Il corpo indocile: nascere e morire: tra scelta e divieto
Non è un caso che proprio i movimenti delle donne abbiamo sempre messo in primo piano la necessità di partire dal corpo anche e soprattutto se si parla di vita e di morte senza mai chiedere leggi escludenti, né per la
regolamentazione dell’interruzione della gravidanza, né per la procreazione
assistita.
Il principio è sempre stato quello di permettere, laddove ce ne fosse il
bisogno, che il soggetto femminile potesse accedere a dei servizi.Non c’è dubbio che la vicenda Welby prima e quella più recente di Eluana
Englaro poi abbiano riproposto, nonostante le rimozioni operate dalla
politica (e in parte anche dalle organizzazioni della società civile e
culturale italiane), il tema della scelta sul proprio corpo, in ogni fase
della vita e quindi anche nella sua fase terminale.
L’Italia sconta un ritardo, e una endemica tensione censoria su
questi temi, non solo grazie alla pervasiva presenza culturale e politica
della Chiesa cattolica, ma anche perché da qualche decennio le correnti
critiche laiche e dei diversamente credenti hanno cessato di fare pressione
su questi argomenti.
Nella generale anestetizzazione della società italiana, iniziata un
ventennio or sono, è andata persa la pratica condivisa della messa a fuoco
delle priorità secondo il parametro del privato come politico, suggerita e
indicata dal movimento delle donne, che ha fatto della centralità del corpo
uno dei perni sui quali far girare l’analisi e la conseguente prassi: per
questo tutte le tematiche che insistono sulle scelte individuali e sulla
libertà di scelta, che poi diventano anche terreno comune della
collettività, non possono essere disgiunte da un ragionare che, in primo
luogo, parte dalla concretezza della corporeità.
Non è un caso che proprio i movimenti delle donne abbiamo sempre messo in
primo piano non solo la necessità di partire dal corpo anche e soprattutto
se si parla di vita e di morte, ma anche abbiano sempre perseguito, quando
si è percorso il cammino legislativo, la strada normativa più aperta e
inclusiva possibile.
I movimenti delle donne non hanno mai chiesto leggi escludenti, né per la
regolamentazione dell’interruzione della gravidanza, né per la procreazione
assistita.
Il principio è sempre stato quello di permettere, laddove ce ne fosse il
bisogno, che il soggetto femminile potesse accedere a dei servizi.
Anche sulla questione del fine vita le richieste sono sempre state ispirate
a questo principio; lo stesso padre di Eluana, Peppino Englaro, ha sempre
detto di volere seguire il desiderio della figlia nel non essere tenuta in
vita artificialmente, e mai ha sostenuto che questa fosse l’unica visione e
scelta possibile.
Da parte delle forze politiche e culturali che sostengono, al contrario, “la
difesa della vita” non ci sono spazi per l’interrogazione laica circa
l’autodeterminazione su di sé: l’etica è di fatto disincarnata, risponde a
principi non umani e non umanizzabili, e risolve ogni auspicabile domanda
sui temi dell’etica e della scelta con il dover essere della vita ad ogni
costo (sia nel dare la vita come nel finirla) perché essa non è nelle mani
delle donne e degli uomini, ma bensì in quelle delle varie declinazioni del
divino, in particolare nelle tre religioni rivelate.
Parliamo dell’esperienza umana concreta e irripetibile delle vite che si
dipanano nei giorni e nelle attese, tra desideri realizzati, timori
infondati e speranze deluse, ancorata a relazioni che ne conoscono il senso
e le danno significato. Parliamo a partire della nostra esperienza umana
incarnata in un corpo di donna, e sappiamo che non è solo questione di
integralismo religioso. Al desiderio consapevolmente espresso da Eluana di
non essere mantenuta in uno stato vegetativo attraverso un complesso
apparato di tecniche e pratiche mediche invadenti e invasive, a quel corpo
femminile indocile, il presidente del consiglio in persona ha opposto che
era un corpo capace di generare. Le ha opposto il principio di autorità
patriarcale che è all’origine del conflitto tra i sessi e al quale deve
conformarsi la vita delle donne: l’autorità del Padre sulla filiazione. La
volontà di riaffermare e di imporre a tutte e tutti quella stessa autorità
con la forza della legge non è del resto all’origine del divieto di
ricorrere a donatori esterni alla coppia per la fecondazione assistita?
Nel silenzio assordante calato dopo la morte di Eluana, rotto raramente da
poche voci e gravato comunque dal peso della proposta referendaria, che
rischia di essere un boomerang come lo fu, in assenza di un vero dibattito
informativo e formativo, quello sulla legge 40, alcune donne e la rivista
Marea sentono il bisogno di gettare se possibile un po’ di luce sul buio e
sul silenzio pauroso che incombe su argomenti che dovrebbero essere al
centro del dibattito perché in realtà sono al centro delle vite di chiunque.
In questo numero della rivista,(coordinato da Laura Guidetti, Monica
Lanfranco e Erminia Emprin Gilardini) si propone un confronto che con
l’aiuto di alcune riflessioni preliminari sul terreno della giurisprudenza,
dell’etica, della scienza , della medicina e della filosofia aiuti a ridare
senso alle battaglie laiche sul corpo e la libertà di scelta.
– Sul sito di [Marea->http://www.mareaonline.it] sono disponibili alcuni degli interventi pubblicati su questo numero della rivista
– Sul sito [radiodelledonne.org->http://www.radiodelledonne.org] sono disponibili in formato audio alcune delle interviste registrate durante l’incontro: Il corpo indocile – Nascere e morire: tra scelta e divieto,
svoltosi dall’ 11 al 13 settembre 2009 ad Altradimora, www.altradimora.it
– Copia della rivista possono essere richieste a questi indirizzi mail:
monica.lanfranco@gmail.com, lauraguidetti@aliceposta.it
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