?!

Forse in equilibri nuovi, anche faticosamente raggiunti, nell’autopercezione di  confini da non violare, in fondo  in luoghi  dell’anima  ancora ricchi di generosa   oblatività .

Michela Andreozzi sottolinea  il senso del materno nel femminile sganciato dal vincolo speciespecifico, dunque non  più prioritario . Pieno e sacrosanto è rappresentato invece il diritto a svolgere una professione appagante,  al pari di uomini, consapevoli le donne quanto spesso si scandisca disallineato  un tempo del lavoro rispetto al tempo da dedicare alla cura di un figlio/a.

Se l’autrice da una parte non avvalla sic et simpliciter  inossidabili  convinzioni  che legano l’identità femminile alla funzione materna, dall’altra annota  meticolosamente le argomentazioni  denunciate  con frequenza ed  incastrate nella perplessità di una scelta ,ritenuta dai più… obbligante.

Certo, con onestà intellettuale, Michela Andreozzi ammette  egoismi e paure, lo scomodo di prendere decisioni a dir poco impopolari, totalmente controcorrente .

Nella complessa polisemia del termine cultura, suo malgrado, mal si coniuga, ad oggi addirittura spariglia, una più che vaga obsolescenza del concetto di  natura (e naturalità della medesima) .

L’essere madre rimane una scelta, personale .

Altrettanto altamente soggettiva è la percezione del materno dentro di noi.

Occorrono ragioni potentemente coerenti, coraggiose, in grado di contrastare il potere soporifero degli  stereotipi,  anche se fra le pieghe delle pagine occhieggia  l’ossimoro dell’ incerto che  a volta paradossalmente si traspone in un troppo evidente.

Indubbiamente un testo che si chiama fuori dal coro dei luoghi comuni, che lascia l’onere di riconoscere la complessità e profondità del bisogno di decidere del proprio destino e la fatica di negoziare  in termini di dipendenza/autonomia la relazione con l’altro da sé figlio/a.

Forse è proprio la paura di poter essere ancora fagocitata dalla funzione materna a rafforzare  quel  desiderio di svincolarsi, di cambiare rotta, anche di vivere la precarietà  nella forma di  stabile disincanto.

Suggella, forse,  un voler sperimentare il diritto ad un piacere squisito ed impegnante, (poter)essere davvero per se stessa?!

 

Dal testo di  Michela Andreozzi, Non me lo chiedete più

# Childfree La libertà di non volere figli e non sentirsi in colpa, Harper Collins,Milano,2018