THAILANDIA ( Bangkok ) – la prima edizione della Biennale d’arte, chiusa il 3 febbraio 2019, ha visto molt* artist* cimentarsi con il concetto di felicità
Articolo di Cristina Zappa su AlfaBeta2
“In un momento storico di ansia, traumi e disillusioni senza precedenti, in un momento in cui ci siamo persi nel nostro modo di vivere, avevamo un sacco di domande. Allora ci siamo focalizzati su una semplice domanda: Che cosa è la felicità?” (Prof. Apinan Poshyananda, Artistic Director, Bangkok Art Biennale 2018).
A Bangkok dentro il tempio What Pho, il Buddha Sdraiato ammicca. Nel giardino è difficile individuare le installazioni concepite per la prima Biennale d’arte thailandese Beyond Bliss, curata da Apinan Poshyananda. Informi blocchi di cemento dell’artista Pannaphan Yodmanee, esibiscono colorati microdipinti con scene di traffici sino-siamesi, flussi migratori cinesi, pellegrinaggi e culti mescolati, rimandando a connessioni tra la filosofia buddista e la storia dell’ antico Regno del Siam. L’installazione nel chiostro di Prat Jorakee, attinge a archivi epigrafici sulla pratica medica, erboristica e astrologica: in un teatro di sagome antropomorfe e oggetti, Phaptawan Suwannakudt traccia il sentiero verso la beatitudine, ove ogni conoscenza trova utilità nel consueto, al fine di perseguire una serenità interiore. I millenni passano e il progresso avanza, i dilemmi del genere umano si propagano e indugiano di fronte alle considerevoli problematiche sociali e ambientali.
I 75 artisti, non solo thailandesi, in 20 location sparse nella metropoli, scrutano la Felicità. A richiamare la dimensione sociale dell’arte, le opere sono disseminate nell’intricato contesto della megalopoli asiatica, in un percorso poroso di incessante contaminazione con il luogo, tra seduzioni antiche e moderne, tra arretratezza e artificiosità, che induce riflessioni sul modo di vivere dei Junkspaces della Bigness. Focus sparpagliati, in contesti dissociati, folcloristici e mistici, a mostrare le contraddizioni della caotica realtà siamese. La perlustrazione degli scenari artistici ha lo scopo di attivare un’immedesimazione nel quotidiano vivere, passando dalla serenità dei templi all’ordinato street food dei marciapiedi, dalla quiete coloniale dei grandi alberghi allo stordimento dei centri commerciali. Ogni opera sfoggia senza pudore le disillusioni della società fluida e la panacea delle credenze, celebrando contestualmente le sfide dell’uomo del terzo millennio. Si può raggiungere la felicità solo riuscendo a controllare le sfide quotidiane poste dal destino. La vita liquida è precaria e la felicità -osserva Zygmunt Bauman- è la sfida.
A Si Lom, in mezzo ai grattacieli, si erge il Bangkok Art and Culture Centre. Nell’ingresso la torre colorata dell’artista Chi Jeong Hwa, composta dagli stessi cestini che si trovano nei junkshops, contenenti cibo, rospi o pesci secchi: le bancarelle sono campi di apprendimento creativo e l’opera riguarda il mondo paradossale della quotidiana felicità in cui viviamo. Al settimo piano gli androidi Donosaurus di Henri Dono, artista che unisce la tradizione locale, la performance wayang e lo stile di vita di Java. I suoi lavori riflettono la paranoia, la violenza e le raffigurazioni paradossali dell’ informatizzazione. L’arte non è solo un’esplorazione nel limite estetico, ma anche una critica sarcastica delle politiche di censura e oppressione culturale. L’opera di Imhathai Suwatthanasilp mostra pezzi di macchine da cucire e ali di falena, ricamate con i capelli delle mercenarie di Chiang Mai; l’insegna luminosa -Le brave ragazze vanno in paradiso. Le cattive ragazze vanno dappertutto.- è un biasimo alla prostituzione, che resta illegale in Thailandia. L’estemporaneità della serenità è focalizzata nella video-installazione di Yuan Goang Ming: il placido Luna Park, dispensatore di sogni, esplode di colpo e provoca inquietudine, rievocando attacchi terroristici. L’installazione di Fiona Hall occupa una sala in penombra, ove parti scheletriche sono dipinte su bottiglie sparse, a ricreare corpi che paiono fantocci, e rimanda a atrocità e carneficine, compiute anche dalla vanagloria del colonialismo.
Dentro i centri commerciali del Siam risulta difficile cogliere il limite tra la produzione artistica e il chiassoso confezionamento a uso commerciale. Le zucche gonfiabili di Yayoi Kusama sembrano lanterne, appese tra le scale mobili insieme ai grandi Led Wall, che proiettano a intermittenza pallini rossi, come fossero messaggi pubblicitari.
Le installazioni alla Bank of Thailand, fortezza presidiata da ufficiali, ricordano la dittatura militare del paese, mentre commentano i cicli di distruzione della vita lungo il Chao Phraya River. Le opere del collettivo SOS, Souled Out Studios, assemblano case con pezzi di recupero raccolti lungo il fiume, l’una troppo piccola anche per il coniglio che la abita, e ammira dagli oblò lo scorrere della vita lungo il fiume. Il folclore e la tradizione invitano a riflettere su questioni sociali e ambientali.
Gli storici alberghi lungo il River, sembrano placide oasi fuori dal tempo. La piscina di Elmgreen & Dragset, posizionata sulla banchina, inquadra il lussuoso hotel Peninsula, mentre l’enorme cane oro di Aurele fa la guardia agli ospiti del Mandarin Oriental. Il lusso non fa clamore in questa gerarchia post coloniale: i siamesi sorridono compiaciuti alla danza della vita.
Il BAB Box One, con la sua bassa architettura, sembra un’oasi occidentale: al piano terra, l’opera dell’artista Canan, attivista per i diritti delle donne turche che crede nella mitologia Jinn (creature soprannaturali della tradizione islamica), ricrea un regno celeste, con minacciose creature fiabesche. L’artista turrca romanza il dualismo del bene e del male, la felicità e l’angoscia, che riflettono gli aspetti repressi della psiche umana. Al piano superiore l’installazione di Marina Abramovic esplora i limiti della corporeità e le infinite possibilità della mente: le sculture in legno e cristalli invitano alla partecipazione come forma di meditazione e terapia. Le tele di Sriwan Janehattakarnkit ritraggono bellissimi scheletri nella penombra di boschi fitti, che fanno riflettere sul non sé, sulla sofferenza e sulla morte: gli esseri umani si saziano con l’egoismo, vera causa della sofferenza. L’anoressia, paradosso della bramosia degli esteti, è raffigurata nella tela barocca di Natee Utarit e risulta un monito, macabro e terrificante, per le nuove generazioni ossessionate dall’estetismo.
Alla Biennale asiatica, nel suo complesso e articolato svolgersi, va riconosciuto anche il merito di aver aperto un nuovo dialogo su antichi dilemmi: gli artisti, accomunati da uno sbigottimento vitale, esportano la rigenerazione attraverso il “sorriso thailandese”. Se la Felicità è un attimo fuggente, fluido e veloce, ci si deve accontentare di un accenno di serenità, dispensato o intercettato per strada.