Non stiamo in silenzio ma è scomparsa quell’agorà che Hannah Arendt definiva “cittadinanza attiva
Mi sembra però che il dibattito innescato dall’intervento di Nadia Urbinati dia spazio a un equivoco: confonde il non esserci con il non comparire. È vero, le “nicchie” femministe non stanno sulle prime pagine dei grandi quotidiani, nei salotti televisivi e nelle news dei telegiornali. Eppure esistono, ma agli occhi del teatro mediatico non possiedono sufficiente appeal e non offrono elementi di spettacolo. Non voglio fingere che le sparse membra di quello che un tempo è stato il movimento delle donne siano al di sopra delle critiche. Per numero e per varietà di errori non ci siamo fatte mancare niente, come del resto accade a quasi tutti i movimenti che conoscono alterne fasi fisiologiche.
Mi sembra però che il dibattito innescato dall’intervento di Nadia Urbinati dia spazio a un equivoco: confonde il non esserci con il non comparire. È vero, le “nicchie” femministe non stanno sulle prime pagine dei grandi quotidiani, nei salotti televisivi e nelle news dei telegiornali. Eppure esistono, ma agli occhi del teatro mediatico non possiedono sufficiente appeal e non offrono elementi di spettacolo.
Il femminismo non è semplificabile in uno slogan e purtroppo non basta dire “sì, noi possiamo” per attrarre nuove energie. Forse perché ci manca una leader carismatica?
_ Ma il leaderismo politico è proprio tra i fenomeni più lucidamente criticati dal mondo femminista.
I mezzi a nostra disposizione sono le parole che nascono dalle relazioni e dalle esperienze, quelle parole che secondo quanto è stato scritto sull’Unità cerchiamo e non troviamo.
_ Eppure, avete provato a farvi un giro su internet? Avete idea del numero di siti e di blog gestiti da donne, e della loro vivacità? Avete letto gli articoli che vi compaiono?
_ Quelli di riflessione e quelli di attualità? Le notizie, le iniziative, gli appelli?
_ Lavoro prezioso e gratuito, naturalmente (e questo sembrerà una pecca a chi pensa che il valore si misuri in euro). Ma anche quando queste donne chiedono espressamente spazio per far sentire all’esterno la propria voce su fatti di bruciante attualità, non trovano eco sui media ufficiali.
E questo è strano, nell’era del citizen journalism, quel modo diverso e autogestito di fare comunicazione di cui ovunque si sta riconoscendo l’importanza.
Troppo semplice, purtroppo, dire che dobbiamo tornare in piazza per contare nella realtà.
_ Esiste ancora una realtà condivisa? Quando si dice “stare in piazza” s’intendono le piazze vere, fatte di selciato, alberi e marciapiedi, o quelle di carta dei giornali? Le videopiazze al plasma o le vetrine di affollatissimi e visitatissimi blog?
_ Folle diverse abitano queste diverse piazze e nella maggior parte dei casi s’ignorano, non s’incrociano.
Comunque, {{nemmeno il ritorno in piazza garantisce alle donne di “esistere” pubblicamente}}, ossia di influire sulla realtà.
_ La piazza a Roma l’abbiamo ben riempita, al primo corteo di Usciamo dal silenzio contro la violenza, qualche anno fa. Ma anche se la violenza sulle donne continua a fare vittime con impressionante frequenza, l’importanza di quell’evento ben presto è svanita senza quasi lasciare traccia e nulla ha fatto la politica per modificare nel profondo la mortifera cultura di un maschilismo che dovrebbe essere superato, e invece ci si ripresenta nelle sue peggiori espressioni.
Certo siamo poche a insistere, solitarie davanti al computer o nelle rare sedi d’incontro scampate al deserto della vita urbana, ma non credo sia questa la principale causa cui si deve una clamorosa “inesistenza pubblica”.
{{È troppo grande ormai il divario di potere tra chi è sul palco, dentro la scena, e chi invece sta fuori, in mezzo al pubblico}}, perché ancora pensa che sia giusto stare dalla parte della base. Ed è proprio sul significato da attribuire a ciò che viene definito pubblico che da un po’ di tempo noi “sopravvissute” stiamo riflettendo.
Non sono scomparse le donne in rivolta, o perlomeno non tutte,{{ è scomparsa invece quell’agorà che Hannah Arendt definiva “cittadinanza attiva”}}, lo spazio dove si svolge il dibattito aperto che rompe l’anonimato della folla indistinta e permette di “esistere” influendo sulla vita della collettività.
_ Una sfera diversa dalle aule parlamentari e dalle tribune televisive, la sfera della {polis} nel senso antico del termine.
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