UNA TRAPPOLA DI VETRO
Con la sua ricerca e con il suo libro, Donath ha reso visibile una cosa che fino a oggi era rimasta confinata alle confessioni tra amiche o sui lettini degli psicoterapeuti.
Questo il commento di Der Spiegel.
Sul retro della copertina le recensioni da La Repubblica e Vanity Fair, favorevoli al testo di Orna Donath, Pentirsi di essere madri Storie di donne che tornerebbero indietro Sociologia di un tabù, pubblicato nel 2017 dall’editore Bollati Boringhieri.
Nell’intervista del marzo 2016, rilasciata a Paola Santoro, Orna Donath, sociologa israeliana, aveva sostenuto non essere la statistica l’unico modo per comprendere la vita, perché la sua ricerca, centrata sul vissuto del pentimento in un campione di sole 23 donne, aveva rivelato un disagio profondo, profondamente radicato in quelle 23 madri, alcune anche nonne.
Sono stati racconti di esperienze del materno in grado di sollevare un dibattito sul significato dell’essere una madre, fatto oggetto il testo, per quel peculiare aspetto indagato, il pentimento, di critiche anche piuttosto dure.
La traduzione italiana del Regretting motherhood, costruita con un lessico poco fluido anche se, nel complesso, abbastanza scorrevole, considerata soprattutto la complessità dei concetti esposti, mostra, nelle parole delle intervistate, tutta la fatica nell’impegno assunto e il rimpianto per una libertà amaramente perduta.
Sono segnali, e piuttosto espliciti, nella direzione di un disagio, non limitato a poche donne, una sorta di discordanza interiore, un vissuto del ruolo appalesato poco congruente con la funzione genitoriale.
Non poche anche “altre” madri, altrettanto pentite di aver fatto figli, che alla Donath hanno scritto, inviato mails e manifestato in forma diretta dispiacere, pentimento, rammarico, quanto la sociologa definisce posizionamento emotivo.
E’ per l’autrice sentimento insostenibile, perché le donne che lo provano, oltre a dovere fare i conti costantemente con il proprio dolore, non hanno praticamente alcuna possibilità di esprimere ciò che pensano.
Il rimpianto infatti non dovrebbe avere alcuna relazione con la maternità.
La percezione di ri-trovarsi dentro una trappola, il dispiacere di non poter essere più una persona libera “da” pur nella cura “di”, ridisegna il volto materno di chi avanza dubbi e si pente della scelta fatta.
Diktat alla riproduzione, frutto della pressione dell’ambiente, sollecitazioni di partners che rivendicano il diritto al bisogno del figlio/a?
Indubbiamente la capacità riproduttiva nell’essere umano è garante di continuità per la sopravvivenza specie-specifica .
Ed il paradigma di una società interumana interpreta il mondo come luogo delle relazioni, in grado di legare le persone l’un l’altra, in una sorta di reciprocità, quella di (essere) creature umane.
Uno spazio vivibile, un luogo reso mentalmente sicuro dallo sguardo di genitori che sappiano accogliere e proteggere del proprio sé le parti trasposte nel futuro (figlio/a).
Capaci di affrontare la scommessa di un gesto forse ancora oggi, per dirla con Willy Pasini, di ordinaria (razionale) follia?!
Riferimenti bibliografici
Orna Donath, Pentirsi di essere madri Storie di donne che tornerebbero indietro Sociologia di un tabù , Bollati Boringhieri , Torino, 2017 (Traduzione di Sabrina Placidi)
Regretting motherhood: a sociopolitical analysis, Journal of Women in Culture and Society 2015, vol40,no2,Dec.2014
Mamme pentite di Paola Santoro in https://d.repubblica.it letto il 21.02.2019