È arrivato il 25 novembre, una data che vive in ogni giorno dell’anno quando facciamo la conta di queste tragedie
Una sfilata senza fine di donne morte mette l’umanità di fronte a qualcosa che ipocritamente fa finta di non capire. La radice oscura della violenza non la si vuole vedere mai fino in fondo, perché ciò metterebbe in discussione molte cose e richiederebbe una trasvalutazione vera, frutto di una trasformazione di soggettività reale. I giorni della violenza si susseguono ma non si superano. Ognuno si intreccia all’altro e nulla di essi si perde. Così nella mia memoria si condensano i nomi e i volti di queste donne sconosciute che mi sono familiari. Nessuna rassegnazione è possibile nella brutalità di questa spirale diventata vortice che risucchia vite e stravolge altre esistenze innocenti.
Ogni morte trasforma il nostro sangue in pietra, un raggrumo di mostruosità pesa prepotente sul cuore. La gelata non conosce interruzioni. Una violenza che non retrocede e che nella sua latenza vive di giorni e di notti che sembrano uguali e monotoni. E così accade che ogni volta nessuno poteva immaginare, intuire, prevenire e, nell’oscurità di ciò che si pensava buono e tranquillo, scopriamo l’abisso di quel labirinto selvaggio di uomini che, nella loro normalità, non sanno parlare e che di fronte alla libertà femminile sanno solo distruggere. È nell’abisso della soggettività maschile che si deve andare a guardare, nel suo terribile nodo torbido e opaco.
Info: Stefania Tarantino è filosofa (Università degli studi di Salerno), musicista e femminista napoletana (animatrice di Studi Femministi)