Il cognome della madre di nuovo alla Corte costituzionale
Domani 13 gennaio 2021 torna all’esame della Corte costituzionale l’attribuzione del cognome materno alla nascita.
La circostanza che l’esame sarà effettuato il 13 gennaio 2021 in Camera di Consiglio e non in un’udienza pubblica impedirà, fino alla pubblicazione della sentenza, di conoscere a pieno il contenuto della decisione e il suo impatto sulla normativa riguardante l’attribuzione del cognome. Ci auguriamo quindi che il comunicato dell’Ufficio Stampa della Corte non si limiti, in questo caso, a una stringata notizia.
Non abbiamo potuto presentare un nostro atto di intervento, come avevamo fatto in occasione del precedente giudizio, perché la notizia di un nuovo ricorso alla Corte costituzionale da parte di due genitori ai quali è stata rifiutata l’attribuzione del solo cognome materno ci è pervenuta in ritardo. Sono passati quattro anni dalla sentenza n. 286/2016 che ha consentito l’aggiunta del cognome materno a quello paterno se entrambi i genitori sono d’accordo. L’effetto limitato della sentenza del 2016, anche se preceduto da una dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa esistente, ha comportato che la Corte, con la medesima sentenza, inviasse un monito al Governo e al Parlamento per una “riforma organica del cognome” definita “indifferibile”.
“Come Rete per la Parità- dichiara la Presidente Rosanna Oliva de Conciliis– dal 29 dicembre 2016, giorno della pubblicazione della sentenza, abbiamo preso numerose iniziative, in particolare in collaborazione con CNDI – Consiglio Nazionale delle Donne Italiane e con Inter Club Zonta Italia, su due obiettivi paralleli. L’applicazione degli effetti immediati della sentenza, a partire dalla modifica in tutti i Comuni delle modalità riguardanti le dichiarazioni di nascita, anche per far conoscere l’importante possibilità derivante dalla sentenza della Corte e abbiamo esercitato continue pressioni per far approvare, su iniziativa del Governo e del Parlamento, la riforma richiesta dalla Corte. Non siamo soddisfatte dei risultati dei nostri sforzi. Il Ministero dell’Interno si è limitato a diramare la circolare interpretativa n.7 del 14 giugno 2017 senza disporre le necessarie modifiche alla procedura presso l’anagrafe. L’informazione sulla nuova possibilità è stata lasciata alla buona volontà dei Comuni e molti non si sono adeguati.”
“Situazione altrettanto negativa sul versante dell’attuazione della sentenza – aggiunge l’avvocata Antonella Anselmo – in Parlamento sono state depositate varie proposte di legge, quasi tutte analoghe a quelle esaminate nella passata legislatura prima della sentenza 286 e nessuna è stata calendarizzata. Nulla da parte del Governo, e nessun seguito c’è stato dopo i comunicati di circa un anno fa, con i quali due ministre, separatamente, hanno annunciato il loro impegno per la riforma. Né hanno portato ancora a un risultato concreto gli incontri della Rete per la Parità con alcune ministre e il convegno online che abbiamo organizzato di nuovo a novembre in occasione del quarto anniversario della sentenza.“
La Rete per la Parità è sta fondata dieci anni fa per contribuire a raggiungere la parità formale e sostanziale sancita dalla Costituzione e conosciamo l’importanza del ruolo affidato alla Corte ma questa vicenda dimostra ancora una volta che i diritti delle donne sono ignorati o addirittura contrastati da un Parlamento ancora dominato da uomini che fanno prevalere la loro anacronistica mentalità patriarcale. Con ricadute negative su tutti e tutti, dato che è negata anche la tutela del diritto all’identità.
12 gennaio 2021
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