“La Nemesi di Medea” di Silvana Campese. Recensione di Stefania Tarantino da IL MANIFESTO del 29 novembre
A Napoli, percorrendo la parabola irriverente e generativa del «mito» – Stefania Tarantino, 29.11.2019
SCAFFALE. «La Nemesi di Medea. Una storia femminista lunga mezzo secolo», l’ultimo volume di Silvana Campese
La vertigine del corpo turba da sempre la normalità e mostra la realtà per quella che è. Lina Mangiacapre ha conosciuto quella vertigine. Ne ha tratto un sapere e un’esistenza in cui la verità riordina il corpo quasi a ricrearlo. Attraverso la sua arte ha rivelato l’inusuale che le permise di creare un gruppo come Le Nemesiache. Ha fatto della pratica politica – separatista e al contempo dialogante – un’esperienza inedita di femminismo militante. L’ultimo libro di Silvana Campese, La Nemesi di Medea. Una storia femminista lunga mezzo secolo (L’Inedito letterario, pp. 416, euro 24) ripercorre questo vissuto.
DI FORMAZIONE umanista e giuridica, nata in una famiglia napoletana della media borghesia, l’autrice ci narra del suo personale percorso di liberazione scavato nell’incontro «perturbante» con Lina Mangiacapre e, successivamente, con le altre donne del gruppo. Accadde nel settembre del 1975 in relazione a un delitto che la scosse profondamente: il massacro del Circeo. Quell’episodio segnò una ferita ma anche una spinta verso la pratica politica delle Nemesiache che, proprio in seguito al massacro, si erano attivate nel processo e nel sostegno alla sopravvissuta Donatella Colasanti e alla donna che prese le sue difese, l’avvocata Tina Lagostena Bassi. L’impegno delle Nemesiache le era già noto per la radicalità delle battaglie contro le ingiustizie che si consumavano sui corpi delle donne e per la creatività con cui seppero agire. Lotte che si coniugavano con l’arte, il cinema, la pittura, la poesia, il teatro, la musica e la rimessa al mondo del mito. Dall’imposizione di una parola estranea che giudica, separa, condanna, definisce la norma di ciò che si è, all’assunzione piena di una parola libera e irriverente su di sé, Silvana Campese visse l’incontro con Lina come una rivelazione.
DA QUEL MOMENTO IN POI, per quanto inserita in un contesto cosiddetto «normale», la sua vita non fu più la stessa. E non lo fu più neanche il suo nome. La Nemesi si era compiuta e adesso era Medea. Per Lina Mangiacapre il significato più profondo di Nemesi non era nell’azione vendicativa, bensì nel recupero di quella forza originaria che consente di ristabilire l’equilibrio spezzato dalle ingiustizie e dagli abusi patriarcali. Dalla tracotanza umana che violenta i corpi, la terra, il mare, la natura tutta e ne distrugge l’equilibrio e la bellezza, la Nemesi denuncia che le azioni umane sono sempre soggette a un limite e che quando esso viene superato produce effetti devastanti. La provocazione già nel nome Nemesi era volutamente dissacrante e confermata dalle loro azioni performative e dal coraggio posto verso sentieri inesplorati. Per questa radicalità furono messi in campo meccanismi difensivi che denotavano insieme difficoltà e preoccupazione nel fronteggiare la messa in discussione delle radici stesse della civiltà patriarcale.
LA RIMESSA AL MONDO del mito rilegge in chiave femminista le radici dimenticate di un’altra storia. Le possibilità creative delle singolarità non sono radicate in ruoli già codificati. Qui vive il pensiero visionario e contemporaneo delle Nemesiache che già parlavano di transfemminismo, di trasversalità e di superamento dei ruoli di genere. Lo stravolgimento dei limiti imposti riguarda proprio la vertigine del corpo, di ciò che un corpo può nell’aderenza al proprio desiderio. I ruoli decadono, non i principi. La sottigliezza del pensiero mitosofico di Lina Mangiacapre è strettamente correlata alla molteplicità prospettica di una corporeità fluida e aperta, che in sé sperimenta la varietà e l’esuberanza del maschile e del femminile: l’androginia. Con il pensiero filosofico questa unità molteplice originaria si perde. Il concetto rappresenta per lei l’architrave di una binarietà, di un dualismo nato da un processo di astrazione mentale che fraziona, separa ciò che nella sua origine era indiviso. Nella riconquista del significato più ampio e profondo di questa unità molteplice che sorregge l’impalcatura della dimensione corporea e psichica di ciascun essere umano, possiamo fuoriuscire da gabbie che negano la libera espressione del sé. Nel prendere atto dell’inesauribilità della realtà e della fallibilità umana sorge un richiamo alla ricerca di senso che vale per la vita contro l’illusoria onnipotenza del possesso che la vuole ridotta e conforme a un oggetto da manipolare. Dalla visione lucida del disequilibrio e dell’ingiustizia di una realtà dimezzata e mutilata, dalla percezione corporea dell’imbroglio della «normalità», la ricerca delle Nemesiache ha saputo coniugare in modo magistrale arte e politica. Ha mostrato la possibilità della politica sganciata dall’idea del potere. La sua cifra è la bellezza, il suo linguaggio il corpo, il suo spazio vitale le esperienze non oggettivabili. In questo progetto di vita Lina, insieme a sua sorella Teresa/Niobe e alle altre Nemesiache, ha respirato altro pensiero e altra politica. Ha reso concreto il desiderio che, come seme portato dal vento, ha attraversato il labirinto della creazione. *
La presentazione il 4 dicembre a Roma Il volume racconta il percorso politico e artistico del gruppo storico femminista napoletano «Le Nemesiache», fondato nel 1970 da Lina Mangiacapre. La narrazione si snoda su due livelli intrecciati tra loro: quello soggettivo dell’autrice che, come parte integrante del gruppo sotto il nome di Medea, riattraversa la sua storia personale alla luce dell’incontro con Mangiacapre, e quello collettivo che, attraverso una ricognizione documentaristica e fotografica ripercorre l’agire politico, culturale e artistico delle Nemesiache.
Il libro sarà presentato a Roma, presso la Casa Internazionale delle donne (Via della Lungara 19), il 4 dicembre alle ore 15.30. Insieme all’autrice, gli interventi di Maria Paola Fiorensoli, Edda Billi, Bruna Felletti, Stefania Tarantino e Titta Vadalà. © 2019 IL
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