Tre manifestazioni, molti i passi in avanti, ma tanti nodi ancora da sciogliere
Io sono convinta che la radice prima di tutte le violenze sta nella non risolta conflittualità tra uomo e donna. E’ per questo che scendere in piazza il 28 accettando tutte le nostre differenze, è un modo forte per evidenziare la contraddizione principale che è quella segnata dalla cultura machista oggi rifiutata anche da non pochi uomini. A Roma il 21 novembre si sono concentrate più iniziative che, per fortuna, non si sono sovrapposte così, con un po’ di fatica ho potuto seguirle tutte. Alle 15.30 ero a Piazza Farnese, dal palco di MaschilePlurale si sono susseguiti riflessioni di uomini che provenivano un po’ da tutte le regioni, dal Piemonte, dalla Lombardia, dall’Emilia Romagna, dalla Toscana, dall’Umbria dal Veneto, dalla Puglia dalla Sicilia, dalla Sardegna.
_ Uomini che si sono dichiarati sempre più convinti che ci sia un unico legame tra fenomeni anche molti distanti tra loro, ma riconducibili tutti alla resistenza con coi la parte maschile della società reagisce alla volontà che le donne hanno di decidere della propria vita in libertà. Il corpo femminile disprezzato e considerato un mero oggetto di scambio viene rimosso da ambiti decisivi: nella politica, nell’accademia, nell’informazione, nell’impresa, nelle organizzazioni sindacali. E questo impoverisce tutti.
Per questi uomini è importante che si diffonda una riflessione pubblica che parta proprio da quelli che sono capaci di mettersi in discussione per aprire un confronto in famiglia, nella scuola, nelle università, nei luoghi della politica e dell’informazione e nel mondo del lavoro. Importante e cambiare nella quotidianità comportamenti che limitano i desideri di libertà femminile. Un modo questo di cambiare senso anche alla libertà maschile. Un aiuto alla riflessione può essere dato dalla pubblicazione “{ {{Essere maschi tra potere e libertà}} }” di Stefano Ciccone pubblicato da Rosemberg&Sellier.
Il libro nuovo di stampa lo si poteva trovare in piazza o in libreria: così tra un intervento e l’altro mentre suonava un sax ho letto la quarta di copertina. Gli ultimi venti o trenta anni hanno visto mutare in modo radicale i rapporti tra uomini e donne.
_ La grande trasformazione innescata dalle donne ha cambiato anche le vite di molti maschi. Si è iniziato a parlare di disagio maschile e non soltanto tra le generazioni più mature. Secondo alcuni la certezza della propria virilità può essere intaccata dalla nuova libertà femminile, e l’incertezza su di sé produce sofferenza. Nascono inedite rivendicazioni maschili, come nel caso dei padri separati. Forse sta nascendo anche uno nuova violenza maschile di tipo reattivo.
Ma coglie davvero nel segno l’immagine ricorrente di uomini disorientati dall’intraprendenza femminile nel corteggiamento o chiusi a difesa della loro posizione nel lavoro? Ciccone polemizza contro il vittimismo e il “revanscismo maschile”, ma rifiuta allo stesso tempo il volontarismo del “politicamente corretto”.
Egli propone un’altra strada che vede il protagonismo delle donne non come una minaccia ma come un’occasione per esprimere una domanda latente di libertà maschile dagli stereotipi che costringono la vita degli uomini e imprigionano la loro vita, la loro sessualità e la loro esperienza di paternità. Si legge la situazione come una opportunità per gli uomini. Il libro propone uno sguardo inconsueto su temi finora considerati “femminili”, come violenza sessuale, genere, relazione con i figli, lavoro di cura, prostituzione, esperienza del corpo. Queste pagine rimescolano le carte e i luoghi comuni, e mostrano che anche gli uomini possono scoprire un’altra dimensione dell’esperienza umana.
Intorno alle 17, con il libro in mano sicura che dal palco avrebbero ricordato la {{ {manifestazione nazionale del 28 contro la violenza} }}, contro tutte le violenza alle donne, ho attraversato il Tevere per raggiungere la Casa Internazionale dove si sarebbe tenuto un incontro proposta dal gruppo “Donne della realtà” con l’adesione e la collaborazione di alcune giornaliste romane e di colleghe de la Repubblica, il quotidiano che ha lanciato l’appello per la dignità delle donne firmato da oltre centomila.
La sala grande al Primo piano era già piena ed era stata allestita anche la stanza attigua con un televisore per dare la possibilità a tutte/i di seguire relazioni e interventi. Nell’introdurre il forum Paola Ciccioli ha ripercorso la storia del gruppo Donne della realtà ricordando l’incontro tenuto i 5 ottobre a Milano e sottolineando che l’iniziativa continuerà con un appuntamento anche a Bologna. Molte interessanti le due relazioni. Chiara Volpato, docente di Psicologia sociale alla Bicocca di Milano, ha parlato di alcune ricerche che hanno messo in evidenza la dicotomia tra l’essere e l’apparire e come spesso le donne pur di esserci hanno privilegiato l’apparire mettendo così in ombra le proprie competenze.
Ha spiegato anche come possono essere percepite in modo differente le competenze e il prestigio di persone che intervengono in televisione a seconda di come vengono inquadrate: se in primo piano viene proposto il viso, proprio grazie allo stereotipo testa – corpo, sarà più credibile questa rispetto a chi viene inquadrato nella sua totalità. E, se ci fate caso –ha sottolineato – quando parla una donna l’inquadratura tende a proporre non solo il viso ma il vestiario, come sta seduta o come si muove. E, proprio sulla dualità corpo mente si è soffermata la filosofa Michela Marzano che con Barbara Spinelli e Nadia Urbinati sono state le prime firmatarie dell’appello di Repubblica.
