“Sempre più difficile il percorso per ottenere l’aborto farmacologico in Umbria” – documento firmato da dieci associazioni. Anche la CGIL umbra prende posizione contro il provvedimento della giunta regionale
Firmano il documento che segue:
UDI Perugia; NUDM Perugia; NUDM Gubbio; “La città delle Donne- APS” Gubbio; RAV Perugia; Democratiche Umbre; CAV di Orvieto – L’albero di Antonia; Ass. Il Filo di Eloisa- Orvieto; Associazione Terni Donne; Associazione nazionale VitadiDonna
Si può cercare di raggiungere il paradiso in vario modo. Una modalità, secondo i leghisti della Regione Umbria, è quello di rendere difficile la vita delle donne, la loro libertà, la loro autodeterminazione. Così la maggioranza di destra del Consiglio regionale umbro ha abrogato la delibera regionale faticosamente ottenuta nel dicembre 2018, dopo 8 anni di insistenza e di lotte anche contro la recalcitrante giunta Marini. Si dava così indicazione agli ospedali umbri di organizzare con day hospital il servizio per la interruzione volontaria della gravidanza (IVG) farmacologica, dando la possibilità alle donne che decidevano di interrompere la gravidanza, di poter scegliere il metodo meno invasivo per loro, che meglio si adatta alle loro esigenze e farlo in modo accessibile. Invece, in Umbria non sarà più così. Che sarebbe tutta questa autodeterminazione! Ricoveriamole per 3 giorni, rendiamo sempre più difficile il percorso per ottenere l’aborto farmacologico, impediamo che si possa anche spendere meno ed evitare in epoca COVID di stare in Ospedale a lungo! Questo è stato ottenuto dalla Giunta Tesei con plauso di Pillon ed amici.
In Francia l’IVG farmacologica viene scelta dal 66% delle donne, in Svezia dal 95%, in Irlanda e Portogallo anche con alte e crescenti percentuali. In Italia (ultimi dati 2018 della sorveglianza IVG del Ministero Salute) solo dal 18%, in Umbria dal 5%. Perché? Come mai siamo così diverse? Perché una IVG medica per una donna, da noi è una corsa ad ostacoli: contro il tempo, la disinformazione e la mancanza di Servizi. Si era con difficoltà arrivati nel 2019 ad avere almeno un Ospedale nella provincia di Perugia (Pantalla e poi dopo COVID, Umbertide) e due nella provincia di Terni (Orvieto e Narni), che mettessero in atto la procedura di IVG farmacologica. Nei 2 ospedali più grandi, dedicati anche all’insegnamento universitario non è mai stato organizzato. A Terni si offrono alle donne solo 3 IVG chirurgiche ogni settimana e 5 a Perugia, significa quindi che vi sono lunghi tempi di attesa per gli interventi chirurgici (in media 3 settimane), che con la IVG farmacologica, senza sala operatoria e anestesia, si ridurrebbero molto. Questo faticoso piccolo avanzamento che ci faceva essere meno arretrati anche solo dal punto di vista scientifico, da ora viene messo in discussione. I dati su IVG medica riportati dalla relazione del Ministro, mostrano che nelle regioni in cui vi è obbligo di ricovero, nel 95% dei casi le donne firmano ed escono su loro responsabilità. Forse tutta questa protezione … dalle donne, non è così richiesta!
La SIGO (Società Italiana Ginecologi ed Ostetrici) ha affermato l’8 aprile 2020 che “si dichiara favorevole a una maggiore diffusione dell’aborto farmacologico, a tutela della salute e dei diritti delle donne, che rischiano di essere negati a causa dell’emergenza sanitaria in corso. Un impiego maggiormente estensivo dell’aborto farmacologico, finora relegato ad un ruolo marginale, permetterebbe di decongestionare gli ospedali, alleggerire l’impegno degli anestesisti e l’occupazione delle sale operatorie. Affinché si realizzi una piena applicazione della procedura farmacologica – che può essere utilizzata anche in caso di diagnosi di aborto interno. Sottolinea la necessità di rivedere alcuni aspetti delle procedure vigenti, dichiarandosi favorevole a:
- spostare il limite del trattamento da 7 a 9 settimane;
- eliminare la raccomandazione del ricovero in regime ordinario dal momento della somministrazione del mifepristone al momento dell’espulsione;
- introdurre anche il regime ambulatoriale che prevede un unico passaggio nell’ambulatorio ospedaliero o in consultorio, con l’assunzione del mifepristone, e la somministrazione a domicilio delle prostaglandine, procedura già in uso nella maggior parte dei Paesi europei.
In Umbria si vuole andare nella direzione opposta e sostenere che questo è a favore della salute femminile. È tempo che qui in Umbria, come nel resto d’Italia, le donne si facciano sentire, che la contraccezione torni gratuita, che pretendano che i Consultori tornino in grado di funzionare adeguatamente, che il personale e le strutture siano adeguati e formate per rispondere alle esigenze di chi vi abita.
Chiediamo che il Ministero della Salute ascolti le Società Scientifiche e le loro proposte, modificando le linee guida molto arretrate del 2010 (governo Berlusconi), che ci rendono fanalino di coda in Europa per i diritti sessuali e riproduttivi, rendendo così la deliberazione umbra, un tentativo di retrocessione, del tutto vano.
Anche la CGIL umbra ha preso posizione contro la scelta della giunta Tesei: “La Regione Umbria sceglie di accanirsi contro le donne, la loro libertà ed autodeterminazione e lo fa con un provvedimento fortemente ideologico che riporta l’Umbria indietro di anni, allontanandola dal resto d’Europa”.
Maggiori dettagli sulla posizione della CGIL al seguente link di Umbria Journal