Le donne protagoniste della storia: il periodo 1865-1925 come fondativo della contemporaneità
Recesnione di Franca Bellucci del libro di Liviana Gazzetta “Orizzonti nuovi. Storia del primo femminismo in Italia (1865-1925)” edito da Viella, 2018 su AlfaBeta2
Le donne come essenziali protagoniste della vita sociale e intellettuale dell’Italia unita: questo propone la ricerca attenta di Liviana Gazzetta nel suo recente libro, documentando nel periodo scelto le articolate modalità della partecipazione femminile alla vita del Paese.
L’autrice, studiosa esperta dei percorsi femminili contemporanei singoli e collettivi, nel filone di ricerca iniziata negli anni Sessanta da Franca Pieroni Bortolotti e arricchita da successive esplorazioni compie qui una ricognizione profonda mirando all’orizzonte dell’Italia che si faceva nazione. Dal punto di vista giuridico, le donne non furono premiate: il predominio del paternalismo informò il codice civile, o codice Pisanelli, varato nel 1865. Malgrado ciò, la Penisola risulta uno spazio-crogiuolo entro il quale si delinearono gruppi femminili, spesso intorno a temi diversi resi visibili da azioni pratiche nella società e da pubblicazioni giornalistiche: per tutte ne segnaliamo due, «La Donna» di Gualberta Adelaide Beccari (1868-1891), la «Vita femminile italiana» di Sofia Bisi Albini (1907-1913). Non vi fu una direzione unica dei movimenti creati dalle donne, ma è evidente, oltre ad una energia di stampo garibaldino, una ispirazione etica che dava risalto al mazzinianesimo, pur se appreso tardi nella regione veneta divenuta italiana solo dopo il 1866, e all’ideale religioso vissuto come “Risveglio”, e che poteva guardare o alla dottrina cattolica o alla protestante o alla ebraica. Il bisogno dei vari movimenti femminili di confrontarsi e unificarsi culminò nel 1908, raggiungendo, con travaglio, la forma federale (Consiglio nazionale delle donne italiane, CNDI), che poté affrontare a Roma il suo I Congresso, fissando i riferimenti per quella legislazione di tutela riguardo al lavoro delle donne e dei fanciulli, che, in accordo con il contesto europeo, caratterizzò il periodo detto “giolittiano”. Il termine finale che l’autrice dà al suo esame, il 1925, segnala l’esaurimento e l’involuzione, rispetto alle prove fattive e consapevoli precedenti, sia pure disparate. Le istanze elaborate dai movimenti femminili in oltre mezzo secolo furono bloccate quando il regime fascista si impose azzerando le istanze partecipative. Escono dalla ricerca il periodo dal fascismo, il suo abbattimento, il suffragio generalizzato nel 1945. Solo per cenni l’A. registra la continuità del movimento cattolico pur negli anni della dittatura, «sempre riconosciuto come interlocutore» (p. 224).
Questo libro è anche recupero di biografie (molte: e il ricco apparato, a partire dall’indice dei nomi, ne è buona guida), ma è soprattutto recupero di costruzioni ideali, presso nuclei attivi sparsi sul territorio dell’Italia intera: quelli dediti ad interventi sociali come la lotta alla prostituzione, la filantropia, gli atelier per il lavoro delle donne, l’istruzione ai vari livelli, e inoltre quelli attivi nella richiesta del suffragio, più tardi quelli orientati verso il libero amore, o il divorzio. In molti di questi gruppi l’impegno per il disarmo e la pace fu un percorso forte, in concomitanza con la Conferenza Internazionale all’Aja del 1899, poi abbandonato e persino convertito nell’opposto, al tempo dell’opzione militarista dell’Italia dopo il 1911. Nel complesso, il saggio procede in una riflessione profonda sulla prospettiva della storia come “generale”.
Una “storia italiana”, verrebbe da dire, nel complesso un percorso di impegno-dissipazione-gemmazione altra. Lo spazio-Italia c’entra molto, in questo studio: una vera sorpresa, rispetto a interpretazioni presenti nella storiografia internazionale che, oltre a minimizzare la legislazione sociale italiana e ad ignorarne il collegamento con i movimenti delle donne italiane, descrivono questi come episodi di esterofilia, modellati sul suffragismo anglosassone. Ma, si badi: è il concetto stesso di storia che viene scosso, se include le donne. La narrazione di Gazzetta, cioè, esito di un largo scandaglio di fonti, è tutt’altro che un complemento da affiancare alla storia canonica: è questo un libro di attento metodo che, concentrandosi sull’Italia, invita a rivedere il quadro in cui nascono i fatti e le idee, la materia della storia. Ora, focalizzarsi sui soggetti, donne incluse, che hanno dato vita all’Italia-stato, è polemizzare con chi, ignorandole, procede da un astratto all’altro, raccontando di italiane in modo approssimato.
Questo metodo di osservare “in modo inclusivo” la società italiana ha qualcosa in comune con la riscrittura della storia artistica che da alcuni decenni incontriamo: per esemplificare in Italia, penso alle narrazioni d’arte ricche di meditazioni, ma anche di verve polemica, di Lea Vergine, di Martina Corgnati, al dramma artistico di Carla Accardi, alla rivolta metodologica di Carla Lonzi, ai quesiti che al riguardo pone Maria Luisa Boccia.
È congrua con questa direzione di lettura la parola-segnale, “femminismo”, che Gazzetta pone fin dal titolo e che commenta nell’Introduzione a designare il complesso delle testimonianze di vitalità sociale delle donne, sia che riguardino l’ambito della cultura riconosciuta, ovvero la pratica, ovvero la teoria. La parola “femminismo” può applicarsi al periodo trattato «per affermare una più piena cittadinanza e livelli superiori di autonomia femminile rispetto alla società del tempo» (p. 8): questa parola, puntualizza l’A, circola fin dagli anni Novanta dell’Ottocento. È tuttavia una scelta innovativa rispetto a “emancipazionismo”, parola più spesso usata in storiografia con il fine di separare le manifestazioni più antiche. Vengono così distinti i movimenti relativamente antichi da quelli che gli anni Settanta del XX secolo hanno espresso, come fenomeno dirompente che ha posto in evidenza gli accadimenti riferibili alle donne. Ma Gazzetta, con una scelta che motivatamente rompe con quella storiografia, ricompone in un unico termine le manifestazioni promosse dalle donne, accettandone l’andamento non progressivo e irregolare. L’A. riprende la questione nelle ultime pagine, riallacciandosi a quanto riconoscevano i professori dell’Università del Sacro Cuore nel 1923: «Il femminismo è una realtà che constatiamo» (p. 219). Contestualmente venivano distinti tre femminismi: quello liberale, quello socialista, quello “così detto” cristiano.
Seguendo questa prospettiva, dunque, il lettore (ndr. o la lettrice) si sente motivato ad accettare le articolazioni e le connessioni del femminismo dall’Ottocento a oggi, attraverso esperienze attinenti a campi e rilevanze diversi. È appropriato includervi i documenti del protagonismo femminile anche attinenti ad ambiti culturali diversi: nulla vieta, per esempio, di collegarvi la fecondità filosofica di una Simone Weil, purché si rispettino, sui vari piani dell’assetto culturale, i dovuti distinguo.
- 225 e apparati pp. 30 € 28,00