Le prime teorie femministe erano partite proprio dalla necessità di rompere la dicotomia cartesiana mente=valore, corpo=disvalore, per riaffermare la validità dell’essere nel suo insieme, ben sintetizzata nello slogan “io sono mia”, che stigmatizzava il forte desiderio di essere in libertà. Con il tempo, questo bisogno ha riproposto, in modo inconsapevole, l’antica dicotomia dove l’essere diventa un io potente che pensa di poter avere o gestire il proprio corpo con una disponibilità tale da farlo diventare un oggetto il cui valore dipende solo dal mercato. Si ripropone dunque, secondo Michela Marzano, una contraddizione che prima o poi dovrà trovare soluzione se si vuole esaudire veramente quel desiderio irrefrenabile di essere. Molte hanno preso poi la parola.
Tra i problemi da risolvere anche quello legato all’immagine della donna proposta in pubblicità. Su questo problema è intervenuta anche Miriam Mafai, la Rai –ha detto- si deve dotare di un codice su come trattare la differenza di genere in TV partendo proprio dalla pubblicità e poi Rosanna Marcodoppido dell’Udi che ha ricordato come tra le iniziative proposte dalla staffetta contro la violenza, c’era la richiesta, ai comuni coinvolti, di rifiutare gli spazi pubblicitari a manifesti con immagini che ledano la dignità delle donne.
_ E’ stata, con rammarico, notata la non presenza di alcune invitate come Bianca Berlinguer, la presidente del Pd, Rosy Bindi, la segretaria confederale della Cgil, Susanna Camusso, sostituita da una sua collega, le direttrici dell’Unità, Concita De Gregorio e dell’Espresso, Daniela Hamaui. Presenti invece la presidente della Cpo della Fnsi, Lucia Visca, la direttrice del Secolo d’Italia, Flavia Perina e la segretaria generale della Ugl, Renata Polverini.
L’intolleranza però ha fatto capolino anche in quella sala. Dal pubblico una voce isolata ha insultato Renata Polverini che a quel punto ha pensato di alzarsi e andarsene, seguita dalla direttrice del Secolo d’Italia.
Marina Garbesi giornalista di La Repubblica che ha presieduto l’intero incontro ha formulato pubblicamente le scuse a Polverini e Perina sia a nome delle organizzatrici, sia a nome della Casa Internazionale delle Donne che ha ospitato l’incontro.
Così una iniziativa, che doveva anche servire a coinvolgere donne che nel mondo dell’informazione hanno acquisito ruoli di potere per aprire un dibattito all’interno delle redazioni, ha registrato pesanti disaffezioni ed inutili conflitti. Speriamo che questi vuoti ed errori siano colmati nell’appuntamento di Bologna.
Mentre prendeva la parola Loredana Rotondo, mi sono dovuta allontanare perché altrimenti non sarei arrivata in tempo per la manifestazione notturna organizzata da “le Ribellule” e da altre realtà come il “GayDiproject”.
Per essere sicura di incrociarla vado a via dei Volsci al 22 sede delle femministe e lesbiche che hanno organizzato sulla strada un presidio perché la sede è in pericolo di sgombero. Sono alcune decine e attendono lì il passaggio della manifestazione che da Piazza Vittorio dovrà poi raggiungere Piazza del Verano. Il corteo che vede anche la presenza di molte immigrate è stato convocato con un manifesto sul quale si legge: {La sicurezza per le donne non viene da telecamere, militari, ronde ma dalla nostra libertà e dall’autodeterminazione dentro e fuori le mura domestiche. Contro politiche sulla sicurezza, contro le ingerenze del vaticano e del patriarcato, contro ogni tipo di violenza sulle donne, lesbiche e trans. Spazziamo via dalla città fascismo, razzismo e sessismo}.
Davanti al 22 di via dei Volsci si discute anche perché la manifestazione che doveva essere solo di donne ha visto la presenza di gruppi misti frutto forse di un equivoco di impostazione. Mi soffermo a parlare su quello che mi sembra uno dei nodi che varrebbe la pena approfondire: è possibile coniugare allo stesso tempo femminismo, antirazzismo e antifascismo. Io non ne sono del tutto convinta perché se il femminismo ha lavorato in tutti questi anni per nominare il conflitto uomo-donna per restituire diversa dignità ad entrambi, l’antirazzismo e l’antifascismo non hanno assunto, per il momento, questa contraddizione come quella principale.
Lo potrebbe essere, forse se uomini antirazzisti e antifascisti avessero intrapreso quel lavoro di rieducazione che da anni portano avanti le associazioni di MaschilePlurale. Io mi ricordo quando i compagni di Lotta Continua, e non si può dire che non fossero antifascisti e antirazzisti, fecero caricare dal servizio d’ordine allora diretto da Erri De Luca (oggi uomo molto diverso da allora) il corteo delle compagne.
Io sono convinta che la radice prima di tutte le violenze sta nella non risolta conflittualità tra uomo e donna. E’ per questo che scendere in piazza il 28 accettando tutte le nostre differenze, è un modo forte per evidenziare la contraddizione principale che è quella segnata dalla cultura machista oggi rifiutata anche da non pochi uomini.
PS. Oggi sia su L’Unità che su La Repubblica due ampi articoli sull’iniziativa alla Casa Internazionale delle Donne promossa dalle Donne delle Realtà sui media e l’invisibilità delle donne.
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