Circoncisione, mutilazioni genitali femminili, due riti che minano l’integrità fisica e psichica di bambini e bambine
Nei pressi di Roma un bambino di due anni è morto (e il fratellino è in gravi condizioni in ospedale) per le conseguenze di un intervento di circoncisione fatto in casa. Una notizia atroce, nella quale però l’attenzione si è concentrata sulle circostanze nelle quali l’intervento è stato condotto – in casa, senza le minime condizioni igienico sanitarie – senza che nessuno abbia posto il minimo dubbio sulla legittimità della scelta dei genitori.
Con questo approccio, la “logica” conseguenza è la richiesta che la circoncisione venga eseguita come intervento negli ospedali pubblici e a prezzi accessibili a tutti (in molti ospedali è già infatti possibile richiedere la circoncisione rituale, a pagamento però: possibilità che rappresenta una evidente forma di ingiustizia). Ora, è chiaro che una circoncisione eseguita in ospedale eviterebbe gli effetti collaterali di un intervento fatto in casa da persone non formate, effetti che possono essere anche molto gravi e giungere, come abbiamo visto, persino alla morte.
Proviamo dunque a riscrivere questa storia così: nei pressi di Roma un bambino di due anni è morto per le conseguenze di una mutilazione ai genitali richiesta dai genitori sulla base delle proprie convinzioni di fede. Fa un altro effetto, no? E messa in questi termini forse la richiesta di poterla eseguire in sicurezza in ospedale non appare più così “logica”: si richiede che un ospedale pubblico tagli via – senza alcuna indicazione medica – un pezzo del corpo di un bambino su richiesta dei suoi genitori.
Che dietro a questa richiesta ci siano motivazioni di fede (o di tradizione o di qualunque altra natura) non dovrebbe giocare nessun ruolo. Dovremmo infatti assumere in queste questioni un approccio davvero laico, ossia scevro da qualunque senso di ossequio dovuto a religioni più o meno importanti, tradizioni più o meno diffuse, e guardare esclusivamente alla cosa in sé. Se una famiglia pretendesse l’amputazione del lobo di un orecchio al proprio figlio perché la loro religione glielo impone, che reazione avremmo? E perché la fede di questa famiglia meriterebbe meno rispetto di quella di ebrei e musulmani che praticano l’amputazione del prepuzio sui loro figli maschi?
Sappiamo bene che la mutilazione rappresentata dalla circoncisione non è nemmeno lontanamente paragonabile alle mutilazioni genitali femminili, le cui conseguenze sulla vita delle bambine e delle donne sono incomparabilmente più atroci. E però questo non può far passare in secondo piano il tema della salute del bambino e soprattutto del suo diritto all’integrità fisica. In entrambi i casi (lo ripetiamo: con conseguenze imparagonabili che rendono dunque la lotta contro le mutilazioni genitali femminili indiscutibilmente prioritaria) individui non ancora nel pieno delle loro capacità di intendere e volere vengono sottoposti a riti di iniziazione per volere della famiglia, come se i figli fossero mera prosecuzione dei genitori e destinati a riprodurre le credenze della comunità.
Usare i figli come strumenti di manifestazione della propria fede e imporre loro pratiche religiose (o tradizionali) è una violazione dei loro diritti umani fondamentali. Lo è quando vengono battezzati, lo è quando vengono obbligati a frequentare il catechismo, lo è quando vengono convinte (le bambine) che i loro capelli bruceranno all’inferno se non mettono il velo. Lo è in un grado infinitamente più grande quando vengono irreversibilmente violati nel loro corpo. da Animabella