Il Femminismo di quarta generazione sempre più verso una coalizione globale delle differenze
Per una breve cronistoria degli hashtag del nuovo Femminismo Social
Un dibattito capillare, universale, sempre più incisivo, acceso e istantaneo. Questo è molto altro rappresenta la quarta ondata femminista portata avanti a colpi di hashtag. Un Femminismo fatto sempre più attraverso i Social Media che, con le loro dinamiche comunicative, stanno segnando profondamente le lotte di tutte noi. La rivoluzione femminista social porta in sé il germe di una battaglia e di uno schieramento chiaro, ha una posta in gioco elevata, un messaggio che contiene un invito all’azione e al cambiamento. Ma come muta il discorso sul femminile nel momento in cui si intreccia alle dinamiche social?
I Social Media hanno il merito di aver sdoganato in questi ultimi anni temi che un tempo erano appannaggio di circoli più ristretti, di aver permesso sempre più il coinvolgimento attivo di chi fino a poco tempo fa non avrebbe preso posizione in modo così esplicito. Un dibattito che allo stesso tempo diventa più radicalizzato, aspro e violento e, in molte occasioni, si dedica a questioni più marginali che accendono facilmente gli animi come l’epic fail del momento, una campagna infelice, una frase o un aggettivo sbagliati, le professioni declinate al maschile o al femminile. Una discussione plasmata secondo le regole del marketing e della comunicazione pubblicitaria.
Ma il Femminismo fatto attraverso i canali del Web 2.0 apre verso nuove prospettive e dà sempre più visibilità a tutta una serie di revisioni, sperimentazioni e riletture delle classiche ideologie femministe che ora si esprimono attraverso forme di protesta sempre più fantasiose, divertenti, spregiudicate, emotive, originali come ad esempio i flashmob o il guerrilla knitting, solo per citarne alcuni. Il Femminismo Social, o quarto Femminismo, vede la sua nascita nel 2012, quando si diffonde sempre più l’uso dei social come forma di protesta e di attivismo. La lotta contro il sessismo, le discriminazioni e le violenze si propaga in maniera esponenziale nella complessa agorà digitale mondiale. Si creano sempre più legami universali e nascono discussioni globali. È la nascita della cosiddetta call-out culture a colpi di hashtag. Ma vediamone alcuni.
Era il 2017 quando tre giornalisti parlarono per la prima volta delle violenze di Weinstein e nasceva il movimento #metoo. Iniziava allora la storia di quella che è diventata una rivolta globale, oltre i confini dello showbiz. Ma sono molti altri gli hashtag di questo post-Femminismo, pietre miliari della nuova lotta femminista fatta attraverso il Web.
Il #metoo rimane il più famoso e il più diffuso a livello globale, ma non tutti sanno che nasce nel lontano 2006 quando l’attivista Tarana Burke iniziò a usarlo sull’ormai estinto MySpace per parlare di violenza. Nel 2017 da un tweet dell’attrice Alyssa Milano inizia tutto, fino a diffondersi a livello mondiale e arrivando anche in Italia con l’hashtag #QuellaVoltaChe che, condiviso su Facebook, Twitter e Instagram, in poco tempo diventa virale. Nelle terre d’oltralpe scoppia #BalanceTonPorc, letteralmente: “Denuncia il tuo maiale”. E ancora la versione spagnola #Cuentalo, quella turca #SendeAnlat e quella cinese #RiceBunny, solo per menzionarne alcune. Il #metoo ha il grande merito di aver riportato l’attenzione sulle dinamiche di potere, di violenza, di genere. Questa grande visibilità e rilevanza mediatica ha dato vita alla nascita di organizzazioni a difesa delle vittime di molestie sessuali come la famosa #TimesUp e il relativo movimento, fondata il 1º gennaio 2018 da diverse celebrità hollywoodiane.
Tornando indietro nel tempo al 2008 bisogna ricordare l’hashtag molto utilizzato su Twitter #Fem2, che sta per Feminism 2.0. Etichettare tutte le conversazioni e le discussioni riguardanti il Femminismo. Questo lo scopo di #Fem2, nato per formare una banca dati online facile da consultare e utile per chi volesse unirsi alla conversazione attiva su un social di flusso come Twitter. Lanciato si presume dalla scrittrice Niambi Jarvi, autrice del libro 100 Words of Wisdom for Women, questo hashtag segna il vero e proprio inizio del Femminismo digitale.
