…ma non ha senso parlare di “maschicidio”
Non intendiamo ripetere, oggi, quanto ripreso da più parti: e non lo faremo.
Ogni volta ci troviamo a leggere termini banalmente inventati su altrettanto banali assonanze: può succedere, per carità, ma che questo accada nel gotha del giornalismo italiano, su Il Sole 24 Ore, ci fa onestamente rabbrividire.
Si vuole parlare di maschicidio? Certo, ci sono donne che uccidono gli uomini. Ma quante sono? A questo altri hanno già risposto. Di sicuro, si tratta di numeri profondamente diversi, quantitativamente.
Ma è l’aspetto qualitativo che ci preoccupa: nessuna donna uccide un uomo in quanto uomo.
Invece, qualunque siano le dinamiche, un uomo uccide la donna non per colpe vere o presunte, ma fondamentalmente perché è donna: e questo non è assolutamente paragonabile.
La uccide perché è una donna che non ha accettato il potere, la sopraffazione, il dominio di un uomo. Sovente, il suo uomo, tanto che la maggior parte dei femminicidi avviene nei rapporti familiari, da parte di partner o ex partner.
Ci chiediamo fino a quanto paragoneremo (peraltro, senza riuscirci) i numeri orrendi dei femminicidi con quelli dei maschicidi, parricici, matricidi o fratricidi. Fenomeni altrettanto orrendi, però marginali, numericamente parlando.
In un contesto come quello di oggi (che non è l’unico, comunque) viene la nostalgia verso la figura del caporedattore che, matita in mano, correggeva le bozze dei propri giornalisti, obbligandoli alle modifiche necessarie. Almeno, avremmo la necessità di formare solo i caporedattori, senza pensare a sensibilizzare una intera categoria che, nei fatti, dimostra di essere spesso refrattaria nel nome di un articolo che vorrebbe essere di impatto. E in effetti lo è: smentite o precisazioni postume sono doverose, sempre però tardive.
Torino, 30 giugno 2021