Ricordiamo poi tutti #HeForShe, iniziato e promosso nel 2014 dall’attrice britannica Emma Watson, in occasione del suo famosissimo discorso tenuto alle Nazioni Unite per lanciare la nuova campagna promossa da UN Women, volta a favorire l’impegno degli uomini nella lotta alle disuguaglianze di genere. Un tema caro al Femminismo di quarta generazione quello dell’inclusione ed educazione degli uomini nella lotta contro le violenze di genere, utile a diffondere sempre più il raggiungimento della consapevolezza di come la società patriarcale abbia effetti negativi su tutti i suoi componenti. In quest’ottica nasce l’hashtag #AllMenCan, diffusosi nello stesso anno per favorire una conversazione positiva su come gli uomini possano diventare buoni alleati.
Altri sono gli hashtag che contraddistinguono la lotta femminista sui social come #YesAllWomen, nato nel 2014 in seguito alla sparatoria avvenuta a IslaVista in California con il significato: no, non tutti gli uomini sono così, ma sì, tutte le donne vivono nel terrore di quello a cui la violenza di genere può portare. Ed ancora altri per sensibilizzare sul tema dei femminicidi e delle violenze domestiche come #nonènormalechesianormale diffuso nel 2019 da Mara Carfagna o al famosissimo #NiUnaMenos diffuso nel 2015 in Argentina e poi diventato un movimento femminista globale. Il nuovo Femminismo combatte anche altri temi, non meno importanti, come le stereotipate rappresentazioni dei corpi femminili e promuove la liberazione dagli standard di bellezza impossibili cui l’estetica femminile spesso si ispira. Proprio in questa prospettiva si pone l’#EffYourBeautyStandsrd, lanciato su Instagram nel 2013 dalla modella plus size Tess Holliday per parlare di body positivity e diffondere un approccio più umano e rispettoso nei confronti del corpo e della fisicità femminile.
Ma la quarta ondata femminista non si ferma qui e la lotta tocca ancora altre delicate tematiche. #SayHerName si diffonde a seguito di un’indagine condotta dall’African American Policy Forum sulle violenze compiute dalla polizia verso le donne di colore e si prefigge di mettere in evidenza la doppia discriminazione a cui le donne nere sono sottoposte: quella di genere e quella razziale. Di pari passo spesso sottolineate anche dal movimento #BlackLivesMatter, portato avanti dalle comunità nere americane. Ci porta ancora ad una più sottile riflessione l’hashtag internazionale #Solidarityisforwhitewomen, che rivendica l’importanza del tema delle differenze razziali all’interno dello stesso Femminismo, dando risalto sempre più alla necessità di un approccio intersezionale più marcato, atto davvero a tutelare tutte le eterogenee e complesse anime che partecipano universalmente alla lotta femminista.
Una tematica delicata, difficile da comunicare, che ha per oggetto la violenza sessuale, quella che toccano invece gli hashtag #WhyIStayed e #WhyILeft, nati nel 2014 e usati soprattutto dalle vittime di violenza domestica per raccontare le loro storie e spiegare le motivazioni per cui non sono riuscite a denunciare e hanno continuato a mantenere quelle relazioni nocive. Un argomento difficile volto a dimostrare quanto sia complessa e dolorosa la posizione di chi subisce violenze e ricatti psicologici da parte del proprio compagno. La schiavitù silente della sopraffazione. In ambito politico ricordiamo poi il celebre #IAmANastyWoman, tradotto in italiano “Sono una donna sgradevole”, spiacevole, fastidiosa, insopportabile. Nato da un insulto che Donald Trump ha rivolto a Hillary Clinton durante un dibattito elettorale nel 2015, mette in evidenza che ancora oggi caratteristiche come determinazione, sicurezza e ambizione sono viste positivamente in un uomo mentre, se si tratta di una donna, ecco che la rendono “sgradevole” agli occhi della collettività. Molto diffuso per promuovere l’uguaglianza di genere e la lotta al sessismo soprattutto nella sfera politica, ancora oggi ben lontana dall’aver raggiunto la parità nei suoi numeri.
In conclusione, questi sono solo alcuni dei tanti hashtag che contraddistinguono il Femminismo di quarta generazione che, attraverso l’evoluzione delle piattaforme digitali, ha per sua stessa natura una vocazione universale, una visione sempre più intersezionale e l’uso del Web e dei Social Media come strumento di mobilitazione mondiale. Si rafforza l’idea di un Femminismo che ribadisce l’esistenza di una sovrapposizione tra le diverse forme di oppressione che riguardano il genere, l’orientamento sessuale, la razza, la classe sociale e le normoabilità. Un Femminismo senza barriere che coinvolge sempre più persone, grazie alla sua capillare diffusione e che, scavando costantemente passo dopo passo nella società, è capace di determinare lenti ma costanti cambiamenti e traguardi, soprattutto grazie alla sua grande esposizione e visibilità mediatica che rende sempre più comune, democratica e aperta a tutti la riflessione sul tema femminile.